1. BELLO, SIMBOLICO, MERAVIGLIOSO. MA L’INCONTRO TRA IL PAPA E I LEADER MEDIORIENTALI NON CAMBIERÀ NULLA A LIVELLO POLITICO. “HAARETZ”: “UNA PREGHIERA VUOTA” 2. “PAPA FRANCESCO NON HA NIENTE IN COMUNE CON QUEI DUE PRAGMATISTI SPIETATI. IL PRESIDENTE SHIMON PERES AL RITORNO TROVERÀ GLI SCATOLONI (FINISCE IL SUO SETTENNATO ALLA PRESIDENZA), MENTRE ABBAS DOVRÀ TENERE VIVA LA PRECARIA ALLEANZA CON HAMAS E LA DEBOLE ATTENZIONE INTERNAZIONALE SULLA CAUSA PALESTINESE” 3. “PERES E ABBAS HANNO GIOCATO LA LORO PARTE DURANTE LA CERIMONIA, IMPECCABILMENTE COREOGRAFATA TRA MUSICHE E LITURGIE DA SOGNO. IL PAPA HA GENTILMENTE OFFERTO LORO UN GIORNO DI RIPOSO, MA CON LE PREGHIERE CI FARANNO POCO” 4. IL 90ENNE PERES NON RAPPRESENTA IL GOVERNO ISRAELIANO, E NETANYAHU CON I SUOI FALCHI SONO RIMASTI GELIDI SULL’INCONTRO. ANCHE IL RABBINO CAPO DI ROMA ROVINA LA FESTA: “LA CITTÀ SANTA PER LE TRE RELIGIONI È GERUSALEMME, NON IL VATICANO”

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Papa Francesco @Pontifex_it 

La preghiera può tutto. Utilizziamola per portare pace al Medio Oriente e al mondo intero. #weprayforpeace           

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1. UNA PREGHIERA VUOTA PER LA PACE

Dagotraduzione dell’articolo di Anshel Pfeffer per “Haaretz”

I presidenti israeliani e palestinesi sono entrambi di una generazione che ha scelto di allontanarsi dalle tradizioni religiose della loro infanzia per abbracciare i percorsi gemelli del socialismo e del nazionalismo. Sia Shimon Peres che Mahmoud Abbas, da bravi socialisti del loro tempo, si resero conto che il futuro delle loro nazioni si trovava nelle alleanze con l'Occidente. Entrambi alla fine hanno riconosciuto che il percorso verso la prosperità passa per Washington.

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Sarebbe difficile trovare un uomo della loro generazione la cui vita ha avuto un percorso più diverso di Jorge Maria Bergoglio, che è stato un seminarista dall'età di 19 anni. L'uomo di preghiera ha ben poco in comune con i due pragmatisti spietati.

Mentre Bergoglio dedicava la sua vita alla formazione, spiritualità e doveri pastorali, i due costruivano movimenti nazionali, sbaragliavano i loro rivali con abili mosse politiche, e trattato con generali, miliardari e diplomatici.

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Di fronte alle sfide della "guerra sporca", durante il regime dei generali nella sua nativa Argentina, Bergoglio si ritirò nella sua chiesa, rifiutandosi di parlare contro le violazioni dei diritti umani, gli arresti di massa e i “desaparecidos".

Domenica, nelle vesti di Papa Francesco, ha detto ai leader israeliano e palestinese che "la pacificazione vuole coraggio, molto più che la guerra", ma non aveva un saggio consiglio da offrire su come trovare questo coraggio - fatta eccezione per la preghiera.

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Se Peres e Abbas fossero stati più spirituali, avrebbero potuto unirsi in una preghiera per la pace in qualsiasi delle decine, forse centinaia di volte che si sono incontrati da quando il processo di Oslo è cominciato più di due decenni fa. Invece, i loro sforzi si sono impantanati nel corso degli ultimi 21 anni. Mentre Israele ha prosperato e l'Autorità palestinese è diventata un'entità a sé stante con una propria burocrazia statale, nessuna delle due parti si è avvicinata al compromesso necessario.

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Peres e Abbas hanno giocato la loro parte durante la cerimonia, impeccabilmente coreografata, che si è tenuta nei giardini ben curati del Vaticano. La musica era un sogno e la liturgia perfetta, ma nessuno dei due sembrava stesse facendo grandi preghiere. Nelle loro menti stavano probabilmente pensando che quella non era la religione come viene intesa in Medioriente.

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Sono troppo educati per farlo, ma se avessero detto a Papa Francesco quello che era nelle loro menti, avrebbero descritto un clima religioso in cui rabbini e sceicchi non pregano per la pace e la riconciliazione, ma invitano i loro seguaci a sconfiggere senza pietà la loro i nemici. Questo è il clima religioso in cui i due uomini torneranno dopo la breve tregua a Roma.

