Alessandro Trocino per il “Corriere della Sera”
Sono passati 30 anni esatti dalla morte di Enrico Berlinguer, avvenuta sul palco a Padova, il 7 giugno del 1984. Trent’anni dalla sua scomparsa e dall’affermazione della diversità morale dei comunisti. Anniversario che si celebra in un clima cupo, con un Partito democratico scosso dall’arresto del sindaco di Venezia Giorgio Orsoni e in preda a un dibattito nervoso. Un duello verbale interno che contrappone la vecchia e la nuova guardia, l’apparato bersaniano-dalemiano e le forze fresche renziane.
Non sono passate inosservate certe dichiarazioni di renziani, che hanno spiegato come con il nuovo corso non ci saranno più ambiguità. Come se il passato autorizzasse un contagio da zona grigia, una pericolosa contiguità con l’impurità affaristica. Ieri Matteo Renzi ha ammesso che anche nel Pd ci sono responsabilità e che non ha senso la distinzione «noi e loro». Del resto Orsoni, di cui Beppe Grillo ha pubblicato una foto con Bersani, è stato eletto con le Primarie e ha appoggiato Renzi.
Lorenzo Guerini e Guglielmo Epifani
Sulla stessa linea del leader si schiera Lorenzo Guerini, vicesegretario del Pd: «Noi e loro è un modo sbagliato per impostare la riflessione. C’è un dopo che riguarda tutto il Pd, nella sua interezza. L’eticità della politica non è una clava da brandire nel confronto interno». Quanto alla famosa diversità morale (già oggetto dell’ironia amara morettiana, con il suo «siamo uguali ma diversi»), Guerini è di un’altra generazione e decisamente lontano da una certa spocchia del passato: «Il tema della correttezza e della dimensione etica riguarda tutti e non credo che nessuno si debba ergere a professore.
Non è il caso di usare superficialmente il tema della questione morale di allora. Non abbiamo bisogno di formule retoriche, ma di meccanismi politici, culturali e normativi per impedire che certe cose si ripetano. Perché queste sono sfide che non si vincono una sola volta».
La purezza antropologica non esiste, sottintende Guerini, e il contagio del malaffare va combattuto ogni giorno. Per questo non nasconde un certo nervosismo Nico Stumpo, da sempre vicino a Bersani: «Renzi ha fatto un giusto intervento che supera alcune dichiarazioni sconvenienti e infantili di questi giorni. Non ci sono due Pd: c’è chi ruba e chi non ruba». Ma Stumpo ha altro da dire. Sulle Primarie, per esempio, con le quali è stato eletto Orsoni: «Io non sono uno di quelli che le ha esaltate acriticamente, come fossero un toccasana. Né chiedo di abbandonarle: sono solo uno strumento».
E sul garantismo: «Mi sempre un po’ affrettato far passare Orsoni da sindaco di Venezia a criminale comune. Il garantismo deve valere per tutti e fino al terzo grado. Se risultassero fondati gli addebiti naturalmente sarebbero gravi». Quanto alla diversità comunista, «è morta con il comunismo, ma il Pd è più attrezzato di altri nel combattere il malaffare».
Chi può chiamarsi fuori dal duello sterile interno, non essendo «vecchio» ed essendo all’opposizione del «nuovo», è Pippo Civati: «Che tristezza questo derby. Non mi interessa il vecchio film degli ex Margherita che rinfacciavano agli ex Ds il caso Penati e degli ex Ds che a loro volta rinfacciavano il caso Lusi. Piuttosto interveniamo su appalti, fondazioni oscure, selezione della classe dirigente».
Chi non ci sta a veder trascinato il partito nel fango è Nicola Latorre: «È una follia dire che il Pd sia organico alla corruzione. Siamo estranei a questo sistema. Certo, se ci sono singole personalità responsabili, che si mandino fuori a pedate, come dice Renzi. Ma non mi ergerò mai a giudice etico e ricordiamoci che ci sono stati diversi casi di personalità finite sui giornali e poi assolte».
La bersaniana Chiara Geloni non ha apprezzato la dichiarazione di Luca Lotti, che aveva spiegato come Orsoni sia indipendente e non iscritto al Pd: «Orsoni non è del Pd? Parole che sono una palese violazione del nostro statuto. Che dice come il Pd sia un partito costituito da iscritti ed elettori».
Se la politica è sotto accusa, anche la società civile ha le sue colpe. Alessia Morani prova «amarezza, rabbia e schifo» e chiede «un sano ricambio». Ma anche un intervento su «un certo modo di fare impresa che nuota nel brodo melmoso dell’illegalità».