UN MARZIANI A ROMA - LA DOLCE VITA TORNA A SCORRERE CON ‘’IL CLASSICO SI FA POP’’, MOSTRA CHE SI DIVIDE TRA PALAZZO MASSIMO E LA CRYPTA BALBI, ENNESIMA CONFERMA DI UNA CITTÀ CON UN PATRIMONIO DA IMMOBILIARE DIO SPA - UN DITTICO FOTOGRAFICO DI FRANCESCO VEZZOLI, CON LA RIPRODUZIONE DI UNA PAOLINA A DESTRA E UNA SPECULARE EVA MENDES A SINISTRA, COGLIE L’ANIMA PROTOPOP DI UN NEOCLASSICISMO GIÀ POSTMODERNO PRIMA DEI MODERNI

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IL CLASSICO SI FA POP al Museo Nazionale Romano

 

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Gianluca Marziani per Dagospia

 

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La Dolce Vita torna a scorrere nelle vene latine di Roma, a due passi dai negozietti al neon che affliggono il decoro urbano coi loro sanpietri e colossei in plastica cinese. Ma non temete per una deriva siliconica di veneri cafonal in pelliccia e pellaccia, la nuova Dolce Vita ci parla di giovinezze marmoree che l’archeologia ha conservato senza alcun botox, sfidando la chirurgia estetica a colpi di musei climatizzati e restauri filologici.

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Eccoci in zona Termini, scultura papale di Rainaldi sulla sinistra, lo splendido Palazzo Massimo al centro, a destra un vecchio negozio d’abbigliamento che offre servizi alla cazzodicane, dal noleggio al junk food global. La Roma del gadget storico riparte dalla sede centrale del Museo Nazionale Romano, con una doppia esposizione che l’eterna dolcevita ce la serve su un piatto di marmo (ma anche gesso, porcellana, biscuit…) e tecnologia digitale.

 

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IL CLASSICO SI FA POP (a cura di Mirella Serlorenzi, Marcello Barbanera, Antonio Pinelli) si divide così tra alcune sale di Palazzo Massimo e i viluppi verticali della Crypta Balbi, luogo di metafisica e silente bellezza, ennesima conferma di una città che potrebbe governare il G8 se solo mettesse a pieno reddito un patrimonio da Immobiliare Dio SpA.

 

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A Palazzo Massimo il clou immersivo ci catapulta in una camera che è pura meraviglia di sostanza e forma liquida: la materia neoclassica di Canova viene declinata sul tema delle copie, tenendo a mente l’archetipo della Paolina Bonaparte, la prima venere cosmopolita, madrina erotica della Galleria Borghese (mi sembra di vederla passeggiare, nei tenui attimi del crepuscolo, mentre si incammina sinuosa verso la dormeuse delle sue notti bianche).

 

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Le affinità elettive accostano oggi la Ninfa Dormiente (prestata dalla Gipsoteca Canoviana di Possagno) all’Ermafrodito Dormiente (che è domiciliato a Palazzo Massimo). Davanti al corpo a corpo marmoreo (la Ninfa è di Antonio Canova, l’ermafrodito è un originale romano del II secolo a.C.) sbuca il cortocircuito che svela il codice pin del titolo: un dittico fotografico di Francesco Vezzoli, con la riproduzione di una Paolina a destra e una speculare Eva Mendes a sinistra, che coglie l’anima protopop di un neoclassicismo già postmoderno prima dei moderni.

 

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A proposito, l’opera di Vezzoli si intitola “La Dolce Vita” ed è qui che il tema espositivo si fa sinfonia tra originale e copia: una luce ondivaga accomuna teatralmente le opere e sovrappone disegni digitali come fossero appunti notturni, flussi e riflussi sul filo di un’elettronica che veste lo spazio con suoni sartoriali. Il messaggio è chiaro: fin dai tempi antichi esistevano copie e repliche di statue famose, spesso identiche (diciamo quasi) all’originale ma anche diverse per formato, colorazioni, materiali e finiture.

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Fu una mostra del 2015 alla Fondazione Prada – Serial / Portable Classic - ad approfondire il tema delle copie greche e romane, dimostrando l’esistenza secolare di un’attitudine pop, un approccio che avrà fatto arrabbiare tanti soloni aristochic del tempo, gli stessi che ancora dubitano quando un’opera esiste in molteplici copie (vedi il caso Banksy).

 

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CLASSICO POP è la conferma di un batterio resistente che chiamerei POP BACILLUS, un pastiche genetico che, lungo i secoli, ha contagiato lo sguardo moderno di alcuni maestri e tanti allievi. Lo presero Michelangelo e Leonardo, Raffaello e Botticelli, Arcimboldo e Bosch, lo prese Antonio Canova in forma modernamente infettiva. E lo prese un signore veneto di nome Giovanni Trevisan detto il Volpato, fondatore nel 1785 di una manifattura in Via Urbana, nel cuore del rione Monti.

Vezzoli Vezzoli

 

 

Volpato era l’abile imprenditore di un marchio che produceva e vendeva copie, repliche, pasticci, maioliche, terraglie e oggetti affini. Era nato con lui il souvenir moderno, ed era nata la bottega open space con le merci su scaffali a vista e tavoloni espositori, un Art Bazar da capitale cosmopolita (anche se la rivendita ufficiale era in via dei Greci) che accoglieva pittori erranti europei, letterati, uomini di governo ma anche semplici cittadini in cerca di regalie, oggetti professionali o idee per ornamenti domestici (chissà se la curiosità sessuale ispirava qualche giochino con le colonne in scala).

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L’ispirazione della mostra nasce dal ritrovamento archeologico di questo Tiger ante litteram, scoperto nel 2006 e oggi raccontato con un brillante progetto istituzionale (il catalogo è un bel volume di testi rivelatori, raffinato per stile grafico anche se una maggior spinta iconografica non avrebbe guastato).

 

Vezzoli Vezzoli

A Palazzo Massimo si nuota coi sensi tra le sale immersive (complimenti ai NONE Collective), scivolando tra la collezione permanente e gli ambienti digitali della mostra. Favolosa la stanza agonistica del Discobolo: una linea centrale di sculture e una foto sul muro firmata Robert Mapplethorpe, sorta di montaggio atletico tra proiezioni che regalano atmosfere in stile Derek Jarman. Da non perdere anche la sala coi Tirannicidi, sorta di oasi techno berlinese con un ambiente specchiante in cui Sol LeWitt (geometria visiva) sembra idealmente fondersi con Richie Hawtin (geometria sonora).

Gianluca Marziani Gianluca Marziani

 

Alla Crypta Balbi la visita assume un connotato più domestico, si entra nel cuore della bottega Volpato in un incastro di piani tra Piranesi ed Escher. Bellissimo il dessert (detto anche trionfo) dedicato a Bacco e Arianna, un centrotavola con 115 pezzi a formare un’installazione che fa arrossire i Chapman Brothers.

 

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Qui si vede tutto il genio, la modernità, il citazionismo colto, la visione universale di un imprenditore che stava anticipando molte vicende del futuro design industriale. Pensate ad un marchio come Seletti (vero erede del modus alla Volpato) e tornate con lo sguardo alle statuine del Settecento: si capisce bene quanto la Dolce Vita scorra nelle vene secolari di Roma, ben prima che Flaiano e Fellini ne inventassero l’ambientazione mondana… e si capisce come SPQR sia un acronimo con un secondo significato, nascosto ai più, sorta di marchio alla Volpato che in realtà dice: SONO POP QUESTI ROMANI.  

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