RENZI VS "REPUBBLICA": ATTACCATE ME, NON I FASCISTI - L'IRA DEL SEGRETARIO PD IN UN SMS ALL'EX DIRETTORE MAURO: "QUANDO TI TROVERAI IL GOVERNO SALVINI, CON L'APPOGGIO ESTERNO DI CASAPOUND, SARAI FIERO DEL FATTO CHE..." – UN SUO FEDELISSIMO RINCARA: "C’E’ UNA SINISTRA INTELLETTUALE, BEN INCARNATA DA REPUBBLICA", CHE RIMPIANGE IL PCI"

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Laura Cesaretti per il Giornale

 

Il tempo di leggere l'editoriale di Repubblica, e il j'accuse contro una «sinistra che dimentica la sua storia» e che - sul caso Macerata - non sa «leggere i fenomeni per quel che sono».

 

Poi, di buon mattino, dal telefonino di Matteo Renzi parte un aspro messaggio diretto all'autore del commento: Ezio Mauro: «Leggo il tuo editoriale. E apprezzo come, in un intero articolo, tu sia riuscito a non dire che quel fascista ha sparato contro la sede del Pd, per quello che noi abbiamo fatto in questi anni», esordisce il segretario Dem. L'ex direttore di Repubblica, incalza Renzi, non scrive neppure «che il Pd ha deciso di andare alla manifestazione dell'Anpi.

 

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Che il Pd è a Macerata con il suo sindaco, con il ministro dell'Interno, con il ministro della Giustizia, con il vicesegretario», prosegue ricordando le numerose visite che si sono susseguite in questi giorni e la candidatura di Minniti nel collegio marchigiano. Per poi concludere, rivolto sempre ad Ezio Mauro: «Continua pure ad attaccare me. Quando ti troverai il governo Salvini, con l'appoggio esterno di CasaPound, potrai essere fiero del fatto che le uniche parole su Macerata le hai spese contro Renzi. Non contro i fascisti».

 

Una reazione durissima ad una critica che per giorni, dalle colonne di Repubblica, ha bollato come troppo tiepide e caute le reazioni del Pd alla tentata strage razzista nella città delle Marche, e che ieri è culminata nell'editoriale con cui Mauro rimprovera al Pd di essersi ridotto ad un «comitato elettorale» che a suo parere «non ha più ideali politici a cui riferirsi perché vive nell'estemporaneo» ed è diventato «subalterno al senso comune». Dietro le parole dell'ex direttore di Repubblica si intravede il rimpianto per «le grandi culture politiche di riferimento e la loro pedagogia» che, traduce un esponente del Pd renziano, si spiega in un solo modo: «C'è una sinistra intellettuale, ben incarnata da Repubblica, che si sente orfana del Pci, della sua ideologia e dei suoi riflessi, e che non se ne capacita. Basti vedere come hanno commentato la le nostre liste, lamentando una decimazione dei candidati di provenienza comunista, come se nel Pd del 2018 fosse ancora questo il problema». Di qui l'accusa a Renzi di «inseguire impossibili elettori di destra col rischio di aprire altre falle a sinistra», come scrive Mauro.

 

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È l'ennesimo capitolo di un difficile rapporto tra l'ex sindaco di Firenze, che della sinistra salottiera e post-Pci non ha mai fatto parte, e il quotidiano di riferimento di quella sinistra. Rapporto che ha vissuto fasi alterne, anche a causa di una linea sempre più ondivaga di Repubblica, lacerata da scontri intestini culminati nella rissa tra De Benedetti e Scalfari, e nell'uscita del condirettore Tommaso Cerno, emigrato direttamente dalla redazione di Largo Fochetti alle liste del Pd. Il caso Macerata diventa così nuovo terreno di polemica con un Pd che tenta faticosamente di coniugare sicurezza e solidarietà («Sono fiero delle vite di migranti salvate dal nostro governo, ma sottovalutare la paura dei cittadini sarebbe un errore clamoroso», ha sintetizzato ieri Renzi) e che non insegue la sinistra radical in un «antifascismo» di maniera che finisce per inneggiare alle foibe. E difficilmente a Repubblica piaceranno le parole del ministro Minniti: «Il fascismo in Italia è morto per sempre, e non ha certo lasciato un buon ricordo». «Sono d'accordo, è morto ma la sinistra parla solo di quello», replica Giorgia Meloni.

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Mario Calabresi e Dario Cresto-Dina (foto Stefania Casellato) Mario Calabresi e Dario Cresto-Dina (foto Stefania Casellato)

 

TOMMASO CERNO MARIO CALABRESI TOMMASO CERNO MARIO CALABRESI

 

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