ALL’ARMI SIAM FAZISTI (AGAIN!) – l’intervista a tutta pagina del quotidiano dei vescovi segnala un forte riavvicinamento tra la chiesa e l’uomo di alvito - e chi sono gli \"economisti orecchianti\"? a tremonti saranno fischiate le orecchie...

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Eugenio Fatigante per l\'Avvenire

AntonioAntonio Fazio

Riprendiamo un intervento di Antonio Fazio del 2001: \"A distanza di trent\'anni dalla fine del sistema di Bretton Woods vanno ricercati criteri e regole per costruire un nuovo ordine monetario internazionale. In un contesto privo di un\'àncora monetaria, deve acquistare nuovo rilievo l\'analisi dell\'espansione della finanza a livello mondiale\". Parole che, rilette in questo inizio 2009, acquistano un suono diverso.

L\'ex governatore della Banca d\'Italia guarda la pagina (tratta da un discorso fatto a Palazzo Koch il 9 marzo 2001) e conferma: «È questo il punto, una nuova autorità mondiale, una nuova Bretton Woods. Il problema di fondo della crisi finanziaria resta una globalizzazione che, priva di un\'àncora, sta creando un mondo di disuguaglianze. Quando il sistema monetario è senza un\'entità sovranazionale che controlla, si sviluppa per proprio conto senza limiti quantitativi: il credito produce moneta, la moneta produce credito.

Bisogna tornare a controllare la quantità di moneta a livello mondiale. Se dimentichiamo questo, continueremo ad avere momenti di euforia a cui seguiranno nuove crisi, che rallentano la crescita e poi passano, ma intanto fanno arretrare le condizioni di vita di larghi strati della popolazione».

È un nodo che Fazio, economista di formazione keynesiana (miscelata alla filosofia morale dei Padri della Chiesa), torna a indicare nel testo \"Globalizzazione. Politica economica e Dottrina sociale\", volumetto di 81 corpose pagine (Tau editrice, 5mila copie già esaurite) che rilegge la storia economica alla luce dell\'insegnamento della Chiesa.

Per Fazio la crisi in corso non è paragonabile a quella del 1929. Ma al di là dei piani - più o meno \"maxi\" - buoni per alleviare le emergenze contingenti, è la riforma del Fondo monetario internazionale (che potrebbe diventare una sorta di Banca centrale mondiale, com\'era previsto nel piano originario di Keynes) l\'approdo cui arrivare, per poter davvero ripartire. Una linea che, curiosamente, vede oggi il ministro Giulio Tremonti, oppositore di Fazio nel periodo 2001/05, riecheggiare posizioni analoghe.

Il libro, terminato a giugno 2008 (prima quindi dell\'\"esplosione\" della crisi), tratta solo in parte la globalizzazione finanziaria. Nella cui storia, tuttavia, Fazio distingue un punto di svolta: Ferragosto 1971. Quel giorno Richard Nixon pose fine al sistema di cambio uscito nel 1944 da Bretton Woods quando, dopo il prevalere del piano statunitense di White su quello inglese di Keynes, il dollaro - moneta di riferimento - fu ancorato all\'oro.

GiulioGiulio Tremonti

È dopo il \'71 che cominciano i problemi: prima l\'aumento dei prezzi delle materie prime cui seguono le due drammatiche crisi petrolifere, che sconvolgono le economie dei Paesi industriali; poi le \"tempeste\" locali (Messico, Corea, Brasile, Russia), la \"bolla\" tecnologica del 2000, quella immobiliare, fino agli ultimi eventi. Casualità? Fazio è convinto di no.

Lungo i 13 anni da governatore, partecipando a una media di 35-40 riunioni l\'anno dei massimi organismi internazionali, ha vissuto da testimone diretto uno scontro culturale fra due distinte impostazioni: una più \"tradizionale\", della vecchia Europa («Il fronte era Germania, Francia e Italia», annota), contro l\'ideologia liberista, del laissez-faire, che predicava un\'attività economica sganciata da vincoli.

Nell\'illusione che il principio della ricerca del profitto individuale porti sempre al benessere collettivo, ma soprattutto col vantaggio di poter avere mani libere, come successo negli Usa col sistema dei mutui e dei bond a essi collegati. Un\'ideologia che ha anche una forte capacità di divulgazione, ramificata nei mass-media, e sempre più invasiva da metà anni \'80, con la liberalizzazione bancaria.

