RITRATTONE AL VELENO DI ANTONIO DI PIETRO BY PERNA: “E’ FINITO IN BRAGHE DI TELA SENZA STIPENDIO ALLA SERRAVALLE. NE HA COMBINATE DI COTTE E DI CRUDE. DALLA MERCEDES CHE DA MAGISTRATO SI FECE PRESTARE ASSIEME AI 120 MILIONI DI LIRE SENZA INTERESSI AI DUE APPARTAMENTI COMPRATI E AFFITTATI ALL’IDV. LA SUA PARABOLA E LO STRANO LEGAME CON I SERVIZI SEGRETI USA”

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Giancarlo Perna per “La Verità”

antonio di pietro magistrato antonio di pietro magistrato

 

Se non fosse che ne ha fatte troppe, Antonio Di Pietro farebbe perfino un po' pena. Al più noto dei molisani, giunto a 66 anni, non ne va più bene una. Nel quarto di secolo in cui ha imperversato come pubblico ministero, politico e ministro, si diceva di lui: due braccia rubate all' agricoltura. Tanto è vero che, lasciato il Parlamento nel 2013, fece ritorno al suo podere di Montenero di Bisaccia. Fu immortalato in canottiera mentre viaggiava sul trattore e pensammo tutti a un commiato definitivo dalla vita pubblica dopo i pasticci combinati. Invece, non ha resistito.

 

ANTONIO DI PIETRO ANTONIO DI PIETRO

Sei mesi fa ha parcheggiato l'aratro in cascina ed è tornato in circolo come presidente della Pedemontana, società autostradale lombarda. E qui è sorta la prima grana. Vige, "infatti, una stramba legge che impedisce ai pensionati ex dipendenti pubblici di essere stipendiati se tornano a lavorare. Essendo stato, per così dire, magistrato, Totò deve fare il presidente gratis et amore dei.

 

Il fatto, giustamente, non gli è andato giù e aveva concordato col governatore, Bobo Maroni, un compenso in via eccezionale di 60.000 euro lordi l'anno. Al netto, neppure un gran cifra. Ma in dicembre, ostando la legge, la Giunta regionale non ha approvato la spesa e Di Pietro è rimasto con un palmo di naso. Se n'è fieramente lamentato. «Lavoro tutti i giorni, notte e giorno: in Pedemontana non ci sono né amministratore delegato né direttore generale, mi tocca fare prete e sagrestano». E che diamine, peggio del servizio militare, ha concluso.

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Insomma, Totò dà l'impressione di uno bisognoso di grana. Nonostante goda, penso, di una buona pensione come magistrato e di una eccellente come politico. È stato infatti parlamentare nazionale per tre legislature, europeo per due e altrettante volte ministro. Inoltre, essendo di querela facile, ha intascato per decenni i favolosi risarcimenti che i magistrati, suoi colleghi, gli hanno fatto avere da giornali e avversari.

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Fonte di reddito alla quale è tuttora attaccatissimo tanto che nel giugno dell' anno scorso si lamentò per radio che Vittorio Sgarbi, malgrado le condanne, non gli avesse versato centinaia di migliaia di euro. La risposta di Sgarbi giunse immediata, sempre via etere: «Perché mai dovrei pagare Di Pietro? Vi sembra giusto prendere denari alla gente solo perché parla? Di Pietro è uno che ha messo in moto una macchina per cui sono morti Gabriele Cagliari, Sergio Moroni, altri». Sistemato.

 

Questa fregola di danaro, oltre che vizio caratteriale, è forse uno stato di necessità, frutto degli azzardi di cui Totò ha disseminato il suo cammino. Qualche mese fa, è venuto al pettine quello che, a occhio nudo, pare un perfetto sopruso dell'ex pm verso due alleati, i comunisti Achille Occhetto e Giulietto Chiesa. Nelle europee 2004, infatti, i due sprovveduti si appaiarono col loro movimento, il Cantiere, all' allora capo di Idv.

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Quando però furono liquidati i cinque milioni di rimborsi elettorali, Di Pietro con un colpo di mano se li pappò da solo senza dividerli con i compagni di strada. La relativa causa si è trascinata per lustri finché, nell' agosto del 2016, il Tribunale di Roma ha ingiunto a Totò di restituire ai buggerati il maltolto: 2,7 milioni. Pensate che l'ex toga si sia inchinato all'ordine legale?

 

Neanche per sogno. Ha fatto il solito viso truce con gli occhi da matto, ha minacciato querela - e ti pareva! - ai giornali e proclamato di non dovere niente a nessuno. Farà opposizione, ci sarà un processo e chi vivrà vedrà. Il classico piantagrane italico. Tuttavia, anche se fa il rodomonte, si intuisce che, sotto sotto, tante negatività tutte assie " me gli danno un senso di precarietà e una certa strizza.

