DAJE DE TACCO - DIAVOLO DI UN FENO-MENEZ: “NON SO DIFENDERE MA CON ME CI SI DIVERTE. MI CHIAMANO “LE PROVOCATEUR” MA SOLO PERCHÉ AMO L’UNO CONTRO UNO“ (VIDEO DEL SUBLIME COLPO DI TACCO)

Parla il fantasista francese dopo lo show di Parma e i 3 gol che lo hanno rilanciato nel Milan: “La mia filosofia? Se ricevi qualcosa di bello, lo devi restituire - Ho commesso qualche errore ma Ancelotti al Psg mi ha insegnato tanto” - L’idolo? Zidane, la sua naturalezza mi fa venire la pelle d’oca”…

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1. GOL DI TACCO AL PARMA-VIDEO

 

 

 

2. IL TACCO E LA FOLLIA LO SFACCIATO MENEZ

Enrico Currò per “la Repubblica

 

MÉNEZ , è vero che in Francia ha investito nelle case di riposo?

«Sì».

 

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In Italia invece sui ragazzini: il suo gol di tacco al Parma furoreggia sul web tra gli adolescenti.

«In campo faccio quello che mi viene in mente. L’azione è stata troppo veloce per rifletterci su. Vivo il calcio come un piacere, un divertimento da trasmettere al pubblico. La gente ci chiede spettacolo. E siccome io non so difendere, faccio quello che so fare: i gol e gli assist».

 

Ma anche colpi che fanno impazzire gli avversari: “Je suis un provocateur”, dichiarava in un video con la maglia del Monaco.

«La traduzione letterale è fuorviante. Provocatore non in senso offensivo, ma nel senso che ho il gusto dell’uno contro uno».

 

Si sente un fuoriclasse?

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«Io non mi sento niente. Io sono Jérémy, un calciatore di 27 anni con qualche sbaglio in gioventù, ma anche un’ottima carriera con Monaco, Roma e Psg. Ora mi ritrovo maturo al Milan, nelle condizioni ideali per diventare più forte».

 

A 16 anni, nel Sochaux, lei è stato il più giovane professionista della Ligue 1 e Ferguson la voleva al Manchester. A 17 segnò una famosa tripletta in 7’ al Bordeaux e a 19 era un predestinato al Monaco. Poi?

«Non sono pentito di non essere andato al Manchester, era troppo presto. Il mio destino era quello che è stato. È giusto sbagliare da giovani, l’importante è capirlo. A 27 anni ho ancora tempo. Ancelotti, al Psg, mi ha insegnato tanto».

 

Cioè?

«Allenarsi al 100% per tutta la settimana, concentrarsi solo sul campo, fare meno casini nella vita privata. Se sei sereno fuori, in campo rendi di più. Io oggi lo sono, anche grazie alla mia famiglia: ho una figlia e il secondo in arrivo».

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Le tentazioni di Montecarlo e Roma non mancano nemmeno a Milano.

«Roma è molto bella, tocca a te fare una vita sana. E anche a Parigi uscire la sera non è difficile. Solo che io ho la testa sul campo e al Milan l’ambiente è génial».

 

Il capitolo redenzione si chiude con arbitri e allenatori.

«Se l’allusione è al battibecco con Rizzoli a Euro 2012, sbagliai io: ero nervoso per l’andamento della partita con la Spagna».

 

Qui l’ha calmata Inzaghi, allievo di Ancelotti, che è stato il suo sponsor assieme a Ibrahimovic?

«Inzaghi ha dialogo con tutti, mi ha dato fiducia e la voglio ripagare. Se ricevi qualcosa di bello, la devi restituire: è la mia filosofia di vita. Lui mi ricorda Lacombe, mio allenatore al Sochaux: vivono per il calcio. Gli do del lei. Secondo me, una piccola barriera deve esserci, i ruoli sono diversi».

 

Funzionò con Ranieri e Ancelotti, non con Montella e Blanc.

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«Montella arrivò alla Roma a stagione in corso. Prima di lui giocavo e ci rimasi male. Non era una situazione facile per nessuno. Con Blanc al Psg ho vissuto un’annata che vorrei cancellare soprattutto per la mia famiglia, che ha sofferto tanto. Dopo un’operazione, rientrai e segnai, pensavo di essermi ripreso il posto».

 

Invece ha perso il Mondiale.

«Riconquistare la Nazionale è un obiettivo. Nel 2016 gli Europei sono in Francia. Mi aiuterà il Milan. Vorrei lo scudetto o almeno la qualificazione alla Champions. Voglio segnare più di 10 gol. In Italia mi ricordano con una media di 4 gol, ma nelle due stagioni buone con il Psg ho fatto 30 assist e 20 gol».

 

Da “falso nueve” del 4-3-3 è già a 3 gol. Ma con Torres le toccherà arretrare nel 4-2-3-1.

«Modulo e formazione li decide Inzaghi. Siamo un gruppo livellato in alto, senza uno che si stacchi nettamente. Il mio lavoro è fare gol e farne fare. Al centro mi sento a mio agio, da lì posso svariare e muovermi in libertà. Però non sono incompatibile con nessuno. La squadra funziona. Se continuiamo così, possiamo fare belle cose».

 

La serie A è caduta in basso.

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«È sottovalutata. Sta a noi offrire lo spettacolo che la gente chiede. Ho avuto offerte da altre società italiane, ma Galliani e Inzaghi mi hanno detto le cose più importanti per il mio futuro».

 

Secondo lei, che viene dalla culla dei settori giovanili, gli stranieri soffocano i giovani italiani?

«Forse in Francia siamo un po’ più avanti con i vivai. Ma anche da noi ci sono tanti stranieri. Non conosco abbastanza i vostri centri di formazione».

 

In compenso conosce le sfide con la Juve: questa vale il primo posto.

«In teoria loro sono favoriti, non prendono gol da 531’, la sfida è soprattutto contro la loro difesa. Ma noi ce la giochiamo con tutti. Possono succedere belle cose. Mi piacerebbero tanti gol: un 5-4 per noi, come a Parma ».

 

I numeri non sono mai casuali, per lei, a partire da quella tripletta in 7 minuti.

«Il 7 della mia maglia è soprattutto il giorno della nascita mia e di mia figlia Maëlla. Poi io sono del 1987 e a Vitry, alla periferia di Parigi, abitavo al 27. Nella Roma portavo il 94 del mio dipartimento, Val-de-Marne, anche se per sbaglio la prima volta mi stamparono il 93».

 

Al suo quartiere ha regalato un campo da calcetto.

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«Non dimentico da dove sono partito, da bambino giocavo a pallone sul marciapiede. Vitry è nel mio cuore. Da lì vengono il mio gruppo hip hop preferito, “Les 113”, e il mio amico rapper Leck. L’amicizia è una cosa rara e preziosa ».

 

Nel calcio?

«Non solo. Benzema è un amico vero: lo sento quasi ogni giorno e parliamo pochissimo di pallone».

 

L’idolo?

«Zidane. Mi fa venire la pelle d’oca. Ha la più straordinaria delle doti in un uomo del suo carisma: la naturalezza».

 

 

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