TACCO DODICI AL CHIODO - IN UFFICIO A WALL STREET SI VA CON LE SCARPE DA GINNASTICA - FINO A QUALCHE TEMPO FA, SOLO IL VENERDI’ ERA AMMESSO UN ABBIGLIAMENTO INFORMALE, ORA E’ ACCETTATO TUTTI I GIORNI -

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Silvia De Santis per “la Repubblica”

 

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Negli Usa casual friday addio,  in ufficio comodi tutti i giorni. Debra Bar, head marketing di Banca Leumi a New York, ha appeso i tacchi al chiodo. Addio a longuette nere e tailleur seriosi, in ufficio meglio abiti colorati e sneakers. Del resto, “nessuno nota se porto i tacchi ogni giorno – ha detto al Wall Street Journal –. Quel che conta è essere sempre in ordine”.

 

Anche con dodici centimetri di statura in meno. Che sia il canto del cigno del dress code? Negli ultimi anni, in effetti, scarpe basse e sportive rivisitate in chiave chic hanno lentamente rubato la scena, sotto giacche e pantaloni eleganti, ad altezze vertiginose e décolleté. In ufficio, grigi completi monocromo hanno riacquistato luce con tessuti floreali e trame colorate.

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“Oggi trascorriamo una quantità di ore a lavoro enormemente superiore rispetto alla generazione precedente”, commenta Maurizio Francesconi, docente di Storia della moda allo Ied, l’Istituto europeo del design, di Torino. “Stiamo in ufficio dal mattino presto fino a orario di cena, per questo motivo le persone trovano inconcepibile vestirsi in maniera elegante e preferiscono la comodità”.

 

Insomma, se il confine tra sfera privata e professionale si assottiglia, e lo spazio dedicato alla carriera invade il tempo libero e del divertissement, l’abbigliamento si mette al passo e rinuncia alla formalità.

 

“Fino a qualche tempo fa nelle aziende esisteva solo il ‘Casual Friday’, unico giorno della settimana in cui ai manager era concesso un dress code meno formale del solito, una sorta di anticipazione del weekend”, continua Francesconi.

 

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Oggi, invece, è come avere un “Casual Monday, Tuesday, Wednesday…”. Perché, se è vero che “dai bustini a oggi, fatta eccezione per gli anni Ottanta, la storia della moda del Novecento è un percorso verso la conquista del comfort, il vestire casual in ufficio è anche, per certi versi, un tentativo di riappropriazione di quel lato della propria vita che oggi si sacrifica maggiormente”.

 

Insomma, mettere un paio di sneakers al posto di scomodi e inutili tacchi per recarsi in ufficio, non è semplicemente una questione di comodità, ma anche un grido di rivendicazione della propria libertà. “Niente più abiti da cocktail o da sera. Abbiamo esteso la mise da giorno alla sera”, aggiunge Francesconi, in questi giorni inviato alla Parigi Fashion Week per la rivista Collezioni.

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Di fronte a orari e ritmi di lavoro sempre più serrati, tramontano anche vecchie abitudini, come quella di rientrare a casa, cambiarsi d’abito e uscire nuovamente per cena. “Soprattutto nelle grandi città come Roma, Milano, Torino è impensabile affrontare inutili traversate nel traffico solo per cambiare mise. Da questo punto di vista, siamo diventati meno suscettibili al giudizio altrui e meno pretestuosi”.

 

Eppure, se in Italia la ricerca della comodità si riflette principalmente sulle scarpe, non vale lo stesso per il resto dell’outfit, ancora rigorosamente formale in luoghi come banche e gruppi finanziari. “La realtà americana è profondamente diversa rispetto alla nostra”, spiega ancora Francesconi. “Sfido a trovare donne in carriera, peraltro già una minoranza rispetto al mondo anglosassone, che oserebbero presentarsi in consiglio d’amministrazione in sneakers, come racconta Debra Bar”.

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Ai vertici di casa nostra, insomma, il dress code è duro a morire. E con tenacia resiste anche “in uno dei momenti di massimo esercizio del potere del datore di lavoro sul sottoposto: i colloqui di lavoro, nel 2016 forse ancor più che nel 1996, data la situazione economica attuale”. Confessa ancora Debra Bar al Wall Street Journal: “Quando vedo una donna sui tacchi in ufficio mi chiedo ‘perché’? La trovo così fuori luogo”. Sarà, ma forse nelle stanze dei bottoni a Milano non la pensano ancora così.

 

 

 

 

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