ETRURIA INFELIX - QUEL PEZZO DI ARETINO CHE CAUSA TUTTI I PROBLEMI DI RENZI: IN POCHI CHILOMETRI IL CAMPETTO DELL'ATTERRAGGIO DI EMERGENZA DEL PREMIER, GLI UFFICI DI MUREDDU CHE MEDIO' L'INCONTRO CON CARBONI E LA TENUTA CHE FECE FINIRE SOTTO INCHIESTA PAPÀ BOSCHI... -

La tenuta di Badia al Pino è in mano ai Saporito: partiti dalla Calabria hanno acquistato terreni in mezza Toscana. Poi sono sbarcati ad Arezzo e hanno trovato papà Boschi pronto ad aiutarli - Gli investigatori non si spiegano le fonti delle loro disponibilità finanziarie e ipotizzano rapporti con la criminalità...

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pier luigi boschi pier luigi boschi

Vittorio Malagutti per “L'Espresso”

 

Quel giorno, il 2 marzo dell'anno scorso, un lunedì, Matteo Renzi doveva avere una gran fretta. Niente auto blu, allora. Per andare da Firenze a Roma si prende l'elicottero. Il premier però non aveva fatto i conti con la malasorte, perché pochi minuti dopo il decollo, il viaggio era già finito con un atterraggio di emergenza. «Colpa del maltempo», spiegarono le fonti ufficiali, smentendo le voci di un guasto al motore.

 

Ebbene, sarà un segno del destino, o forse la più incredibile delle coincidenze, ma Renzi sbarcò proprio nel luogo che ora è diventato l'epicentro dei sospetti e dei guai che imbarazzano la cerchia più stretta degli amici del capo del governo.

 

A cominciare dalla ministra Maria Elena Boschi, che a poche settimane di distanza dalla sua autodifesa in Parlamento, è già tornata nel mirino degli avversari politici per via delle discutibili frequentazioni di suo padre Pier Luigi, vicepresidente della disastrata Banca Etruria di Arezzo fino al commissariamento del febbraio 2015.

LA DORNA BADIA AL PINO BOSCHI LA DORNA BADIA AL PINO BOSCHI

 

Come raccontano alcuni articoli di giornale ("Libero" e "Panorama"), Boschi senior, classe 1948, è stato indagato e poi archiviato dal pm aretino Roberto Rossi per estorsione. Rossi è lo stesso procuratore che ora indaga sullo scandalo Etruria e che a fine dicembre aveva dichiarato al Consiglio Superiore della Magistratura di non conoscere nessuno della famiglia Boschi. A rendere meno credibili queste affermazioni è però arrivata la notizia di quella prima inchiesta su Boschi padre, chiusa proprio da Rossi nel febbraio 2014. 
 

L'indagine riguardava la compravendita di una porzione della grande tenuta agricola "La Dorna", distante una manciata di chilometri da Arezzo. La sorpresa è che il terreno oggetto del contendere si trova a poche centinaia di metri dal luogo, un campetto di calcio, dove meno di un anno fa prese terra l'elicottero di Stato che trasportava il presidente del Consiglio.

maria elena boschi maria elena boschi

 

E ancora più vicino, in frazione Badia al Pino di Civitella in Val di Chiana, sorge il capannone che ospitava gli uffici di una misteriosa società d'investigazione, la Sia srl, insieme a un'altra società, la Geovision. Proprio in quelle stanze, nel marzo del 2014, gli agenti della Guardia di Finanza, su mandato della procura di Perugia, sequestrarono decine di dossier su persone e aziende.
 

Al centro della vicenda c'è un imprenditore, sedicente massone, tale Valeriano Mureddu. Sarebbe lui, secondo l'ipotesi dei magistrati, a tirare le fila della Sia.

 

Ma Mureddu è anche l'intermediario che nell'estate del 2014, quando Banca Etruria è già in grave difficoltà, mette in contatto Boschi senior e il presidente dell'istituto, Lorenzo Rosi, con l'ottuagenario Flavio Carboni, un personaggio che naviga da decenni nelle acque più torbide dell'affarismo nostrano, dalla loggia P2 al Banco Ambrosiano per finire, più di recente, a una nuova presunta associazione segreta battezzata P3.
 

Fu Carboni, due anni fa, a suggerire il nome del manager Fabio Arpe come nuovo possibile direttore generale di Banca Etruria. Ci furono contatti, incontri, che però non portarono a nulla di concreto, com'era del resto prevedibile fin dall'inizio. Piuttosto appare sorprendente, a dir poco, che Boschi abbia potuto pensare di poter uscire dai guai grazie a consulenti dal curriculum non proprio rassicurante come Carboni o Mureddu.

