‘’L'ARTE E LA POESIA SONO LE SOLE COSE VERE. IL RESTO È ILLUSIONE’’ - L'IMPRESA IMPOSSIBILE DI ANSELM KIEFER DI PORTARE LE SUE NUOVE, MASTODONTICHE PITTURE NEL PALAZZO DUCALE DI VENEZIA, COPRENDO LA STORIA DI IERI CON QUELLA DI OGGI – “LA STORIA È COME L'ARGILLA. LA PLASMIAMO A NOSTRO MODO PERCHÉ NON ESISTE NELLA SUA VERITÀ OGGETTIVA. OGGI PUTIN SI È COSTRUITO UN SENSO DELLA STORIA TUTTO SUO. MA PER CONOSCERE DAVVERO CHE COSA È ACCADUTO OCCORRE STUDIARE TUTTI I PUNTI DI VISTA. A ME INTERESSA COME GLI ARTISTI SI RAPPORTANO ALLA STORIA, CHE COSA NE FANNO’’

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Dario Pappalardo per “Robinson - la Repubblica”

anselm kiefer anselm kiefer

 

Nella Sala dello Scrutinio di Palazzo Ducale, Venezia brucia sulle pareti. Il mare è in tempesta. Il cielo e l'acqua si confondono, così come l'oro e l'argento. Dalla tela emergono minacciosi sottomarini. La bara di San Marco è vuota, tranne che per due girasoli secchi.

 

L'orizzonte è un paesaggio di guerra su 14 pannelli dipinti che coprono le pitture di Tintoretto e di Jacopo Palma il Giovane, giudizi universali e battaglie di Lepanto. Qui dove si eleggevano i dogi e dove il cardinale Bessarione custodiva la biblioteca, ora c'è Wim Wenders steso per terra a provare le inquadrature, guardando il soffitto.

 

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Cerca il cielo in una stanza sulla laguna, non più sopra Berlino. Il protagonista del prossimo film non è un angelo, ma questo signore alto che adesso entra dalla porta in fondo, con la giacca scura e la camicia bianca, il mantello da mago e lo sguardo da filosofo. Anselm Kiefer ha appena concluso l'impresa impossibile di portare le sue nuove, mastodontiche pitture nelle sacre stanze della Serenissima, coprendo la storia di ieri con quella di oggi.

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Il risultato è ‘’Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce’’, una mostra aperta fino al 29 ottobre che prende il titolo da Andrea Emo (1901-1983), pensatore italiano solitario e dimenticato, e che nelle intenzioni della direttrice dei Musei Civici Veneziani Gabriella Belli (curatrice con Janne Sirén) nasce «per realizzare un progetto di arte pubblica nel senso più semplice del termine: pittura come strumento per la collettività».

 

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Kiefer controlla la luce sull'opera che introduce il percorso, fa aprire una finestra: «Ora va bene». Attraversa la Sala del Gran Consiglio con i turisti che ignorano il cantiere delle meraviglie pochi metri più in là, si muove a suo agio nel labirinto di porte, scale e corridoi. «Venezia è la sintesi - dice - la concentrazione in un unico luogo di Oriente e Occidente, di nord e sud, di potenza e decadenza, vittorie e sconfitte, a Creta come in Dalmazia.

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Porto sempre libri con me. Li scelgo a caso, se si può dire così. È la prima cosa che faccio la mattina nel mio studio, appena sveglio. Quando sono arrivato qui per il sopralluogo, due anni fa, avevo in tasca la seconda parte del Faust. E così ho capito che Venezia è come la Elena di Troia rievocata da Goethe: è la cultura classica che riesce ad adattarsi alla nuova metrica, è una storia che continua sempre».

 

ANDREA EMO ANDREA EMO

C'è un senso nella storia?

«Sì, c'è, ma è un senso che cambia per ciascuno di noi. La storia è come l'argilla. La plasmiamo a nostro modo perché non esiste nella sua verità oggettiva. Oggi Vladimir Putin si è costruito un senso della storia tutto suo. Ma per conoscere davvero che cosa è accaduto occorre studiare tutti i punti di vista. A me interessa come gli artisti si rapportano alla storia, che cosa ne fanno».

 

Nei suoi dipinti la storia è guerra. I paesaggi ne portano le tracce.

Anselm Kiefer legge un quaderno di Andrea Emo Anselm Kiefer legge un quaderno di Andrea Emo

«Il paesaggio non è mai innocente. Se guardiamo bene, porta sempre reminiscenze di catastrofi, di guerre».

