LA BELLEZZA NON SALVERÀ IL MONDO, MA NON LO FARÀ NEMMENO L’IDEOLOGIA WOKE – ANTONIO RIELLO: “LA TESI DELLA MOSTRA ‘THE CULT OF BEAUTY’, ALLA WELLCOME COLLECTION DI LONDRA, È CHE IL CULTO DELLA BELLEZZA SAREBBE UNA SPECIE DI ARMA DI OPPRESSIONE/SFRUTTAMENTO VERSO IL RESTO DEL MONDO DA PARTE DELL’OCCIDENTE. GIUSTO PER DIRE, LA SBANDIERATA “CULTURA NON-BINARIA” NELLA MAGGIOR PARTE DEI PAESI OCCIDENTALI VIENE MASSICCIAMENTE PROMOSSA. NON RISULTA CHE NEI “VIRTUOSI E SAGGI” PAESI DEL BRICS, O ALTROVE, ACCADA ALTRETTANTO…”

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Antonio Riello per Dagospia

 

riello bello riello bello

Ricorrentemente qualche imbonitore della Politica e/o della Cultura tira fuori slogan del tipo: “la bellezza salverà il Mondo” (e altra roba del genere). La parola “bellezza” è utilizzata come un passepartout per sdoganare una banale mancanza di idee, viene insomma sfruttata con estrema disinvoltura per incantare gonzi, follower ed elettori distratti.

 

Il suo uso nell’ambito dell’Arte Contemporanea attualmente suscita per lo più perplessità e diffidenza (meglio non evocarla). Cosa veramente significhi è una faccenda assai delicata: tutti ne hanno una vaga idea, quasi nessuno è in grado di darne una definizione ragionevolmente compiuta; a parte - forse - i filosofi che si occupano di estetica.

 

La WELLCOME COLLECTION (ingresso gratuito) di Londra prova a dire la sua con una ambiziosa esposizione curata da Janice Li. Parliamo di una istituzione culturale (costola di una storica e importante azienda farmaceutica, la Wellcome Ltd) che dispone di mezzi quasi illimitati e che ha come vocazione quella di mettere in sinergica relazione Scienza (Medicina e Chimica Farmaceutica in particolare) e Arte Contemporanea.

 

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THE CULT OF BEAUTY, divisa in tre sezioni (The Ideals of Beauty, The Industry of Beauty, Subverting Beauty), ha tutte le carte in regola per indagare al meglio la complicata e sfuggente questione. E’ una mostra vasta e dotta che offre davvero moltissime cose da vedere, alcune estremamente interessanti.

 

Coinvolge anche alcune questioni molto attuali: la diffusione massiva della chirurgia estetica e delle modificazioni/menomazioni corporee in genere. In Inghilterra, per esempio, da anni c’p una svalvolata setta, appartenente alla sub-cultura del “nullo”, che opera volontariamente la castrazione chirurgica e l’eliminazione dei capezzoli.

 

Tra gli eclettici reperti: l’iconico busto (copia ottocentesca dell’originale egizio) della regina Nefertiti, un magnifico ex-voto dedicato a Nostra Signora la Vergine di Guadalupe, una riproduzione in gesso della Venere dell’Esquilino, antiche statue indiane di Shiva e Vishnù, una versione dell’”Ermafrodito Dormiente”, maschere di bellezza, Barbie giganti, specchi, set cosmetici, profumi, corsetti (stretti-stretti) modelli anatomici in cera, protesi facciali, parrucche, tantissimi libri e stampe e formule magiche. Perfino una serie di baffi finti. E un superlativo bacio di Kate Moss (rossetto rosso su carta, edizione limitatissima).

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Per le opere d’Arte (un ottimo lavoro curatoriale) si inizia con una installazione fotografica di Angelica Dass sul colore della pelle riferita alla serie cromatica Pantone. A seguire alcuni lavori di una misteriosa e tosta artista di Brooklyn, Narcissister (appare sempre mascherata, quindi si sa poco della sua vera identità: è di sesso femminile, figlia di padre afro-americano e madre ebreo-sefardita, molto impegnata sul fronte del femminismo).

