CHE STECCA (LORIS)! "RACCOLGO SPAZZATURA E DORMO IN CARCERE, MA LA SPUGNA NON LA GETTERO’ MAI” - L’EX PUGILE CAMPIONE DEL MONDO RACCONTA LA SUA VITA DOPO LA CONDANNA A 8 ANNI PER AVER ACCOLTELLATO LA SOCIA: "HO FATTO UNA FESSERIA. ERO ESASPERATO, HO PERSO LA TESTA" – E POI LA GRANDE BOXE, LA MACCHINA CHE LO HA INVESTITO, LA MINACCIA DI BUTTARSI DA UN VIADOTTO E QUELLA VOLTA CHE IL PAPÀ DI CESARE CREMONINI… - VIDEO

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Francesco Ceniti per gazzetta.it

 

loris stecca loris stecca

F anno più male i pugni presi sul ring o quelli della vita? "Ai primi ero preparato, mentre i secondi li ho incassati quando avevo la guardia bassa. E potevano distruggermi, spazzarmi via. Invece sono ancora in piedi. E guardo con fiducia al futuro". Loris Stecca sorseggia un caffè nella sua casa di Rimini poi passa direttamente al pranzo: di solito un piatto di pasta anche se sono le 9 del mattino.

 

Deve fare il pieno di energie: la giornata non ha soste se non quelle dal camioncino che guida per la città a caccia di sacchetti della spazzatura da raccogliere fino a sera, prima di tornare a dormire in una cella. Questa è la sua nuova esistenza, scandita da 3072 round o se preferite da 8 anni e mezzo di carcere. Adesso, quando un pugile finisce nei guai con la giustizia si sprecano i giudizi sommari:

 

"Beh, cosa ti aspettavi? Quelli lì sono buoni solo a menare". Peccato che rispetto delle regole, sacrificio, sudore e umanità sono il pane quotidiano per milioni di ragazzi che nelle palestre del pianeta diventano uomini (responsabili) grazie a un allenatore, un quadrato delimitato da dalle corde e un paio di guantoni. Pochi, davvero pochi, emergono fino al professionismo. Pochissimi, davvero pochissimi possono vantare numeri positivi nel bilancio finale della carriera. E infine c’è il club ristretto degli eletti, dei campioni del mondo.

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Come Loris Stecca: 35 anni fa il Palasport di Milano fu messo a dura prova dall’entusiasmo di 20 mila tifosi, impazziti per la boxe del romagnolo fatta di assalti continui e colpi portati a ripetizione. Una tempesta senza fine sul volto del domenicano Leo Cruz, re dei supergallo da 24 mesi, che alla dodicesima ripresa, si gira di schiena: "No mas", dice all’arbitro. Basta così. Stecca si ritrova in un istante in cima al mondo. Molto tempo dopo, dicembre 2013, di quella notte sono rimasti solo gli echi, persino il Palasport non c’è più (crollato nel 1985 sotto il peso della neve). E questa volta è Stecca a pronunciare un "no mas" esasperato nei confronti della socia che l’aveva convinto ad aprire una palestra. Solo che il "no mas" ha le sembianze di un coltello piantato nell’addome della donna. Arresto, processo e condanna per tentato omicidio sono le tappe successive.

 

 

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Perché, Stecca?

"Ho fatto una fesseria grande come una casa. Se potessi tornare indietro... ma non si può. Mi sono preso le mie colpe, sto pagando, come è giusto che sia, rialzandomi dal punto più basso. Non mi lamento, per fortuna ho un lavoro onesto. Raccolgo l’immondizia abbandonata per strada. E allora?".

 

Ma quella coltellata...

"Lo so, lo so... Ero esasperato per le umiliazioni subite, ho perso la testa... Credo che tutto sia scritto, quel coltello serviva per tagliare le corde del ring, l’avevo portato in palestra da casa. Dopo l’ennesima lite stavo cercando il telefono nel borsello e invece... Non volevo ucciderla, questo no. Ferirla sì. Dopo ho chiamato i carabinieri e mi sono fatto arrestare".

 

Pentito, ci pare?

"Beh, certo. Temevo di perdere la famiglia. Mia moglie poteva lasciarmi, ne avrebbe avuto tutte le ragioni. E invece con i miei due figli è rimasta al mio fianco. Ripartire è stato più semplice".

Si è comportato da detenuto modello e ora ha la libertà a portata di mano.

"Vedremo, il mio avvocato, Maurizio Vagnoni, ha presentato domanda per l’affidamento in prova. Vorrebbe dire dormire sempre a casa. In carcere ho seguito il progetto di reinserimento: è servito, eccome se è servito. Devo dire grazie alla Cooperativa 134 per il lavoro attuale: riesco a mantenere la mia famiglia e posso sperare di lasciare il carcere".

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Lei è stato campione del mondo, non si vergogna quando la riconoscono mentre guida un camioncino della spazzatura?

"Perché mai, sono altre le cose di cui ci si deve vergognare. E poi mi fa piacere se mi riconoscono: vuol dire che qualcosa di buono ho fatto".

Quando ha iniziato a boxare?