 

Questa sua considerazione dipende dal fatto di essere nato nella Germania nazista, tra i bombardamenti e le rovine?

«Esatto. La notte in cui sono nato in ospedale, l'8 marzo 1945 a Donaueschingen, è la stessa in cui la nostra casa è stata bombardata. Se non fossi nato quella notte, la mia famiglia si sarebbe estinta.

 

Ci siamo spostati in una seconda casa, ma quella bruciata è stato il mio primo campo di giochi, tornavo sempre lì: il più meraviglioso playmobil che un bambino potesse avere. Ai miei occhi le rovine erano fantastiche e piene di potenzialità. Rappresentavano la realtà. Per me sono state l'inizio, non la fine».

 

Che cosa può fare un artista in tempo di guerra?

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«L'altra notte ho sognato di discutere con Putin, ma non ricordo bene, non potevo esprimermi, sentivo un senso di impotenza e frustrazione. Da artista non posso fare nulla per fermare il conflitto. Come tutti, mi informo il più possibile, leggo i giornali. Il mio lavoro è sempre stato consapevole della guerra. Il problema è nell'essere umano. Nel 1989, nel mio Paese è crollato il muro. Nel 1991 è stata la volta dell'Unione Sovietica.

 

In quel momento la politica avrebbe potuto cambiare il suo corso; c'era la possibilità di cooperare per una pace mondiale, ma l'Occidente ha preferito mostrare ancora una volta i muscoli. E così oggi siamo al paradosso per cui vantiamo le armi più sofisticate, ma una dialettica politica primitiva.

Anselm Kiefer legge un quaderno di Andrea Emo insieme a Massimo Donà nella biblioteca di Villa EMO, vicino a Monselice (Padova) Anselm Kiefer legge un quaderno di Andrea Emo insieme a Massimo Donà nella biblioteca di Villa EMO, vicino a Monselice (Padova)

 

Soltanto poco tempo fa, Barack Obama definiva la Russia una "potenza regionale" La guerra c'è sempre stata. Vogliamo parlare dell'Afghanistan, della Siria? La differenza è che ora, con l'invasione dell'Ucraina, noi europei la sentiamo più vicina. Ma dagli anni Sessanta viviamo una minaccia nucleare costante».

 

Come artista prova un senso di fallimento?

«Quando inizio a lavorare a un nuovo dipinto, so già che è un fallimento. Da giovane, tra gli anni Sessanta e Settanta, ero frustrato e deluso per questo, ma ora conosco il processo. I miei vecchi dipinti sono come cadaveri. Nel mio studio in Francia, li tengo chiusi in un container in attesa della resurrezione.

 

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A volte li tiro fuori per vedere come sono cambiati, che cosa ne è stato di loro lontano da me: ed è l'aspetto più interessante. L'obiettivo non è l'opera, ma il movimento. Per Andrea Emo l'essere è la presenza perfettamente reale del nulla. Non c'è cronologia, ma simultaneità. L'opera d'arte contiene già la sua negazione.

 

È un'idea che condividevo con Emo ancora prima di conoscere il suo pensiero. E, prima di preparare la mostra, non sapevo che il Salone dello Scrutinio fosse stato in passato teatro di un incendio. Il titolo Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po' di luce è perfetto anche per questo».

 

Quando ha scoperto Andrea Emo?

«Sei anni fa, grazie a un libro di frammenti pubblicato in Germania da Massimo Donà, con una prefazione di Massimo Cacciari. È stato come trovare una teoria della mia arte. Emo sostiene che la parabola di Gesù Cristo si sia compiuta effettivamente sulla croce. La resurrezione è la croce stessa. Al filosofo ho dedicato una mostra in Francia, nel 2018, e dopo quel libro di Emo è andato esaurito».

wim wenders 4 wim wenders 4

 

La filosofia è parte essenziale della sua vita.

«Martin Heidegger, Michel Foucault, ma anche Roland Barthes nel 2010 mi è stato chiesto di tenere lezioni al Collège de France come gli ultimi due. È stato un grande onore».

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Nella sua arte ci sono costanti riferimenti all'alchimia, il retaggio di un sapere ancestrale.

«Ho lavorato molto sull'alchimia, che è stata la prima strada verso la chimica. L'alchimia e la scienza erano connesse, pensiamo a Isaac Newton. Poi la prima è stata banalizzata e svalutata. Eppure l'obiettivo dei veri alchimisti non era la realizzazione dell'oro: non erano interessati alla materia, ma alla trasformazione dello spirito. Anche il pittore è un alchimista».

