TUTTOBELLINI ALLA TRIENNALE DI MILANO - C’È TUTTO, PROPRIO TUTTO IL GRANDE ARCHITETTO E DESIGNER NELLA MOSTRA ''ITALIAN BEAUTY'' - “FARE UNA SEDIA È PIÙ DIFFICILE CHE COSTRUIRE UN GRATTACIELO” - "COS’ALTRO POSSIAMO CHIEDERE AGLI OGGETTI SE NON DI ESPRIMERE LA NOSTRA CULTURA?" -

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Pierluigi Panza per Sette del Corriere della Sera

MARIO BELLINI MARIO BELLINI

 

Bersi un tuttobellini in una volta sola. Perché sì, c’è tutto, proprio tutto l’otto volte Compasso d’oro Mario Bellini nella mostra Italian Beauty, dal 20 gennaio in Triennale. Tutto ciò che vedi, calpesti, rimiri o ti osserva in un gioco di specchi è di Bellini ed è Bellini. Lui è oggetto e progettista dell’allestimento, come nel 1987 al Moma; ma la sua non è una retrospettiva bensì una prospettiva il cui punto di fuga è ancora fuori dalla tela che ha tessuto.

 

mario bellini ges mario bellini ges

È un viaggio trasversale, lungo quasi 60 anni e non ancora concluso, una tranche de vie e di design italiano riassunto anche nei saggi di Germano Celant, Francesco Moschini, Marco Romano, Italo Lupi, Vittorio Sgarbi, Franco Purini, Arturo Carlo Quintavalle, Gaetano Pesce, Gabriele Basilico, Kurt Forster, Kenneth Frampton del catalogo Silvana editoriale.

 

Tutto Bellini significa dal 1962, quando vinse il primo Compasso d’oro con il tavolo minimalista Cartesius, un centinaio di macchine da ufficio per Olivetti tra il 1962 e il 1992 (l’ultimo nato è “Quaderno”, che ha anticipato i laptop), sei anni di direzione di Domus (1986-1991), Kar-a-sutra del ’72  (se ne sta realizzandone un modello poiché l’originale è stato lasciato arrugginire sotto un telo decenni fa), architettura in tutto il mondo e, tagliando svelti verso il 2017, l’Antiquarium forense accanto al Colosseo. Quasi a indicare l’antichità come futuro. Lui, che più al futuro all’antichità ha da sempre pensato.

 

mario bellini where architects live tododesign mario bellini where architects live tododesign

Approccio visuale. La mostra “Italian Beauty” occupa più di mille metri quadrati del Palazzo dell’Arte in Triennale. È articolata in un Portale, Galleria a U, quattro Stanze, Piazza centrale e il tema è quello di «mostrare il ruolo eversivo e salvifico della bellezza», racconta Bellini. «La mostra è mia e su di me, ma cerco di non condizionarla del tutto: il curatore è Deyan Sudjic, direttore del London Design Museum, con Ermanno Ranzani e Marco Sammicheli».

 

Subito all’ingresso della Triennale, un grande Portale/Biblioteca lungo 25 metri e alto 6 accoglie il visitatore con oggetti, modelli, immagini e arredi di Bellini. «È una macchina scenica che si pone come incipit del viaggio che si sta per intraprendere». Poi si entra e si prende una strada a U che immette nelle quattro Stanze e nella Piazza.

mario bellini architects full mario bellini architects full

 

I temi delle stanze sono definizioni: complessità (abitare), storia e progetto (rappresentare), la voglia del cambiamento (trasformare), forme e vita (innovazione); la Piazza centrale, che mostra Parigi dall’alto, si chiama scena e platea (mostrare).

 

Entri nelle stanze e, sul fondo di ciascuna, dei maxi schermi 12 x 7 metri trasmettono in 3D filmati delle architetture belliniane riprese in questi giorni a Tokyo, Yokohama, Melbourne, Francoforte…

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«Perché l’architettura non può essere ridotta a fogli appesi ai muri; così si fanno mostre non di, ma sull’architettura. Le foto sono un surrogato che non coglie la scala, il suono, l’emozione… ciò che ci avvicina di più all’esperienza diretta dell’architettura», spiega Bellini, «è girarci intorno e dentro con un bravo regista, renderle un fatto vivo, un’esperienza estetica collettiva, un po’ wagneriana, una sorta di teatro totale».

 

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Quindi, per prima cosa i filmati. Poi, sui muri di queste “multisale”, ci saranno dei pannelli con disegni originali, tipo quello per il Tokyo design, antecedente all’uso del computer. Davanti, invece, in teche di plexiglas e appoggi quasi invisibili, saranno disposti i  modelli di architettura (da Villa Erba a Cernobbio, al Centro congressi Mico di Milano, la cosiddetta Cometa del Portello), quelli che oggi sono sostituiti da SketchUp: «È un software che mentre tu pensi mette in 3D le tue intenzioni, e così si forma l’opera: è interessante, ma con il disegno pensavi valutando. Questo sistema è vicino al lavoro del designer, che è come quello dello scultore: uno che lavora una forma e la perfeziona via via. L’architettura, invece,  non la fai provando e quindi devi ragionare con strumenti sostitutivi di scala ridottissima».

