SENTITE “ROCKY” BELINELLI (13 ANNI DI NBA): "TACERE NON SI PUÒ, CI SONO COSE PIÙ IMPORTANTI DI UNA PARTITA DI BASKET. I CONFINI NON ESISTONO PIÙ. UN POLIZIOTTO CHE SPARA NEL WISCONSIN È ANCHE UN PROBLEMA NOSTRO, NON SOLO DEL WISCONSIN. NOI SPORTIVI ABBIAMO UN PESO: DOBBIAMO SFRUTTARLO - SE SEI AFROAMERICANO CI NASCI, CON LA PAURA DELLA POLIZIA. E NOI BIANCHI NON POSSIAMO CAPIRLO" - E SU LEBRON..

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Roberto De Ponti per il Corriere della Sera

 

Marco Belinelli, come si sta in Italia?

«Da Dio. Non tornavo a casa da 11 mesi. In 13 anni di Nba non mi era mai capitato di stare così tanto lontano dall' Italia».

 

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Situazione eccezionale «Altroché!». A proposito di situazioni eccezionali, ha visto che cos' hanno combinato i suoi colleghi?

«Certo che ho visto. Un boicottaggio simile non c' era mai stato prima. Solo Bill Russel nel '61, ma era tutt' altra cosa. Vista dall' Italia, magari è difficilmente comprensibile, ma dalla bolla è tutto molto più chiaro. La questione è davvero pesante».

 

Che cosa ha scoperto nella bolla?

«Niente di più di quello che già sapevo vivendo in America. Ma con calma le cose si vedono più chiaramente».

 

Si spieghi.

«Gioco in Nba da 13 anni e vorrei continuare a farlo. Essere un giocatore mi ha permesso di conoscere realtà molto diverse. Poi vedi certe immagini, leggi di certi episodi, e ti rendi conto che tutto è molto diverso da come lo vedi da lontano».

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Per esempio?

«Per esempio, alcuni miei compagni mi hanno raccontato di episodi di cui sono stati protagonisti loro malgrado. E solo a causa del colore della loro pelle. Ed essere stelle del basket non li ha aiutati».

 

Parla di problemi con la polizia?

«Sono racconti privati, quindi non starò qui a spiegarli. Però capisco perché se sei afroamericano hai paura della polizia. Ci nasci, con la paura della polizia. E noi bianchi non possiamo capirlo».

 

Sono racconti così drammatici?

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«Sì, e chi non è nero non è in grado di comprendere davvero quello che hanno sofferto. E che stanno soffrendo ancora».

 

Le piace una Nba così politicizzata?

«Credo che lo sport abbia un potere enorme. Noi atleti dobbiamo essere i primi ad amplificare certe storture attraverso le nostre piattaforme. I confini non esistono più. Lo abbiamo visto con George Floyd, quando tutto il mondo si è inginocchiato. Un poliziotto che spara nel Wisconsin è anche un problema nostro, non solo del Wisconsin. Noi sportivi abbiamo un peso: dobbiamo sfruttarlo».

 

LeBron James si è schierato apertamente contro Donald Trump.

«LeBron James è una stella molto ascoltata. Anche Chris Paul, con cui ho giocato, ha parlato chiaro. E Paul è il presidente dell' associazione giocatori. Se LeBron e CP3 dicono quello che hanno detto, significa che tutto il movimento è d' accordo».

 

Anche lei è d' accordo?

«Su tutta la linea».

 

LeBron potrebbe indirizzare la campagna elettorale americana.

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«Io non voto negli Stati Uniti, non mi riguarda direttamente. Invece mi riguarda il razzismo: non è un problema politico ma sociale. Non possiamo coprirci gli occhi e fare finta che non accada nulla. Ci sono cose più importanti di una partita di basket».

 

Lei si è mai imbattuto nel razzismo, in 13 anni di Nba?

«Scherza? Mai e poi mai. A compagni e avversari interessa solo come giochi, non di che colore hai la pelle. Le differenze in campo le fa il talento. L' unico razzismo che vedo è: sai giocare o non sai giocare».

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