1- DIETRO I MAXI-APPALTI EDILIZI DI DON VERZè C’È UNA TRAMA SEGRETA DA FILM DI MAFIA - 2- MARIO CAL HA AFFIDATO LE OPERE PIù IMPORTANTI DEL SAN RAFFAELE A UN COSTRUTTORE “COSTRETTO” A OBBEDIRE ALLA CAMORRA. ATTENTATI. ASSUNZIONI DI MAFIOSI IMPOSTE CON LA PAURA. PRESTITI IN ODORE DI USURA. LA MISTERIOSA GAMBIZZAZIONE DI UN POLITICO CHE FACEVA DA PRESTANOME AGLI IMPRENDITORI TAGLIEGGIATI - 3- INDAGINI DELICATE. LA PRIMA IPOTESI DI REATO È L’INDUZIONE AL SUICIDIO: PRESSIONI ESTERNE POTREBBERO AVER SPINTO IL BRACCIO DESTRO DI DON VERZÈ A SPARARSI -

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Paolo Biondani e Luca Piana per l'Espresso in edicola domani

Don Verze' e Mario CalDon Verze' e Mario Cal


Dietro i maxi-appalti edilizi del San Raffaele c'è una trama segreta da film di mafia. La storia drammatica di un'insospettabile azienda lombarda che per trent'anni viene strangolata da continui ricatti della camorra. Attentati. Assunzioni di mafiosi imposte con la paura. Prestiti in odore di usura. Visite intimidatorie nei cantieri finanziati dal grande ospedale privato. E la misteriosa gambizzazione di un politico che faceva da prestanome agli imprenditori taglieggiati.

DON VERZEDON VERZE

I rapporti con il mondo degli appaltatori e fornitori, dall'edilizia all'energia, sono una delle direttrici di fondo delle inchieste giudiziarie che puntano a far luce sulla montagna di debiti che rischia di far fallire il grande polo ospedaliero fondato a Milano da don Luigi Verzè. E sulle cause dell'improvviso suicidio di Mario Cal, il manager che da anni era il braccio esecutivo del prete veronese.

Indagini delicate. La prima ipotesi di reato è infatti l'induzione al suicidio: pressioni esterne che potrebbero aver spinto Cal a spararsi, la mattina di lunedì 18 luglio, proprio vicino all'ufficio di don Verzè.

In queste prime settimane di indagini la Guardia di Finanza sta passando al setaccio soprattutto l'archivio privato di Mario Cal: faldoni che il manager suicida custodiva in Brianza, ritrovati grazie a un dipendente fidato che ora è sotto choc.

DON VERZEDON VERZE

Seguendo indicazioni filtrate dall'ospedale, "l'Espresso" ha ricostruito i rapporti con alcuni grandi fornitori. Scoprendo un intreccio di affari e trame di mafia che a Milano sembravano impensabili.

La storia segreta degli appalti del San Raffaele si apre quando la polizia inizia a indagare sulla gambizzazione di un politico. È il 25 gennaio 2000 quando, nel centro di Milano, Emilio Santomauro, consigliere comunale di An e vicepresidente della commissione urbanistica, viene ferito da due colpi di pistola. L'attentatore resta senza nome.

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La polizia scopre solo che il politico ha appena chiuso una burrascosa relazione con Sonia Guida, figlia di Vincenzo (detto Enzo) e nipote di Nunzio Guida. Il padre della ragazza, arrestato nel '96, e lo zio, morto in Brasile da latitante, erano i capi della camorra a Milano fin dagli anni Ottanta: entrambi sono stati condannati per mafia con sentenza definitiva.

Fino al settembre 2006 il politico gambizzato figura come titolare del 50 per cento della Diodoro Costruzioni, ma le intercettazioni dimostrano che non è lui a comandare. Il vero dominus è Pierino Zammarchi, un imprenditore di origine bresciana che controlla una trentina di società.

Negli stessi anni, dal 2001 al 2006, il fatturato dell'azienda edile schizza da zero a oltre 66 milioni di euro, grazie a un rapporto con l'ospedale di don Verzè che sembra quasi monopolistico: il San Raffaele affida i più ricchi appalti edilizi sempre alla Diodoro, che a sua volta lavora soprattutto per il sacerdote.