 

VALERIANO MUREDDU VALERIANO MUREDDU

La vicenda si presta a molte letture, compresa quella che qualche manina (o manona) stia pilotando l'uscita delle notizie per procurare il maggior danno possibile al governo. Ma «stiamo ai fatti», come raccomandò di fare la ministra Boschi nell'ormai celebre discorso alla Camera dei deputati del 18 dicembre scorso.

 

E i fatti raccontano che alcuni affaristi dalla dichiarata appartenenza alla massoneria cercarono di inserirsi nella partita di Banca Etruria, che peraltro è da sempre al centro di indiscrezioni sul potere delle logge nella gestione dell'istituto.
 

I vertici della Popolare aretina, cioè Boschi e Rosi, invece di rispedire al mittente quelle offerte chiaramente irricevibili, finirono per accreditarle con tanto di incontri e lettere ufficiali. A peggiorare il quadro della situazione, già di per sé piuttosto inquietante, c'è anche un'altra circostanza, un altro "fatto", direbbe Maria Elena Boschi.

 

PIER LUIGI BOSCHI FLAVIO CARBONI PIER LUIGI BOSCHI FLAVIO CARBONI

Il loquace Mureddu, origini sarde, è cresciuto e vive a Rignano sull'Arno, sulla strada tra Firenze e Arezzo. Rignano è il paese della famiglia Renzi e l'improvvisato consulente di Banca Etruria in alcune interviste ha confermato trascorse frequentazioni d'affari con il padre del premier, Tiziano.
 

In questo intrigo su sfondo toscano, tra massoni veri e presunti, a un certo punto compare Fabio Arpe, banchiere dalla carriera accidentata («sei volte indagato sei volte archiviato», dice di sé) ora a capo dell'Arpe group.

 

Il diretto interessato minimizza la vicenda, ma spiega che il suo nome entra in gioco grazie alla segnalazione dell'imprenditore Gianmario Ferramonti, in ottimi rapporti con Carboni e in passato coinvolto, senza conseguenze penali, nell'inchiesta sulla megatruffa ribattezzata "Phoney Money". Intervistato nei giorni scorsi, Ferramonti si è dichiarato grande amico di Arpe, il quale invece ha ridimensionato i rapporti a una sporadica frequentazione passata.
 

A ben guardare però, nella carriera del banchiere compare un altro episodio che va a incrociare ambienti toscani legati al fiorentino Denis Verdini, l'ex coordinatore nazionale di Forza Italia che adesso con il suo gruppo di parlamentari fa da stampella al governo Renzi.

FLAVIO CARBONI FLAVIO CARBONI

Verdini si professa grande amico di Carboni ed entrambi sono sotto processo a Roma per la vicenda della cosiddetta P3, un'associazione segreta che secondo l'accusa avrebbe pilotato grandi affari e anche sentenze.

 

Dagli atti dell'inchiesta giudiziaria della procura di Firenze su alcuni appalti (Caserma dei Marescialli e G8 alla Maddalena) emerge che tra la fine del 2007 e la prima metà dell'anno successivo Verdini era intervenuto per far ottenere prestiti bancari a società del suo sodale Riccardo Fusi, titolare tra l'altro dell'impresa di costruzioni fiorentina Btp.
 

Tra i cinque istituti finanziatori compare anche la piccola Banca Mb con sede a Milano, di cui Arpe, secondo i documenti della camera di commercio, è stato amministratore delegato e infine vicepresidente fino agli ultimi giorni di giugno 2008. Un anno dopo, Banca Mb è arrivata al capolinea: Bankitalia ne ha disposto il commissariamento, cui ha fatto seguito la liquidazione coatta.

 

Il crac ha dato il via anche a un'inchiesta della magistratura. La posizione di Arpe è stata archiviata a gennaio 2015. Contattato da "l'Espresso", il banchiere prende le distanze da quel finanziamento all'amico di Verdini e spiega che quando l'operazione venne deliberata aveva già lasciato ogni incarico per «contrasti» con gli altri amministratori. 
 

flavio carboni flavio carboni

Dopo le vicende di Banca Mb, Arpe era di fatto scomparso dalle cronache finanziarie. E di sicuro avrebbe fatto volentieri a meno di tornare in scena adesso, tirato in ballo nella storiaccia di Banca Etruria.