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Peres tornerà nel suo ufficio a Gerusalemme - già con gli scatoloni pronti visto che quest’anno scade il suo settennato alla presidenza - e poi in un nuovo ufficio a Tel Aviv, da cui cercherà di radunare le fila del sempre più piccolo "partito della pace". Abbas tornerà a Ramallah e all’attività precaria di cercare di mantenere in piedi la sua nuova coalizione con Hamas. E dovrà anche lottare per mantenere il sostegno del mondo arabo e di una comunità internazionale che sta rapidamente perdendo interesse nella causa palestinese.

Il papa ha gentilmente offerto a Peres e Abbas un giorno di riposo, ma con le sue preghiere ci faranno poco.

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2. NETANYAHU GELIDO SULL'INCONTRO CON IL PAPA, ATTACCA ABU MAZEN

Aldo Baquis per www.lettera43.it

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha accompagnato con un silenzio gelido la missione di Shimon Peres in Vaticano. L'invito di papa Francesco, che il capo di Stato ha accolto come un'occasione di «carattere storico», non ha trovato lo stesso entusiasmo nel governo. Venerdì 6 giugno la compagine a trazione nazionalista di Netanyahu ha sì dato a larga maggioranza il suo placet al viaggio del presidente, ma senza entusiasmo.

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E né il premier né il ministero degli esteri hanno poi voluto commentare in alcun modo l'incontro di preghiera tenutosi in Vaticano: incontro che pure in Israele è stato rilanciato con trasmissioni in diretta da tre dei maggiori siti web d'informazione (Ynet, Jerusalem Post e Haaretz).

MEDIA A FAVORE DELL'INCONTRO. I telegiornali - oberati dagli aggiornamenti sulle ormai imminenti elezioni presidenziali - alla «Invocazione di pace» hanno dedicato invece aggiornamenti più sintetici, ma con qualche nota di speranza.

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«Speriamo che finalmente si abbia una fumata bianca per la pace in Medio Oriente», ha auspicato uno degli inviati israeliani. «Quelle che vediamo sono immagini vincenti», ha concordato un commentatore.

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Ma a Gerusalemme, nei palazzi di governo, c'era ben altra atmosfera l'8 giugno. Di fronte al Consiglio dei ministri Netanyahu è tornato a biasimare Abu Mazen per il suo recente accordo di riconciliazione con una fazione, quella islamica di Hamas, «che invoca la distruzione di Israele».

DIFFIDENZA VERSO HAMAS. Ha poi avvertito che Hamas potrebbe gradualmente assumere il controllo dell'Anp e ha inoltre intimato al presidente palestinese di provvedere alla smilitarizzazione della Striscia di Gaza (roccaforte degli islamici). Non solo: ha anche deciso di presentare alla Knesset (parlamento) un emendamento che restringerà la facoltà del capo dello Stato di concedere la grazia a chi si sia macchiato di gravi fatti di sangue. L'emendamento prevede infatti che un giudice, nel momento della condanna, possa apporre una clausola che vieti esplicitamente la possibilità di una grazia presidenziale.

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Il provvedimento, che significativamente ha avuto via libera mentre Peres era in volo per Roma, non dovrebbe essere retroattivo. Ma indica con eloquenza che l'attuale esecutivo israeliano è intenzionato a mantenere una linea di fermezza verso quanti all'inizio del Millennio sono stati protagonisti dell'intifada armata palestinese: in particolare Marwan Barghuti, già popolare leader dell'ala movimentista di al-Fatah, detenuto in Israele con numerose condanne all'ergastolo sulle spalle, rispetto al quale circolano di tanto in tanto voci mai confermate di ipotetici provvedimenti di clemenza.

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IMPEDIRE SCAMBI DI PRIGIONIERI. Con questo emendamento il premier mira in sostanza a impedire o almeno a limitare futuri scambi di prigionieri come quello che ha consentito due anni fa la liberazione del caporale Ghilad Shalit. Incontrando in Vaticano il presidente Abu Mazen, Peres - secondo la stampa locale - ha indubbiamente messo Netanyahu in difficoltà. Il premier aveva infatti ordinato la sospensione delle trattative con i palestinesi, in ritorsione alla costituzione del governo di unità nazionale palestinese con il sostegno esterno congiunto di al-Fatah e Hamas.

Anche se l'ufficio del capo di Stato ha cercato di circoscrivere la crisi evidenziando il «carattere spirituale e non politico» dell'incontro in Vaticano. Nel frattempo espressioni di dissociazione dalla linea rigida di Netanyahu verso i palestinesi sono giunte anche dal leader del partito centrista Yesh Atid, Yair Lapid, ministro delle finanze. Polemizzando con la destra al governo, Lapid ha diffidato dal provocare Abu Mazen con l'annessione a Israele ''anche di una singola colonia''. Altrimenti, ha avvertito, Yesh Atid farà immediatamente cadere il governo.