IL SAN RAFFAELE DI MILANOIL SAN RAFFAELE DI MILANO

Proprio in quegli anni il gruppo Diodoro stipendia, oltre alla figlia, anche la convivente e lo stesso boss Enzo Guida. Che nel marzo 2006, appena viene scarcerato, ottiene un posto di dirigente in una società controllata (Sten srl) per 4 mila euro netti al mese. La Diodoro gli ristruttura anche due case a Milano, senza chiedergli un soldo.

I legami con il clan Guida sono tanto stretti che la procura arriva a inquisire gli imprenditori per il reato di intestazione fittizia di beni mafiosi: il politico Santomauro, che intanto è passato all'Udc, e l'imprenditore Zammarchi, secondo l'accusa, sarebbero prestanome della camorra.

Al processo Pierino Zammarchi decide di raccontare ai giudici quella verità che per trent'anni aveva tenuto segreta. In un drammatico interrogatorio, spiega di aver conosciuto i boss Guida negli anni Settanta grazie al loro avvocato, che era lo zio di Santomauro e lo avvertì che erano mafiosi. Nell'85, quando subisce il primo attentato, l'imprenditore lombardo chiede protezione a Nunzio Guida, che ne approfitta per domandargli «il favore di ristrutturare gratis la casa di suo fratello Enzo».

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Poi s'impegna a vendergli 10 box per auto, ma il boss ci ripensa e «riesce a farsi restituire l'intera caparra con gli interessi». Zammarchi confessa ai giudici che anche le assunzioni erano «fittizie»: il boss, sua figlia e la convivente «prendevano lo stipendio ma non hanno mai lavorato».

Nel 2006, scontata la condanna per mafia, Enzo Guida manda un suo scagnozzo nel cantiere del San Raffaele, dove Zammarchi è costretto a prestargli «altri 100 mila euro, mai restituiti». E il politico Santomauro? «Era solo un mio prestanome», giura Zammarchi: «Gli intestai le quote perché le banche non mi facevano più credito».

Nel marzo scorso, Zammarchi, Santomauro e gli altri imprenditori sono stati assolti con formula piena. Nelle motivazioni il tribunale spiega di non aver trovato «nessun indizio» che fosse la camorra a finanziare il gruppo Diodoro, anzi: l'azienda è cresciuta grazie agli appalti col San Raffaele.

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Dunque, conclude il giudice Aurelio Barazzetta, Zammarchi «non è un complice né un prestanome» ma «solo un imprenditore che ha la pessima idea di farsi prestare soldi da un mafioso e da quel momento ne diviene vittima». Un costruttore che non denuncia la camorra per paura, come se Milano fosse Casal di Principe.

Conquistata l'assoluzione, Pierino Zammarchi torna a frequentare Mario Cal. Chi conosceva entrambi, riferisce che con il manager che si è ucciso c'era un rapporto assiduo, personale. Zammarchi partecipava anche a pranzi con gli amici di Cal, ospitati al San Raffaele. E seguiva il braccio destro di don Verzè in alcuni dei suoi viaggi all'estero.

La documentazione disponibile colloca l'inizio del legame almeno alla primavera 2002, quando la neonata Diodoro si aggiudica un subappalto da 3 milioni e mezzo per la ristrutturazione della sede secondaria del San Raffaele, Villa Turro. Poi sale di grado ed entra nei maxi-cantieri per l'ampliamento dell'ospedale di via Olgettina, il cuore dell'impero.

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È questo uno dei progetti che sono finiti nel mirino dei critici di Don Verzè: l'edificio chiamato Dibit 2 comprende reparti, uffici, laboratori, aule universitarie, una basilica, ed è coperto da una cupola di 43 metri di diametro, uno in più di San Pietro. Nel grande flusso delle opere, la Diodoro si ritaglia un ruolo sempre più centrale, arrivando ad autodefinirsi «l'impresa di fiducia» del San Raffaele .

Tra gli altri, spiccano i contratti per i nuovi parcheggi; per il grande albergo Rafael, destinato ai parenti dei malati, nonché per altre due opere che hanno causato rilevanti buchi in bilancio: il futuro San Raffaele di Olbia; e una speculazione immobiliare a Cologno Monzese, compiuta proprio in società con gli Zammarchi.

Nel 2007, infine, quando Villa Turro è in ristrutturazione, alcuni reparti vengono spostati in un edificio vicino alla stazione di Lambrate: un immobile di proprietà di una fondazione gestita dagli Zammarchi. E abbandonato poco tempo fa, prima dell'arrivo del Vaticano.

 

 

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