 

Il crollo dell'istituto di credito, affossato da anni di cattiva gestione, ha travolto i risparmi di migliaia di aretini, azionisti e sottoscrittori di obbligazioni subordinate. La città è disorientata. Assiste con rassegnazione al declino dei poteri forti che per decenni hanno gestito ogni sorta di affare, dalle nomine negli enti pubblici ai finanziamenti bancari.
 

Uomo simbolo della vecchia nomenclatura è l'ex sindaco Giuseppe Fanfani, già deputato Pd, che nel settembre 2014 è stato eletto al Consiglio superiore della magistratura grazie ai voti del partito di Renzi.

 

Poco prima di lasciare (dopo otto anni) la poltrona di primo cittadino, Fanfani, guidò una vera e propria crociata contro la fusione di Banca Etruria con Popolare Vicenza, che alla fine saltò. Il suo studio legale, ceduto al figlio Luca dopo la discesa in politica, aveva come grande cliente l'istituto fallito due mesi fa. E adesso Fanfani junior difende anche Pier Luigi Boschi.
 

fabio arpe fabio arpe

A sorpresa, nel maggio del 2015, le elezioni amministrative hanno visto il successo, per poche centinaia di voti, di Alessandro Ghinelli, il candidato del centrodestra che ha battuto il renziano Matteo Bracciali. Il nuovo sindaco si è fin qui fatto notare soprattutto per una sorprendente dichiarazione.

 

Nel dicembre scorso, ai microfoni di un tv locale, Ghinelli spiegò serafico che il pluripregiudicato Licio Gelli, l'ex capo della P2 defunto poche ore prima nella vicina villa Wanda, andava considerato un «cittadino illustre» di Arezzo.
 

Pochi giorni dopo questo elogio al massone Gelli, ecco spuntare altri soggetti in odore di loggia segreta che pilotano dossier segreti e rocamboleschi salvataggi della banca toscana.

 

RENZI ELICOTTERO RENZI ELICOTTERO

E Pier Luigi Boschi s'imbarca sul treno di questi e altri affari ad alto rischio. Per comprare "La Dorna", 300 ettari di vigne e uliveti, il padre della ministra si era associato a due imprenditori agricoli calabresi, Francesco e Mario Saporito, padre e figlio. La mattina di lunedì 25 gennaio, i Saporito arrivano in auto nella loro tenuta e respingono a male parole l'inviato de "l'Espresso" che tenta di fare qualche domanda.
 

Le carte ufficiali raccontano che per anni una parte di quei terreni erano stati presi in affitto dalla Cooperativa Valdarno Superiore, a lungo presieduta dal padre della ministra. Le insegne della Coop, grande produttrice di Chianti, sono ancora visibili alle pareti di una vecchia rimessa per gli attrezzi vicino al casale semidiroccato che domina il podere.
Nel 2005 l'università di Firenze, proprietaria di "La Dorna", decide di metterla in vendita.

 

Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, a fine 2007 spunta Boschi per conto della cooperativa che presiede. Pochi mesi dopo, però, il contratto d'acquisto viene rilevato da una società controllata al 90 per cento dallo stesso Boschi e per il resto dai Saporito, che a metà 2009 restano azionisti unici.
 

RENZI ETRURIA 9 RENZI ETRURIA 9

L'inchiesta della procura di Arezzo, poi archiviata, riguardava la cessione, a fine 2008, di una piccola porzione della tenuta, solo due ettari. L'acquirente, tale Marco Apollonio, denunciò di essere stato costretto a saldare in nero una parte del pagamento, 250 mila euro su un totale di 460 mila. Da qui l'accusa per estorsione per Boschi padre, che aveva gestito l'affare. Accusa archiviata da Rossi a novembre 2013. L'evasione fiscale viene invece sanata con una sanzione amministrativa.
 

Adesso "La Dorna" è in mano ai Saporito, che sono partiti dalla Calabria dove possiedono grandi uliveti. Ad Arezzo gli investigatori non hanno saputo spiegarsi le fonti delle loro disponibilità finanziarie, ipotizzando rapporti con la criminalità. Nelle informative della Guardia di Finanza non vengono però citati fatti precisi e quindi, fino a prova contraria, valgono le smentite dei diretti interessati.

 

Fatto sta che negli anni scorsi i Saporito hanno acquistato terreni in mezza Toscana. Non solo in Valdarno, ma anche in provincia di Siena, a Chiusdino, non lontano dalla famosa abbazia di San Galgano. Poi sono sbarcati ad Arezzo e hanno trovato Pier Luigi Boschi pronto ad aiutarli.

 

 

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