LA BREXIT SI PORTA “L’ARTEXIT”: OPERE IN FUGA DAL REGNO UNITO - LE GALLERIE SONO PRONTE A TRASFERIRSI SUL CONTINENTE: IL DIVORZIO DALL'UE FARÀ SALTARE IL FAVOREVOLE REGIME FISCALE E ALZERÀ I DAZI - COLLEZIONISTI ESPATRIANO, I MUSEI ANTICIPANO MOSTRE - I PRIMI SEGNALI ERANO ARRIVATI IL MESE SCORSO DALLE ASTE DI SOTHEBY'S E CHRISTIE'S, IN CALO RISPETTIVAMENTE DEL 10% E DEL 22% NEL PRIMO SEMESTRE DEL 2019…

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Matteo Persivale per il “Corriere della sera”

 

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La battuta, tra collezionisti e galleristi, viene pronunciata sobriamente, all' inglese, ma senza concludere con la classica risata leggera o la lieve alzata di sopracciglio di colui che ha studiato a Eton e Cambridge. Anzi, la battuta tradisce a ben guardare un certo lieve nervosismo, magari la mandibola un po' rigida, lo sguardo teso: «Hai per caso la patente per guidare i camion?».

 

Perché questi sono i giorni di «Artexit», le opere d' arte che cominciano a lasciare il Regno Unito prima che la Brexit (31 ottobre) faccia cessare come per magia il favorevolissimo regime fiscale e di dazi che ha contribuito a mantenere Londra al centro del mercato dell' arte globale (le altre capitali sono New York e Hong Kong). Ma c' è anche traffico in senso inverso, per i galleristi londinesi che preparano mostre da novembre in poi e vorrebbero evitare dazi doganali post Brexit.

 

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I primi segnali erano arrivati il mese scorso dalle aste di Sotheby' s e Christie' s, in calo rispettivamente del 10% e del 22% nel primo semestre del 2019 rispetto allo stesso periodo dell' anno scorso. La ragione più importante? L' incertezza provocata dalla Brexit. Londra rappresenta il portale d' ingresso - redditizio, efficiente, altamente professionale e molto, molto discreto - in Europa per l' arte globale. La libera circolazione dei beni infatti è stata per gallerie d' arte e case d' aste londinesi una benedizione: il Regno Unito ha le tasse d' importazione per le opere d' arte più basse della Ue, soltanto il 5%.

 

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Per questo, il modo più pratico per far entrare nell' Unione un' opera proveniente dal resto del mondo è quello di mandarla a Londra. Da lì, l' opera può muoversi senza problemi. E così è stato, finora. Però, come ha ricordato ieri il Financial Times , la realistica possibilità di un' imminente traumatica uscita dall' Unione Europea con il salto nel buio del «No Deal» ha fatto sì che il mondo londinese dell' arte stia organizzando in anticipo, per tutelare i propri interessi e i propri consistenti margini (è un business enorme, da sola Sotheby' s nel 2018 ha concluso vendite per 5,7 miliardi di euro).

 

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L'uscita in versione No Deal, per i londinesi che vivono d' arte (e di dazi doganali bassi), è una catastrofe: che si aggiunge al senso generale di un possibile rallentamento dell' economia globale che ha fatto sì che nel 2019 il cosiddetto «top end» del mercato (le opere sopra i 50 milioni di euro) si sia già sensibilmente raffreddato.

 

Un anonimo collezionista citato dal quotidiano della City si è gia portato avanti svuotando la magione di Mayfair della sua collezione, trasferita in Francia. Le gallerie che hanno programmato mostre da novembre in poi cercano invece di portarle a Londra in largo anticipo per aggirare il rischio di nuove regole doganali post Brexit. Ottobre poi è il mese più importante per il mercato britannico dell' arte, con il maxi evento Frieze durante la prima settimana, a soli venti giorni dalla Brexit. La politica pensa a un governo ad interim, l' arte pensa a una soluzione ad interim, la sospensione dei dazi e dell' Iva: una consulente però ha definito l' implementazione di questo sistema in poche settimane «un incubo».

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