REQUIEM PER L’ARTICOLO 18 (E PER IL PD) - LA CAMERA DICE SÌ AL JOBS ACT MENTRE I DEMOCRATS SI SPACCANO - ORA LA PALLA PASSA AL SENATO (SONO DOLORI VERI) - RENZI: “GRILLO HA FATTO USCIRE I CINQUESTELLE DALL’AULA PERCHÉ QUALCUNO DEI SUOI POTEVA VOTARE CON NOI”

Il Pd è frantumato: nella sinistra dem ci sono i “trattativisti” e i dissidenti. In serata è arrivato un “contro documento” a difesa del Jobs Act di Area riformista, la corrente di Roberto Speranza e Maurizio Martina - La legge passa ora al Senato e lì la battaglia riprende con più rischi per il governo…

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Giovanna Casadio per “la Repubblica

 

In trecento escono dall’aula di Montecitorio. Il Jobs Act passa senza di loro, senza cioè il fronte delle opposizioni che va dalla Lega a Sel, al M5Stelle. Ma soprattutto senza un pezzo della sinistra Dem. Sono 316 i sì alla riforma del mercato del lavoro che Renzi considera una pietra miliare della politica del governo.

IL SALUTO TRA RENZI E BERSANI IL SALUTO TRA RENZI E BERSANI

 

Si abolisce l’articolo 18 e nel Pd esplode il caos. Il partito è frantumato. La minoranza interna si spacca. In 29 firmano un documento in cui lanciano la sfida al premier. Insieme a Cuperlo, Fassina, Boccia, Bindi, Zoggia, D’Attorre, ci sono anche Michela Marzano, Carlo Galli, Roberta Agostini. In tutto gli assenti dem al momento dell’approvazione sono 40, mentre Pippo Civati e Luca Pastorino votano contro e altri due si astengono. Anche se il dissenso “organizzato” si ferma a 33 parlamentari.

 

VIGNETTA VINCINO DAL FOGLIO RENZI BERSANI ABUSI SUI MINORI VIGNETTA VINCINO DAL FOGLIO RENZI BERSANI ABUSI SUI MINORI

Renzi incassa la vittoria, però si sfoga: «I nostri che sono usciti si sono messi insieme a Brunetta e ai grillini, si ritrovano con loro». Marca, il premier, la differenza tra i dissidenti e chi, come gli ex segretari del Pd Bersani e Epifani, hanno votato a favore, nonostante i dubbi. «Ho fatto un accordo serio - spiega - con Bersani, Epifani, Speranza, Orfini e al di là di tutto, abbiamo dimostrato di avere la maggioranza assoluta. E l’abbiamo fatto senza voto di fiducia, così tutti si sono potuti dichiarare. E se i grillini sono usciti dall’aula è perché Grillo sapeva che qualcuno di loro avrebbe potuto votare con noi».

 

Il Pd è un puzzle di posizioni contrastanti. Nella stessa sinistra dem la tensione vede contrapposti i “trattativisti” e i dissidenti. Tanto che a sera arriva un “contro documento” a difesa del Jobs Act di Area riformista, la corrente che ha in Roberto Speranza e nel ministro Maurizio Martina i suoi leader. È un pesante atto d’accusa ai dissidenti giudicati privi di senso di responsabilità: «Senza di noi saltava il numero legale e il governo».

 

Stefano Fassina Stefano Fassina

Speranza e Cesare Damiano dicono che c’è «un problema politico » e in direzione bisognerà parlarne. Rischiano espulsioni? È lo stesso Renzi a sgombrare il campo: «Niente provvedimenti. Certo, ci sarà il tema della disciplina di partito in vista della lista unica dell’Italicum, ma non sono previste sanzioni».

 

Ritiene, in pratica, i dissidenti isolati. E il premier elenca le ragioni di soddisfazione: «Abbiamo tolto l’articolo 18, e volete che non ci siano dei dissidenti? Ci dicevano che i dissidenti sarebbero stati 80 e invece sono 30. Ci dicevano che saremmo stati attaccati al voto di Forza Italia, invece ce l’abbiamo fatta da soli. FI ha adottato l’atteggiamento più cattivo, perché ha provato a far mancare il numero legale con i grillini e Brunetta è rimasto fuori dall’aula insieme a Sel».

 

La sinistra dem non arretra. Il Jobs Act passa ora al Senato e lì la battaglia riprende con più rischi per il governo, visti i numeri risicati. Cuperlo rivendica le contestazioni di merito: «Paura di andare contro lo Statuto del Pd? Confidiamo nelle nuove regole sul licenziamento disciplinare...», ironizza.

 

cena di finanziamento del pd a roma matteo orfini cena di finanziamento del pd a roma matteo orfini

I dissidenti organizzano una conferenza stampa volante subito dopo il voto a Montecitorio. Sottolineano di essere «un ponte, un gancio con tutto quel mondo che rischia di non andare a votare». L’astensionismo record alle regionali di domenica in Emilia Romagna e le proteste dei lavoratori in vista dello sciopero generale di Cgil e Uil del 12 dicembre, sono ben presenti alla si- nistra dem.

 

Ma quanta sinistra è rimasta nel Pd? È la domanda che i dissidenti rilanciano proprio a partire dalla riforma del lavoro. Una sinistra che Massimo D’Alema avverte essere indispensabile se il Pd vuole vivere: «Parte del nostro elettorato è disaffezionato e questo dimostra che l’illusione di buttare via l’elettorato di sinistra per conquistare quello di centrodestra è sbagliata».

roberto speranza roberto speranza

 

L’ex premier al Tg2 torna a contestare Renzi e il governo: «Il calo dell’affluenza alle urne è un problema politico, non identitario, perché non molto tempo fa avremmo avuto un risultato straordinario che nasceva dalle molte speranze di cambiamento. Ma queste, in parte, cominciano a essere deluse». Rimprovera al premier «il disprezzo e l’insulto nei confronti del sindacato».

 

maurizio martina maurizio martina

Più dura la reazione di Stefano Fassina, l’ex viceministro del governo Letta che si dimise dopo la battuta di Renzi “Fassina, chi?”: «Renzi delegittimando i rappresentanti dei lavoratori alimenta tensioni sovversive e corporative». Boccia, il lettiano presidente della commissione Bilancio, giudica la riforma del mercato del lavoro «un gran pasticcio» e resta al merito. Enrico Letta è assente. Su Pippo Civati gli strali del partito per quel “no” che sembra l’anticamera dell’addio al Pd. Ma Civati spiega: «Nel momento in cui i lavoratori non si sentono rappresentati bisogna avere la chiarezza di votare contro in aula».

 

 

 

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