NESSUNO È DACCÒ-RDO E FORMINCHIONI TREMA - IL FACCENDIERE MESSO ALLE STRETTE DALLE TESTIMONIANZE DEGLI ALTRI IMPUTATI - IL MANAGER MOZZALI (OGGI IN CARCERE), CHE ERA LA SPIA DI PASSERINO, PARLA CHIARO: “NIENTE PUÒ GIUSTIFICARE LE DAZIONI A DACCÒ, A PARTE IL FATTO CHE ERA CONSIDERATO UOMO MOLTO VICINO AL CONSIGLIO REGIONALE” - “SVOLGEVA UN LAVORO POLITICO. I CONTRATTI PER PAGARLO ERANO FITTIZI” - IL CERCHIO SI STRINGE…

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Davide Carlucci per "la Repubblica"

IL POLLICE VERSO DI ROBERTO FORMIGONIIL POLLICE VERSO DI ROBERTO FORMIGONI

«Non conosco alcun profilo effettivo che possa giustificare le dazioni a Daccò, a parte il fatto che era considerato uomo molto vicino al consiglio regionale». È quest'affermazione, secca e perentoria, a dare una sicurezza in più ai magistrati che indagano sul faccendiere che dissipava i fondi (privati, ma alimentati dalla Regione con rimborsi da oltre 150 milioni di euro in 7 anni) della fondazione Maugeri.

UMBERTO MAUGERI E COSTANTINO PASSERINO jpegUMBERTO MAUGERI E COSTANTINO PASSERINO jpeg

A riferirla è Gianfranco Mozzali, il manager che, per conto del direttore amministrativo Costantino Passerino, gestiva i rapporti con Piero Daccò. Passerino lo mandava alle cene da Sadler, a Milano, o ai meeting di Cl, a Rimini, dove tra gli ospiti sedevano, ai tavoli d'onore, Roberto Formigoni e i big della burocrazia sanitaria lombarda. Mozzali ci andava contro voglia, nemmeno gradiva quella cucina così elaborata e quei vini francesi dai nomi così pretenziosi.

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«Mozzali era per così dire la spia di Passerino: a lui riferiva chi erano presenti alla cena e ciò è quello che serve per il mio lavoro», ricorda Daccò. Se è così, Mozzali - in carcere dal 13 aprile - il suo lavoro di osservatore per conto terzi lo faceva bene e molto ha riferito ai pm. Anche perché, alla fine i soldi della Maugeri per Daccò e Antonio Simone (l'ex assessore Dc arrestato insieme agli altri) passavano attraverso la sua società, la Mds.

formigoni vacanzaformigoni vacanza

A tutti i magistrati che lo hanno interrogato, Mozzali, difeso dall'avvocato Luigi Servi, ha detto la sua verità, in termini molto chiari: «I contratti (con cui pagare Daccò, ndr) erano fittizi». E perché, se «Daccò - continua il manager - non aveva competenze particolari»? Per i pm è ormai assodato che fossero solo un modo per retribuire il gran cerimoniere dei viaggi del presidente della Regione Lombardia, da lui ospitato durante le sue vacanze in yacht, in jet privati, nelle vacanze ai Caraibi e persino in Brasile, nel 2007: anche quest'ultima destinazione è stata confermata da Daccò nel suo ultimo interrogatorio due giorni fa. In questo caso, però, Formigoni lo avrebbe rimborsato.

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Ma oltre alle «altre utilità a favore del presidente Formigoni», come le hanno definite, i pm stanno martellando arrestati e testimoni su un altro tema. Su quale fosse, cioè, la natura reale delle prestazioni offerte da Daccò. Una traccia la fornisce Mozzali: «Anche con riferimento alla vicenda Sicilia, credo che i rapporti con Daccò fossero dovuti alla necessità di essere introdotti a livello politico».

Con FormigoniCon Formigoni

Dunque, era «politico» il lavoro di Daccò. A Milano come a Palermo. Gian Piero Biancolella, l'avvocato di Daccò, riconduce tutto a un'attività di lobby. Ma la tesi del «disincaglio» dei fondi erogati in ritardo dagli enti locali stride un po' con le dichiarazioni di Mozzali. Martedì Daccò l'ha riproposta ai pm che lo interrogavano. Ha spiegato in cosa consistesse la sua attività di «sensibilizzazione» dei vari assessori e funzionari regionali alla sanità alle cui porte andava a bussare per sottoporre i «desiderata» dei suoi clienti.

Formigoni OKFormigoni OK

Ma quel che ha detto non è ancora tutto, ritengono i magistrati. Resiste, tenta di «ridurre il danno», come hanno scritto i giudici del Riesame. Anche perché gli altri protagonisti dello scandalo hanno detto altre cose. Passerino, per esempio, ricorda che Daccò avrebbe giustificato le sue richieste «pressanti» di denaro dicendo che i suoi referenti «erano esosi». Daccò smentisce. Ma anche Umberto Maugeri (assistito dall'avvocato Fabrizio De Sanna) fornisce una versione che porta a lui quando spiega quale fosse la parola d'ordine, in Regione: per ottenere qualsiasi cosa, bisogna passare da Simone e da Daccò. A che titolo? Non si sa. «Conosco Antonio Simone. Non conosco attività riferibili a lui», fa
mettere a verbale Mozzali. Così va il mondo anche nell'efficiente Lombardia: per avere ciò che le spetta, un gioiello della ricerca e della sanità privata deve bussare alle porte della politica.

 

 

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