"Tardi, avevo già 16 anni. Giocavo a calcio con il Santarcangelo, sono nato e cresciuto lì. Ero una mezzala grintosa. Quando i miei si sono trasferiti a Rimini sono andato in palestra per caso, trascinato da amici".

L’impatto come è stato?

"Bella sensazione: ordine e pulizia. E la voce ferma dei maestri. Ho avuto la fortuna d’incrociare Elio Ghelfi. 'Vieni a provare', disse. Non me lo sono fatto ripetere".

 

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I suoi genitori come l’hanno presa?

"Non lo sapevano. Avevo lasciato la scuola dopo le medie e lavoravo fino alle 18. Mangiavo qualcosa al volo e andavo in palestra".

Ricorda il primo incontro?

"Ghelfi mi dice: 'Sabato non prendere impegni, la sera si va a vedere dei combattimenti a Riccione'. Arriviamo sul posto e fa: 'Cambiati, vai tu sul ring'. Resto spiazzato, lui lo capisce e rilancia: 'Hai paura?'. Un minuto dopo ero già spogliato: vittoria al primo round".

E dopo?

"Un anno da dilettante, solo successi. Divento campione d’Italia dei pesi piuma. Nel 1983 vinco il titolo europeo: mi propongono di andare a fare una difesa in Irlanda, borsa da 70 milioni di lire. 'Ottimo', penso. Ma il manager Umberto Branchini mi ferma 'C’è l’occasione per avere il mondiale'. Ci credo poco, insisto per l’Irlanda. E invece...

 

E invece aveva ragione Branchini...

"Sì, ma con un particolare mica da ridere: 'Devi scendere di categoria, la chance è nei supergallo'. Voleva dire perdere 2 chili, da 57 a 55. Sieti matti, sbotto. Non ho un filo di grasso, come facci".

Come ha fatto?

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"Mi presentano un medico bolognese, Giovanni Cremonini. Un uomo alto, elegante e con una moglie bellissima. Il figlio è il cantante Cesare, allora era un bambino. Comunque, mi mette a dieta, carboidrati col contagocce, grassi, alcool e fritti banditi. Sacrifici pazzeschi, ma elimino due chili. Prima del peso resto a digiuno per un giorno. Ma ci sono".

 

Sacrifici ripagati, quella sera a Milano...

"Uno spettacolo, match durissimo. Cruz picchia alla grande, io non indietreggio. Si combatteva sui 15 round, una eternità. Lui dà tutto al decimo, pensa di chiudere. Assalto fallito. E allora riparto: alla dodicesima le braccia andavano da sole. Quando si è girato non ho capito più nulla".

Re dei supergallo a neppure 24 anni, sembra tutto in discesa...

"Da contratto dovevo andare in Portorico a difendere il titolo contro Victor Callejas. E lì accade di tutto: i tifosi non mi fanno dormire, la polizia sempre intorno. C’era un clima pesante, il mio clan non vedeva l’ora di tornare a casa. E alla fine cedo mentalmente: alla sesta ripresa vado giù".

 

Rivincita a Rimini nel novembre 1985.

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"Pronti via e un colpo sporco mi spacca la mandibola. Sputo sangue, ma combatto senza paura. Sono avanti nei punti e alla sesta ripresa Victor è stremato, salvato dal gong. In quel momento salta la luce per colpa di alcuni tifosi che tranciano i fili. Stiamo fermi 5’: quando ripartiamo lui è fresco, mi colpisce alla mandibola, vedo le stelle e questa volta la luce si spegne a me. Mi operano la sera stessa a Bologna. Con Victor ci siamo rivisti a Rimini nel 2005, siamo rimasti amici. Ha ammesso che avrei meritato di più, senza parlare della gomitata che mi aveva dato in un corpo a corpo".

 

Da allora solo sfortuna: a furia di ko ecco un’altra occasione mondiale, sfumata sulle strisce pedonali...

"Per me parlano i numeri: 59 incontri da professionista, 55 vittorie, 37 per ko, 2 pareggi e 2 sconfitte. Nel gennaio 1989 una macchina m’investe: ginocchia frantumate. Costretto al ritiro".

Voleva rientrare nel 2008, minacciò pure di buttarsi da un viadotto autostradale perché non volevano darle la licenza.

"Quella era una provocazione: aspettavo da 20 anni il risarcimento per l’incidente. Le pare possibile? Poi l’assicurazione ha pagato, ma al ribasso".

 

La boxe le manca?

Loris Stecca Loris Stecca

"Tantissimo. Mi ricordo di quando Branchini mi portò in America a fare esperienza. Stavo a New York con Rocky Mattioli, correvamo a Central Park. Per combattere andavano a Los Angeles, in riunioni dove c’erano pugili del calibro di Boom Boom Mancini e Arguello. In quei mesi Stallone girava Rocky III. Oggi è tutto diverso, l’ultimo grande pugile italiano è stato Giovanni Parisi. Il futuro? Vorrei aprire una palestra, mettere la mia esperienza a disposizione dei più giovani per la difesa personale e aiutare quelli avanti in età a mantenersi in forma. Come faccio io: tutte le sere torno a piedi in carcere. Ho 59 anni e peso 55 chili, come nel 1984. Sono ancora qua, in piedi. La spugna non la getterò mai...".

 

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