DA "CE LO CHIEDE L'EUROPA" A "CE LO CHIEDE IL FONDO MONETARIO" CAMBIA POCO: ANCHE PITTIBIMBO, COME RIGOR MONTIS, SI APPELLA AGLI ORGANISMI INTERNAZIONALI PER RIUSCIRE A FARE LE RIFORME IN ITALIA -

La solita messa in scena delle raccomandazioni del Fondo monetario, suggerite dal Tesoro - Negli ultimi giorni sui computer di via Venti Settembre sono stati registrati febbrili scambi di e-mail con Washington…

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Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"

 

Da «ce lo chiede l’Europa» a «ce lo chiede il Fondo monetario internazionale». Nulla di nuovo sotto il cielo italiano: in ossequio alla (cattiva) consuetudine di tutti i governi, pure quello di Matteo Renzi cerca sponda Oltreconfine per varare le riforme in Italia. Vuoi perché manca il coraggio, vuoi perché, per convincere l’opinione pubblica oltre che per assicurare una foglia di fico ai partiti più timidi, l’autorevolezza di un organismo internazionale fa sempre comodo.

Christine Lagarde direttore del Fondo Moneteario internazionale Christine Lagarde direttore del Fondo Moneteario internazionale

 

Una sorta di benzina di qualità superiore nel motore di un meccanismo istituzionale, quello italiano, che fatica a girare a pieno ritmo. E così ieri è andato in scena un altro copione già visto. Con i «cattivi» ispettori Fmi arrivati da Washington a far finta di dettare l’agenda politica a Roma. 

 

A dispetto di dichiarazioni e annunci, dunque, pure Renzi si adegua alle «mode» e, in qualche modo, mostra primi segnali di debolezza. C’è da scommettere che nei prossimi giorni l’ex sindaco di Firenze invocherà proprio le raccomandazioni del Fondo quando presenterà nuove proposte per  rilanciare l’economia e per migliorare le condizioni di salute delle finanze pubbliche tricolore.

 

Esattamente come Mario Monti che, quando arrivò a palazzo Chigi nel tormentato novembre 2011, ripeteva come un mantra «ce lo chiede l’Europa» per far ingoiare ai cittadini i salassi fiscali e le stangate sulle pensioni. Per dire: nel 1992 Giuliano Amato ebbe molto più «coraggio» quando varò la rapina sui conti correnti: tutta farina del suo sacco. 

 

RENZI E MONTI A PALAZZO VECCHIO RENZI E MONTI A PALAZZO VECCHIO

E così ieri l’Fmi ha squadernato un articolato elenco di compiti per l’Italia: ha detto che le misure finora varate da Renzi sono «ambiziose», ma servono «riforme più incisive» perché «la ripresa è fragile» e la «disoccupazione inaccettabile». Ragion per cui gli esperti del Fondo pretendono meno spesa per le pensioni e più investimenti sull’istruzione; in Italia, dicono, servirebbe «anche un riequilibrio di bilancio volto a ridurre le aliquote fiscali e ad aumentare la spesa produttiva» perché questo «può sostenere la ripresa».  La lista della  spesa è lunga e contiene pure l’esortazione a «ridurre il debito  senza far deragliare la ripresa dell’economia».  

 

Tuttavia, la ricetta Fmi non è una scoperta da premio Nobel: i cervelloni di Washington hanno messo sul tavolo proposte e indicazioni che da settimane, se non da mesi (o anni), sono al centro del dibattito di politica economica.  «Non è che vengono da Marte» osserva ironicamente un economista delle banche che, peraltro, dal Fondo hanno ottenuto l’invito, rivolto al governo Renzi, a introdurre sgravi tributari per la bad bank. 

 

L’Fmi non ha colto di sorpresa nessuno a via Venti Settembre dove, negli ultimi giorni, sono puntualmente stati registrati scambi febbrili di e-mail con Washington.  Tra Tesoro e Fmi  non mancano di certo i «canali» di comunicazione. Il rappresentante italiano al Fondo monetario, Andrea Montanino, vanta una lunga esperienza  al ministero. E lo stesso mister spending review, Carlo Cottarelli, era stato chiesto in prestito proprio all’Fmi dall’ex ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. Ma qui in ballo non ci sono né complotti né manovre di lobby internazionali, solo «dialettica e un confronto continuo» spiega una fonte. Ed è proprio in questo scambio di opinioni che ha preso corpo, forse, la richiesta di «differenziare i salari pubblici a livello regionale».

RENZI E BARROSO RENZI E BARROSO

 

Richiesta che sembra far gioco al governo, fresco di presentazione della riforma della pubblica amministrazione, destinata però a creare più di una grana coi sindacati se non  scioperi dei travet. Il titolare dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha detto che non si tratta  di «gabbie salariali» perché «il termine è demodè: evoca un periodo nel quale non si parlava di riassetto della Pa e di incentivi».

 

Disputa da linguisti a parte, è un altro assist (camuffato) per l’esecutivo. Come lo è quello sul «jobs act»: un contratto di lavoro a tutele crescenti, suggerisce l’Fmi, «aumenterebbe l’equità  riducendo il dualismo specialmente se dovesse sostituire gli attuali contratti a tempo indeterminato». Padoan ha finto di incassare il colpo e ha parlato di «voti non pieni, ma buoni». 

MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN

 

A preoccupare seriamente il ministro è invece la richiesta di apertura della procedura d’infrazione contro l’Italia sul mancato rispetto della direttiva Ue sui pagamenti della Pa. Il dossier arriva oggi sul tavolo della Commissione europea che dovrebbe far partire la lettera di formale messa in mora. 

 

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