 

Il suo lavoro più intrigante è del 2023 e consiste in una generosa installazione composta da tutti gli oggetti che si trovavano in casa della madre al momento della sua morte. Ci sono poi dei video molto high-tech di Cecilie Waagner Falkenstrom che mostrano contorte metamorfosi corporee. L’artista cino-americana Jennifer Ling Datchuk lavora con i capelli femminili e in questa occasione presenta una sorta di scala a pioli fatta tutta di chiome (“We Climb”).

 

navena windulin navena windulin

Una altra artista, (anglo-cinese stavolta) Xu Yang, esibisce uno dei suoi dipinti dal titolo lunghissimo, “Perhaps We are All Fiction in the Eye of the Beholder”, è un lavoro dedicato alle donne nella Storia dell’Arte e in particolare alla pittrice francese Elisabeth Vigee Le Brun (1755-1842).

 

Shirin Fathi, si concentra sui nasi e realizza la serie fotografica ”The Disobedient Nose”. Navena Widulin, tedesca, espone due maschere facciali di una signora di 69 anni, una presa prima del trattamento con il Botox e una dopo.

 

Abbastanza evidente emerge un problema di fondo visitando THE CULT OF BEAUTY: è affetta da un eccesso di ambizione (troppi argomenti trattati un po’ superficialmente). Appare una situazione un po’ caotica che, anziché suggerire qualche punto fermo sul tema, potrebbe ingenerare nel visitatore perfino maggiore confusione.

 

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L’altro aspetto, onestamente un poco discutibile, è una visione di fondo decisamente “politica” (quasi tutto il materiale esposto pare abbia lo scopo di comprovare alcune tesi, ovviamente legate agli spasmi masochistici della cosiddetta Woke Culture). Il fatto è che oggi, nel contesto artistico di Londra, è molto difficile ignorare un certo clima ideologico.

 

La mostra inizia non a caso riportando una affermazione della discussa attivista Naomi Wolf. La tesi (semplificando assai) è che insomma il culto - artificiale - della bellezza sarebbe una specie di arma di oppressione/sfruttamento verso il resto del Mondo da parte dell’Occidente (ovviamente sempre maschilista, colonialista, capitalista e senza rispetto verso la fluidità di genere….).

 

In poche parole, gli ideali estetici del corpo sono intesi, in qualche modo, come un complotto per sottomettere stranieri e emarginati di ogni tipo. Giusto per dire, la sbandierata “Cultura Non-Binaria” non solo non è particolarmente osteggiata nella maggior parte dei paesi occidentali ma viene anzi massicciamente promossa proprio dal business, piuttosto inclusivo, della moda e dello spettacolo.

 

welcome collection entrance welcome collection entrance

Non risulta proprio che nei “virtuosi e saggi” paesi del BRICS, o altrove, accada altrettanto. Segue una (inevitabile in questo tipo di situazione) tirata sulla superiorità della bellezza della pelle nera. Non ce n’era bisogno: perfino il notissimo generale-autore-di-un-libro (di cui sono piene le cronache italiane) credo sia pacificamente d’accordo sull’indiscutibile avvenenza di tantissimi esseri umani di ascendenza africana (tanto per dire, l’attrice Halle Berry, l’attore Denzel Washington o la mitica Naomi Campbell).

 

corsetto corsetto

La mostra è più affascinante (e meno scontata) quando indaga gli aspetti antropologici delle pubblicità realizzate per l’industria cosmetica: la mostra illustra efficacemente come la disperata lotta contro le ingiurie del tempo sul corpo umano possa raggiungere livelli parossistici e tragicomici. Anche il rapporto tra aspetto fisico e immagine digitale è ben sviluppato, infatti tre video di grandi dimensioni rendono partecipe il pubblico di come i canoni estetici sono attualmente manipolati e dominati dall’intelligenza artificiale (ed è ancora una faccenda acerba, chissà cosa succederà fra qualche anno).

 

Manca un catalogo che avrebbe potuto essere molto utile per approfondire la tematica. C’è purtroppo solo una modesta guida per il visitatore di poche pagine. Peccato. In compenso il bookshop della Wellcome è molto divertente e fornito, vi si può acquistare il volume di Caroline Vout, “Exposed” che è di qualche aiuto per chiarire le ragioni - buone e cattive - dell’ostinato culto della bellezza.

 

kate moss lips kate moss lips

THE CULT OF BEAUTY

WELLCOME COLLECTION

Euston Road 183, Londra NW1 2BE

Fino al 28 Aprile 2024

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