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3 - PERES E ABU MAZEN PREGANO CON IL PAPA “PIÙ CORAGGIO PER LA PACE

CHE PER FARE LA GUERRA”

Marco Ansaldo per “la Repubblica

Dentro un pulmino, in un clima sereno, verso la pace. Una pace per la quale, dice Papa Francesco, «ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra». Così i quattro protagonisti di questo incontro inedito in Vaticano — il Pontefice cattolico, il Patriarca ortodosso, il presidente israeliano, il leader palestinese — arrivano da Casa Santa Marta, la residenza del Papa, nel luogo convenuto per la preghiera.

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Pregando però non assieme, ma ognuno per conto proprio, e ognuno il proprio Dio, per la distensione in Medio Oriente. Lo sfondo è il verde acceso dei Giardini vaticani. La regia di Jorge Mario Bergoglio. Dietro, un tocco d’arpa, il soffio di un flauto, la corda di violino. Note che fanno risuonare, anche questo per la prima volta, dentro le Mura vaticane i versetti del Corano.

«Dio, togli tutte le colpe!», invoca un rabbino. «Noi abbiamo intrapreso guerre, compiuto violenza», legge il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, ricordando le parole di Giovanni Paolo II. «O Dio, porta la pace nella terra della pace », recita un imam.

Avvolti dalla musica, i momenti di preghiera sono toccanti. Ma le parole non restano meno intense, soprattutto quelle pronunciate dai quattro protagonisti di una giornata memorabile, frutto del viaggio da poco concluso di Francesco in Giordania, Palestina e Israele. E sotto il suo sguardo, sostenuto anche dalla presenza del Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, tra l’israeliano Shimon Peres e il palestinese Abu Mazen scatta subito un abbraccio sentito appena si incontrano, e un altro alla fine con un doppio bacio. In mezzo, il simbolico impianto di un ulivo.

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Dalla Domus Sanctae Marthae, assurta per l’occasione a “palazzo presidenziale” con tanto di svizzeri alabardati alla porta, i quattro si infilano nel pulmino bianco insieme con padre Pierfrancesco Pizzaballa, custode di Terra santa. I volti sono rilassati. Nel breve tragitto c’è anche un momento di ilarità, e tutti scoppiano a ridere stretti fra i sedili.

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Ai Giardini dove li aspettano le quattro delegazioni e un’ottantina di giornalisti — molti gli israeliani e gli arabi, alla fine tutti concordi nel commentare positivamente la giornata — Francesco, Bartolomeo, Peres e Abu Mazen arrivano camminando assieme come su una linea invisibile. È una foto storica, una delle tante che regala questo pomeriggio. Francesco prende posto su una piccola pedana con accanto i due presidenti. Il Patriarca su un altro podio.

«Spero che questo incontro sia l’inizio di un cammino nuovo — esordisce il Pontefice — alla ricerca di ciò che unisce, per superare ciò che divide. Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro. Mai più la guerra! Con la guerra tutto è distrutto».

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Peres gli risponde: «Quando ero ragazzo, a 9 anni, mi ricordo la guerra. Mai più! Lei ci ha toccato con il calore del suo cuore. Lei si è presentato come un costruttore di ponti di fratellanza e di pace. Due popoli — gli israeliani e i palestinesi — desiderano ancora ardentemente la pace. Pace fra eguali. La pace non viene facilmente. Noi dobbiamo adoperarci con tutte le nostre forze per raggiungerla. Anche se ciò richiede sacrifici o compromessi».

È la volta di Abu Mazen: «Una pace giusta, una vita degna e la libertà. La libertà in uno Stato sovrano e indipendente. Noi ti chiediamo, Signore, la pace nella Terra Santa, Palestina, e Gerusalemme insieme con il suo popolo. Noi ti chiediamo di rendere la Palestina e Gerusalemme una terra sicura per tutti i credenti».

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Francesco ringrazia, e omaggia la partecipazione del «fratello Bartolomeo»: «Un prezioso sostegno». La cerimonia scorre mentre la sera comincia a scendere. Jorge Mario Bergoglio è assorto nella lettura dei testi. Shimon Peres compito. Abu Mazen ha la mano sul bracciolo della sedia, le gambe ognuna per conto suo, ma è ugualmente attento. Bartolomeo felice dopo il suo invito a Francesco per il recente viaggio comune a Gerusalemme. «Sarebbe stato importante — nota il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni — che la preghiera per la pace avvenisse a Gerusalemme, perché è lì la Città santa alle tre religioni e non il Vaticano».

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Aveva twittato Francesco al mattino, lanciando l’hashtag #weprayforpeace: «Tutti si uniscano alla preghiera». E dopo la messa invocava a «una Chiesa che sorprende e scompiglia», «capace di sorprendere ». Perché, aveva aggiunto, «la Chiesa che non sorprende va subito ricoverata in rianimazione».

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