Agostino Gramigna per il Corriere della Sera
Il giorno dopo l' assalto armato alla sede del settimanale satirico Charlie Hebdo , costato la vita a 12 persone, Maurizio Belpietro, allora direttore di Libero, aveva titolato: questo è l' Islam. «Sono finito in tribunale, per aver espresso un' opinione. Non è stata la prima volta». Nei giorni scorsi è uscito l' ultimo libro del giornalista, conduttore tv, attuale direttore di La Verità , dedicato all' Islam e alla sottomissione italiana. Questa almeno è la tesi dell' autore.
Belpietro, il suo è un pensiero fisso. Rassomiglia a un fatto personale...
«Macché. C' è un grosso problema. Lo dicono i fatti, i numeri, quelli di un terrorismo internazionale che uccide in nome dell' Islam; dei delitti commessi da parte di gente che ha una matrice culturale e che in nome di quella commette omicidi e stupri. Come si fa a non vedere?».
Chi non vede?
«L' Occidente, in nome del multiculturalismo e del buonismo. A capodanno 2016 a Colonia c' è stato uno stupro di massa di donne e persino la polizia ha dato ordine di non pronunciare l' origine etnica di chi ha commesso quei delitti».
Gli occidentali dovrebbero difendere i nostri valori? Invita allo scontro?
«Io rivendico il diritto di parola. Sarò libero di dire che certe cose dell' Islam non mi piacciono senza finire in tribunale? Che non tollero i tanti imam di casa nostra che di fronte all' evidenza dei delitti sostengono che la colpa è dell' Occidente o del colonialismo?».
Questa sarebbe l'«islamofollia» di cui parla?
«Sì. Il muro del silenzio su una questione che tocca i diritti, la libertà di espressione. Altro che accusare me di islamofobia. Io parlo».
Con chi ce l' ha?
«Con il politicamente corretto, imperante a sinistra. Le pare ammissibile il silenzio di quel campo sulle condizioni di oppressione in cui sono costrette a vivere molte donne islamiche nel nostro Paese?».