Solo in qualche caso (vedi l\'avvio del piano Basilea 2) è riuscito a prevalere il filone \"rigorista\". Fazio opera una distinzione fra la globalizzazione reale, dei commerci, che ha creato ricchezza ma che trova un suo limite nelle risorse naturali, e quella finanziaria che si è voluto estendere oltre misura per motivi ideologici. E indica una doppia velocità fra la prima, da estendere ai prodotti agricoli e tessili, e la seconda che va regolata.

L\'economista formatosi al Mit ribadisce: «Dobbiamo controllare la quantità di moneta nel mondo, ma alcuni non vogliono sentire, nelle sedi internazionali ci si imputava sempre che volevamo troppo controllare».

Accusa, questa, mossa anche all\'azione in Italia dell\'ex governatore. Che ora rivendica come sotto la sua gestione le banche si siano ridotte da circa 1.100 a 700: se fossero rimaste 1.100, molte sarebbero crollate (per non dire delle acque non brillanti in cui naviga oggi l\'olandese Abn Amro, che nella \"calda\" estate 2005 conquistò Antonveneta).

È successo che le nostre banche più di quelle estere hanno fatto le banche. Fazio pensa al sistema delle banche popolari e casse rurali che, messe insieme, fanno il 30% circa del sistema, ma raccolgono i 2/3 dei clienti e ricorda una frase del suo amico Horst Kohler, ex direttore del Fmi e attuale presidente tedesco: «Le banche popolari non sono il problema, sono la soluzione del problema».

Una bussola di Fazio resta, 82 anni dopo, ancora Keynes e il suo pamphlet del 1926 \"The end of laissez-faire\". Ne cita due stralci: «Il capitalismo, saggiamente governato, può probabilmente essere reso più efficiente di qualsiasi altro sistema ora in vista nel raggiungere obbiettivi economici, ma in se stesso è per molti aspetti estremamente criticabile»; e poi, «il passo in avanti deve venire non da agitazione politica o esperimenti prematuri, ma dalla riflessione».

È proprio un forte richiamo alla riflessione, indispensabile premessa alle riforme, quello che viene dal governatore. La sua non è una condanna della globalizzazione: non siamo alla sua fine, anzi Fazio ne conserva un giudizio positivo. Testimoniato, nella copertina del libro, da una fanciulla che guarda con fiducia un mappamondo. Un giudizio accompagnato però dalla sottolineatura che il mercato in sé darebbe una redistribuzione ancor meno equa di quella attuale («L\'hanno capito anche taluni economisti orecchianti...»).

Non sono vuote parole, ma questioni di fondo, non a caso poste già nel 1967 da Paolo VI nella \"Populorum progressio\". Per questo, accanto a un paragrafo che annovera la demografia come fattore di sviluppo, si osserva che «finalmente nel 2007 il documento base del Fmi si intitolava \"Globalization and Inequalities\", ci sono voluti 40 anni...». Per correggere il mercato serve un ruolo forte della politica, di quegli Stati che oggi intermediano il 40% circa del reddito nazionale. Altrimenti si rafforza «il rischio del darwinismo sociale».

Dove i \"forti\" si costruiscono le regole, incuranti di ogni riferimento etico. Alla Richard Fuld, l\'ultimo capo di Lehman («Che errore averla fatta fallire, il fallimento di una banca sparge sempre il panico», rileva Fazio) che poco prima del fallimento liquidò due dirigenti con 20 milioni di dollari, cifra da egli stesso in parte decisa. Sono ben altre le regole che servono.

A più riprese Fazio fa l\'esempio anche dei tanto discussi derivati (c\'è chi ricorda che una volta pure il finanziere George Soros ricordò queste sue analisi), sostenendo che «sono come un\'assicurazione: usati per coprirsi da un rischio restano un fattore positivo. Il problema è che sono stati usati, in forma impropria, per fare delle scommesse finanziarie. Vanno regolamentati». Se invece i valori del mercato vengono fatti diventare quasi assoluti, la stessa analisi economica si traduce in un\'ideologia.

 

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