 

La scala di Giacobbe è un simbolo che ricorre in tante sue opere, anche qui a Venezia c'è.

«La scala è un simbolo fondamentale della mistica ebraica. A me interessa il fatto che una scala si possa percorrere verso l'alto come verso il basso. Verso il cosmo o verso l'interno di noi stessi. Possiamo scegliere se allontanarci da noi o studiarci e riconoscerci nel profondo. Per entrambe le strade ci vuole un'immaginazione potente: sia per vedere miliardi e miliardi di galassie che per apprezzare le particelle infinitesimali di cui siamo fatti».

 

Da dove viene la sua arte? Ha sempre voluto essere un artista?

OBAMA PUTIN OBAMA PUTIN

«Da piccolo, in realtà, volevo diventare Papa: ero serissimo. Ma tutti mi scoraggiavano, dicendo che sarei dovuto nascere italiano, per un tedesco sarebbe stato impossibile: non c'era stato ancora Ratzinger. Ho sempre dipinto molto. A sedici anni, mi è solo venuto il dubbio della scrittura, era la mia alternativa di vita. Scrivo ancora tanto, ma non si tratta di cose che intendo pubblicare. Conservo metri e metri di diari».

 

Tintoretto - Il Paradiso - Palazzo-Ducale Venezia Tintoretto - Il Paradiso - Palazzo-Ducale Venezia

Che cosa scrive sui suoi diari?

«Quando ho un problema o un dolore, scrivere sul diario è la mia maniera di riflettere, di parlare con me stesso, di chiedermi perché ho fatto questo o quello. A volte scrivo i sogni, che cambiano con gli anni. Da giovane sognavo sempre l'acqua. Ora i miei sogni hanno a che vedere con il senso dell'orientamento».

 

Stavolta che libri ha portato a Venezia?

«Le poesie di Hölderlin e di Nietzsche e poi Borges, Brodskij e ovviamente Emo. Da poco ho letto le ultime poesie di Pasolini che sono appena state pubblicate in Germania. Mi piace molto Pasolini, il suo cinema, così come Fellini.

sala dello scrutinio palazzo ducale venezia sala dello scrutinio palazzo ducale venezia

Qualche notte fa, sono incappato per caso nella e non sono riuscito a staccarmi, anche se volevo dormire: che film fantastico, che bianco e nero straordinario...».

 

Che cosa ama rivedere dell'arte italiana?

«Ogni volta che torno a Venezia, vado a rivedere Tintoretto alla Scuola Grande di San Rocco. Mi piace e diverte anche Piero Manzoni: alla Galleria Continua di Parigi ho rivisto da poco la sua Merda d'artista. Ma Tintoretto è di gran lunga il mio artista preferito con quelle figure in movimento, quella capacità di riempire lo spazio come nessuno qui a Palazzo Ducale mi hanno chiesto di esporre il mio lavoro coprendo la parete dove si trova il suo. Come avrei potuto dire di no? Magari il mio dipinto finirà per modificarlo e influenzarlo. I quadri tra loro interagiscono».

 

Wim Wenders è qui per completare un documentario su di lei. Che effetto le fa?

Tintoretto - Il Paradiso - Palazzo-Ducale Venezia Tintoretto - Il Paradiso - Palazzo-Ducale Venezia

«Che cosa dire? Penso che Wim abbia realizzato film stupendi. In Germania, siamo diventati famosi nello stesso periodo. Negli anni Ottanta, venivamo sempre invitati insieme nei talk show. Io alla fine non andavo mai. Non so nulla del documentario che sta facendo su di me. Veramente nulla. Ogni tanto mi riprende, ma chissà. Amo molto il lavoro che ha fatto su Pina Bausch. Ecco, se il film su di me venisse così, andrebbe benissimo».

 

Adesso che le opere a Venezia sono installate, ora che la fatica è finita, per una volta è soddisfatto?

«Non sono mai soddisfatto. Ho dipinto decine e decine di tele, oltre a quelle scelte per Venezia: saranno esposte a Los Angeles in novembre alla Marciano Art Foundation. Ma ogni volta vorrei cambiare tutto. Buttare le opere nella laguna, dopo la conclusione della mostra, sarebbe meraviglioso. Parafrasando le parole di Andrea Emo: una volta affondati, questi dipinti produrrebbero ossigeno».

 

A che cosa serve l'arte?

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«L'arte e la poesia sono le sole cose vere. Il resto è illusione».

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