Fabio Martini per la Stampa
Nella stessa sala dell' hotel Ergife dove Bettino Craxi nel 1993 fece la sua ultima apparizione da leader del Psi, prende la parola Matteo Renzi e pronuncia l' atteso mea culpa con un garbo in lui inusuale.
Davanti a centinaia di quadri del Pd l' ex rottamatore sciorina espressioni politicamente corrette, quasi candide: «La prima regola del nuovo corso è ascoltare di più, io per primo», «un uomo si vede da come porta le proprie ferite», fino a pronunciare la frase che vorrebbe segnare la maggiore discontinuità: «C' è più bisogno di noi che di io».
In un discorso durato 58 minuti, il premier sconfitto ha pronunciato un' articolata autocritica dopo la batosta referendaria del 4 dicembre - autocritica spesso più emozionale che fattuale - anche se l' attesa maggiore da parte dei quadri del Pd e dell' opinione pubblica coinvolta era contenuta nella domanda più ricorrente nei corridoi dell' Ergife: da una autentica autocritica prenderà corpo un "nuovo" Renzi, oppure si va verso un restyling tattico?
L' ex presidente del Consiglio sta privatamente coltivando nuovi progetti e un diverso stile di vita, ma intanto ha iniziato a tratteggiare un primo autoritratto del Matteo pubblico che verrà. Un Renzi che, nelle sue stesse intenzioni, dovrebbe archiviare una certa immagine del "renzismo" esteriore e tener vivo il nucleo duro del "renzismo" politico. Certo, sul piano politico, almeno per il momento, il premier uscente ha dovuto assecondare - e subire - una certa "normalizzazione". Voleva un Renzi-bis per andare nel giro di qualche settimana alle elezioni anticipate e ci ha dovuto rinunciare.
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Accarezzava l' idea di Primarie ri-legittimanti da farsi a fine febbraio e ci ha dovuto rinunciare. La "normalizzazione" di Renzi si è potuta leggere negli interventi dei due ministri che nei giorni scorsi più si sono battuti dietro le quinte per assorbire le istanze renziane e che hanno lanciato ponti d' oro verso il leader ridimensionato. Hanno detto all' unisono Dario Franceschini e Andrea Orlando:
«Matteo, la tua sconfitta è la sconfitta di tutti». Risultato: nessuno, a parte Gianni Cuperlo, ha approfondito più di tanto le ragioni e le conseguenze politico-sociali della vittoria del No, meno che mai la minoranza, protagonista di uno spettacolare forfait: non hanno parlato Bersani e D' Alema ma neppure Roberto Speranza, che pure si è candidato in nome di un ritrovato ruolo del partito.
Renzi a questo punto si è "rassegnato" a votare a giugno e anche se nessuno può garantirgli questo timing, d' ora in poi il segretario del Pd riorganizzerà tutto se stesso su questo traguardo. Primo obiettivo confidato: abbassare il profilo, sgonfiare la "bolla comunicativa" che lo ha circondato, riducendo le presenze televisive. E anche quelle in giro per il Paese: «Non mi vedrete a fare tour per l' Italia o giri in camper».
Un distacco esibito che Renzi intende concretizzare con due-tre viaggi all' estero, viaggi di approfondimento, di "aggiornamento professionale" al massimo livello e non finalizzati ad incontri politici. Su un piano parallelo Renzi sta lavorando ad un libro, a cavallo tra consuntivo e progetto per la "nuova" Italia che dovrebbe andare in libreria a febbraio. Progetti che dovrebbero avere protagonista un Renzi che, dice lui, sarà più attento all'«umanità» e per farlo credere, ha raccontato di aver preparato gli scatoloni «di notte, per non farmi vedere».
Nel frattempo Paolo Gentiloni, che Renzi ha voluto a palazzo Chigi, è uscito dall' Ergife convinto di una cosa: la ribadita leadership di Renzi e il rinvio del congresso Pd consentono al governo di navigare nelle prossime settimane senza scosse "innaturali".