DI MAIO VUOLE TENERE SOTTO SCACCO CONFINDUSTRIA MINACCIANDO L’USCITA DALL’ASSOCIAZIONE DELLE SOCIETÀ PARTECIPATE DALLO STATO - MA L’IPOTESI NON E’ FACILE DA REALIZZARE: I DIRITTI DELL’AZIONISTA SONO ESERCITATI DAL MINISTERO DELL’ECONOMIA E NON DAL MISE E POI NON È DETTO CHE UN'ENTRATA A GAMBA TESA DEL GOVERNO SULLE DECISIONI AZIENDALI POSSA ESSERE DIGERITA FACILMENTE DAI FONDI QUANDO DECIDONO DI COALIZZARSI…

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Andrea Bassi per “il Messaggero”

 

LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE

Nelle società partecipate dallo Stato la consegna è quella del silenzio. Sulla minaccia del ministro dello Sviluppo Economico di chiedere ai manager pubblici di far uscire da Confindustria le società partecipate dallo Stato, per adesso, meglio sorvolare. Ma fuor di taccuino, tra i manager pubblici, la sorpresa per le parole pronunciate da Di Maio nel confronto con il presidente degli industriali Vincenzo Boccia durante la trasmissione Bersaglio mobile, resta grande.

 

E l'idea sarebbe stata accolta con una certa freddezza. Non è, in realtà, la prima volta che il governo gialloverde ventila la possibilità di ritirare le partecipate dello Stato dal sistema confindustriale. Matteo Salvini avrebbe addirittura ipotizzato di approvare un decreto legge per obbligare le varie Eni, Enel, Leonardo, Poste, e tutte le altre partecipate ad abbandonare l'associazione degli industriali italiani.

LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE LUIGI DI MAIO GIOVANNI TRIA GIUSEPPE CONTE

 

TANTI DUBBI

Ma i dubbi sono tanti. Un decreto per obbligare delle società a lasciare un'associazione alla quale sono libere di aderire o meno suona un po' come un ossimoro, una contraddizione in termini. Ci sarebbe la moral suasion, un' azione di pressing sui manager nominati dal governo per abbandonare Confindustria.

 

Anche in questo caso le controindicazioni non mancherebbero. La prima considerazione è che l'azionista delle grandi controllate pubbliche non è il ministero del lavoro né quello dello Sviluppo economico guidati da Di Maio, e nemmeno il ministero dell' interno a cui capo c'è Salvini. I diritti dell' azionista sono esercitati dal ministero dell' Economia, dove siede Tria.

 

vincenzo boccia filippo tortoriello (3) vincenzo boccia filippo tortoriello (3)

Il problema più rilevante è però un altro. Il governo, tramite il Tesoro, è azionista di maggioranza relativa delle società pubbliche, ma la quota maggiore delle azioni è in mano a investitori istituzionali, spesso fondi stranieri. In Enel il Tesoro ha il 23,5%, in Eni solo il 4,34% (un altro 25,7% è detenuto tramite la Cassa Depositi e Prestiti), e così in Poste e Leonardo. Solo in alcuni casi, come in Ferrovie, detiene la totalità del capitale.

 

Non è detto che un'entrata a gamba tesa del governo sulle decisioni aziendali possa essere digerita facilmente dai fondi che, è bene ricordarlo, quando decidono di coalizzarsi su un obiettivo comune hanno una certa facilità a mettere in minoranza chi ha una quota rilevante ma non di controllo assoluto. Il ribaltone in Telecom, dove i fondi hanno affiancato la Cdp e Elliot, dovrebbe fare da scuola.

singer fondatore fondo elliott singer fondatore fondo elliott

 

Rispondendo a Di Maio, il leader degli industriali Boccia ha detto che «se loro decidono di farle uscire (le società pubbliche, ndr), Confindustria si dispiace ma non chiude». In effetti le società statali sono un contribuente sicuramente importante per l' associazione, ma di certo non vitale.

 

Tutte insieme hanno versato al sistema territoriale di Confindustria 13,7 milioni di euro nel 2017, di cui 1,29 milioni di euro sono arrivati direttamente a Viale dell' Astronomia. Per l'associazione si tratta del 3,6% dei contributi totali di tutte le imprese aderenti, che ammontano complessivamente a 35,9 milioni di euro.

 

VINCENZO BOCCIA CONFINDUSTRIA VINCENZO BOCCIA CONFINDUSTRIA

Anche dal punto di vista politico il peso delle società pubbliche non è determinante. Nel Consiglio generale del 2017-2019 sono riconducibili alle imprese a controllo pubblico nove componenti su 201, il 4,4% del totale. Insomma, più che la Confindustria, a preoccuparsi del messaggio di Di Maio dovrebbero essere i manager pubblici, alcuni dei quali sono stati accusati dallo stesso ministro del lavoro di utilizzare a mani basse i contratti precari che lui, con il suo decreto, sta cercando di combattere.

 

 

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