 

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Per completare, gli è poi piombato tra capo e collo la scorsa settimana l'antipatico allaccio tra lui e i fratelli Occhionero, i presunti spioni. Il maschio, l' ingegnere Giulio, legatissimo agli americani aveva - pare in nome loro - trattato in loco nel 2005 la costruzione nel porto di Taranto di un molo per container.

 

L'anno dopo, diventato Di Pietro ministro delle Infrastrutture del Prodi II, la pratica era finita sul suo tavolo. Secondo le cronache di questi giorni, saputo che gli Usa erano interessati, il ministro si sarebbe precipitato a soddisfarli. Firmò, infatti, un emendamento ad hoc nella Finanziaria che dava via libera ai lavori nel porto ionico. Non se ne fece poi nulla perché Occhionero scomparve senza presentare il piano di fattibilità.

 

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Il ripescaggio della vecchia storia, è comunque diventato un inciampo per il nostro misero eroe. I giornali, infatti, ne hanno approfittato per rivangare i presunti legami segreti, a suo tempo molto chiacchierati, tra gli americani e il pm simbolo di Tangentopoli. Le indiscrezioni dell'epoca davano il giovane magistrato - che dell'inchiesta fu il piede di porco - per quinta colonna (absit iniuria verbis) dei servizi Usa. Fu il sospetto che ne ebbe Bettino Craxi e gran parte del Palazzo.

 

Ma rimase tutto a livello di pettegolezzo. Finché, vent'anni dopo, nell'agosto 2012, l'ex console yankee a Milano, Peter Semler, confermò i dubbi, rivelando in un'intervista i suoi stretti rapporti con Totò. «Incontrai Di Pietro nel suo ufficio», racconta Semler, «mi disse su cosa stava lavorando prima che l'inchiesta sulla corruzione divenisse cosa pubblica. Mi disse che vi sarebbero stati degli arresti».

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Il convegno col diplomatico avvenne nel novembre 1991, tre mesi prima dell'episodio iniziale di Tangentopoli, ma il ciarliero pm lo anticipa all'amico. «Mi preannunciò», racconta infatti il console, «l'arresto di Mario Chiesa e mi disse che le indagini avrebbero raggiunto Bettino Craxi e la Dc».

 

Ignoro se Semler abbia detto la verità ma non ricordo smentite. Se dunque è autentico, Di Pietro è due cose: una frana di magistrato che tradisce la riservatezza imposta dalla legge; un cittadino traditore che rivela a un agente straniero l'avvio dell'operazione che cambierà la repubblica. Che costui sia poi diventato parlamentare e ministro e abbia tanto pontificato come ha fatto è un mistero cosmico.

ANTONIO DI PIETRO SAVERIO BORRELLI GERARDO DAMBROSIO ANTONIO DI PIETRO SAVERIO BORRELLI GERARDO DAMBROSIO

 

Totò ne ha combinate di cotte e di crude. Tralascio la vicenda ultra nota della Mercedes che da magistrato si fece prestare assieme ai 120 milioni di lire senza interessi, ma altrettante ne ha sul gobbo come politico. Ne racconto una per tutte. Anni fa, quando era segretario di Idv, acquistò due appartamenti, uno a Milano, l' altro a Roma, senza cacciare una lira, ma accollandosi un mutuo.

 

Li ha poi affittati all'Idv, come proprie sedi, a un prezzo più alto delle rate bancarie. In altre parole, con i danari del finanziamento pubblico, il partito versava al suo leader l' ammontare mensile del mutuo, più una paghetta per i bisogni personali. Finì male perché la stampa scoprì l'inghippo e Di Pietro vendette di corsa gli appartamenti per evitare ironie e accuse.

 

ANTONIO DI PIETRO - VIDEO PER LE ELEZIONI IN SARDEGNA ANTONIO DI PIETRO - VIDEO PER LE ELEZIONI IN SARDEGNA

Ridotta all'osso, l'essenza di Totò è l'astuzia provinciale: fare il furbo e atteggiarsi a puro. Alla lunga, però, se ne sono accorti tutti. Dopo l' uscita dal pool di Milano, il suo capo, F.S. Borrelli, precisò: «Mai andati oltre il lei». Un suo fedelissimo in politica, Elio Veltri, ha tratto così le somme sulla sua smania di accumulare un patrimonio, specie in case: «Dall' Italia dei Valori, all' Italia dei valori immobiliari». Così, a furia di tirare la corda, Di Pietro è rimasto in braghe di tela. E così lo lasciamo anche noi.

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