 

mario bellini 29 mario bellini 29

Bellini si è trovato bene in tutte le “arti del disegno” e anche nella fotografia (assai stravaganti quelle del suo viaggio anni Sessanta negli Stati Uniti), agendo sulla complessità e sui salti di scala, rifuggendo il focalizzarsi in una sua “maniera”, inventando ogni volta da zero attraverso la comparazione dell’idea con le forme. «Credo che l’agilità nel progetto sia tipico della scuola milanese di Albini, Gardella, Scarpa, Rogers, Ponti e, prima, anche dei maestri del Movimento Moderno». Certo è una sua caratteristica, come anche la duttilità. «Realizzo tutto, ad eccezione degli interni privati, perché si tratta sempre di una committenza troppo impicciona».

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Ricordi di un bimbo sfollato. Nella grande Piazza emoziona il filmato del Louvre ripreso da 60 metri di altezza con gru (i droni sono oggi vietati per questioni di sicurezza), dove vedi la sua Cour Visconti, ovvero il Museo delle arti islamiche inaugurato nel 2012, la Piramide di Pei e, là che scorre, la Senna dal lontano ponte Mirabeau: qui, al Louvre, dove non poté il romano Bernini poté il milanese Bellini.

 

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Sulla parte di fondo di questa Piazza trasformata in platea, come in una Wunderkammer scorrono gli “oggetti di affezione” di Bellini: un cavalletto con fari, la collezione dei libri di Simenon, le lettere di Mozart, le copertine dei numeri di Domus da lui diretti, i memoir di Stendhal, giacche, libri Adelphi sulla grande Vienna, edizioni del Ring wagneriane dirette da Solti, chopsticks giapponesi di design anonimo e, infine, un foglio di carta bianca e una matita «che costituiscono il dispositivo per rendere visibili i pensieri, cosa che facevo sin da bambino da sei sette anni, rendendo antropomorfi e zoomorfi gli oggetti». Un’età in cui Bellini si esercitava perfezionando le acqueforti delle cartoline dello zio. «Fu proprio durante la guerra, quando era sfollato nel Varesotto, che incontrai per la prima volta il mio lavoro di costruttore: l’altro zio aveva una fornace di mattoni e io mi divertivo a costruire».

dago e mario bellini dago e mario bellini

 

Dall’idea alla creazione. Si entra ed esce di Stanza in Stanza percorrendo la strada a U, che ha un pavimento in ferro nero come quello che esce dai laminatoi. Su un lato gli specchi fanno sembrare il percorso un caleidoscopio di visioni largo otto metri anziché quattro. È un ferro di cavallo emozionale che, andata e ritorno, è quasi un 100 metri da percorrere in dieci ore anziché dieci secondi. C’è un sunto di tutto il lavoro di Bellini: design, oggetti, schizzi, arredi, divani, sedie...

 

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C’è il P101, quello che sembra uno squalo ed è il primo personal computer al mondo realizzato per Olivetti nel 1965; c’è Divisumma 18, macchina elettronica rivestita con una membrana in gomma il cui riferimento è al tocco malandrino al capezzolo come raffigurato nel quadro della Scuola di Fontainebleau Gabrielle d’Estrées e sua sorella; c’è il mangiadischi  Pop45, c’è la tv regolabile Aster 20 di Brionvega, c’è...

 

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Mentre cammini, appena sopra la testa ti ritrovi 130 immagini, raggruppate a coppie, che sono un viaggio nella mente di Bellini: animali che diventano oggetti, oggetti che si fanno zoomorfi, immagini di opere di Antonello da Messina e Andrea del Castagno...: «Lo sai che fare una sedia è più difficile che costruire un grattacielo», esclama. Ecco sopra la testa c’è la sua testa, il comme il fait.

 

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I progetti futuri. Quasi all’uscita del circuito, quattro grandi schermi raccontano Bellini in prospettiva, ovvero quello che ha in corso: il nuovo terminal di Fiumicino ex capolavoro di Morandi, l’Antiquarium museo permanente dell’antica Roma, per le Generali la trasformazione del cosiddetto grattacielo rosso che diventerà la Generali Academy, il progetto Grande Brera consegnato nel 2013, Erzelli a Genova per un polo scientifico e la trasformazione del Portello: «I developers vorrebbero abbatterlo e speculare, io mantenere l’impianto dell’oggetto, che è in connessione con CityLife».

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Vorrebbe donare il suo Centro culturale di Torino nell’area Spina-due progettato nel 2001 ma non realizzato (non partito perché «i fondi privilegiarono le Olimpiadi») per l’area ex Expo: «È un centro culturale che si aggiungerebbe al polo scientifico che si intende sviluppare».

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«Italian Beauty»: ovvero la bellezza al potere. Bellezza che, nel caso di Bellini, è ricerca di una forma sempre nuova per ogni nuova richiesta. È un non arrendersi. È un libero gioco di preveggenza in cui il disegno è una sorta di arte della guerra tra la non forma e la forma: «Cos’altro possiamo chiedere agli  oggetti», conclude, «se non di esprimere la nostra cultura?». Qui è espressa una visione della cultura del moderno.

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Dopo Milano, questa non-retrospettiva girerà in Europa: Londra, Mosca con Salone del Mobile e, forse, in Germania...

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