LA DISTRUZIONE DEL NORD-EST, UN PEZZO ALLA VOLTA - DOPO DUE AUMENTI DI CAPITALE E QUATTRO RISTRUTTURAZIONI DEL DEBITO, “STEFANEL” PASSA DI MANO: FINIRA’ A DUE FONDI DI INVESTIMENTO (OXY E ATTESTOR) - L’ERRORE DEL GRUPPO? SPOSTARE VERSO L’ALTO IL PRODOTTO PROPRIO MENTRE ARRIVAVANO I LOW COST ZARA E H&M

-

Condividi questo articolo


Vittoria Puledda per “la Repubblica”

 

Giuseppe Stefanel Giuseppe Stefanel

Un altro pezzo del Nord-Est è costretto ad alzare bandiera bianca. Dopo le due banche in liquidazione, è Stefanel ad arrendersi ad una crisi che va avanti da quasi dieci anni, che ha visto due aumenti di capitali e quattro ristrutturazioni del debito (contando quella attuale) e che porterà il patron Bepi, dopo l' omologa del tribunale di Treviso, a scendere fino a circa il 12% nell' azienda di famiglia.

 

Al suo posto subentreranno, con una quota del 75%, i due investitori istituzionali Oxy e Attestor (attraverso il veicolo Trinity). Specializzati in ristrutturazioni di società in forti difficoltà e determinati a rivoltare da cima a fondo il gruppo.

 

GIUSEPPE STEFANEL GIUSEPPE STEFANEL

È una parabola che si conclude, un modello di business che negli anni Ottanta sembrava destinato a stravincere; quello delle "multinazionali tascabili", dell' innovazione del prodotto (e del modello distributivo, grazie alle reti di franchising fatte grandi dai Benetton qualche anno prima, ma cavalcate con successo anche da Stefanel). Invece, man mano che il primo decennio del nuovo secolo si avviava a conclusione, per Stefanel l' orizzonte si è fatto sempre più cupo.

 

L' errore principale, che ha fatto perdere la sfida, è stato il tentativo di spostare verso l' alto la linea di prodotto, di passare dalla maglietta divertente, colorata e relativamente a buon mercato, al medio-alto di gamma, con una linea completa di abbigliamento e prezzi adeguati.

 

GIUSEPPE STEFANELE NICOLETTA ROMANOFF GIUSEPPE STEFANELE NICOLETTA ROMANOFF

Per sfuggire alla concorrenza devastante del "fast fashion" di Zara e H&M, Stefanel ha tentato la strada del lusso accessibile, ma pur sempre quasi-lusso, con uno scontrino medio intorno ai 120 euro. Una sfida persa ma costosa, anche in termini di look dei negozi (decine di milioni di euro), mentre la percezione del marchio non ha mai fatto il salto e la qualità è rimasta sotto le aspettative.

 

Per molti versi, alle origini Stefanel è stata una sorta di Benetton in miniatura. Gruppo familiare - il padre Carlo fonda il Maglificio Piave nel '59 - la prima fase delle vendite della maglieria di lana avviene grazie ai grossisti e poi con una propria rete di agenti; nell' 80 il primo negozio a marchio Stefanel, a Siena; due anni dopo l' apertura a Parigi (primo approdo all' estero, ma un decennio prima, anche per Benetton). Nel '70, era giunto in azienda Bepi, destinato a far grande la fabbrica di maglieria, guidando il gruppo attraverso una serie di diversificazioni - non sempre felici - e portandolo in Borsa nell' 87. Un anno dopo i "cugini" di Ponzano Veneto.

GIUSEPPE STEFANEL E LUISA RANIERI GIUSEPPE STEFANEL E LUISA RANIERI

 

Il percorso di Stefanel va avanti spedito per circa venti anni: sono quelli in cui la ricetta del Nord Est porta ricchezza a molti imprenditori coraggiosi, le banche crescono, si espandono e sbarcano in Borsa (vedi Antonveneta) il modello imprenditoriale viene studiato ovunque. Nel frattempo la multinazionale tascabile scopre il fascino della finanza, compra squadre di basket, acquista il 50% della catena di negozi aeroportuali Nuance.

 

Quasi dieci anni dopo, nel 2011, quando Bepi la rivende "gira" il 60% dell' incasso alle banche: l'indebitamento quel punto era diventato un moloch sui conti del gruppo. Il primo aumento di capitale del 2008 era servito a poco; nel 2010 la società batte di nuovo a cassa. In quell'occasione esce dall' azionariato la sorella Giovanna.

GIUSEPPE STEFANEL CON MODELLE GIUSEPPE STEFANEL CON MODELLE

 

Da lì in poi, la crisi finanziaria mondiale e la caduta verticale del Pil italiano hanno fatto il resto, spazzando via i residui tentativi di risalire la china. Fino alla parabola attuale, con l' ingresso dei nuovi azionisti fondi e le banche che ristrutturano il debito, mettono nuova finanza e cedono per un euro simbolico 25 milioni di crediti. All' accordo sulla ristrutturazione mancano le firme di due banche (anche se le delibere ci sono già): Popolare Vicenza e Veneto banca. Il tempo di passare le consegne ai commissari liquidatori e arriveranno anche loro.

 

Condividi questo articolo

ultimi Dagoreport

DAGOREPORT - BUM! QUANDO LA PITONESSA STRIZZAVA I CERVELLI! - SU UN ANTICO NUMERO DEL RINOMATO MENSILE DI ARREDAMENTO "AD", SPICCA UN SERVIZIO NEL QUALE SI LEGGE: "DANIELA E PAOLO SANTANCHÈ […] LEI È UNA PSICHIATRA CHE LAVORA NELLA COMUNICAZIONE, LUI È UN CHIRURGO DELLE DIVE" - PARE CHE PER UN CERTO PERIODO, VANTANDO UN’INESISTENTE LAUREA IN PSICOLOGIA, DANIELONA ABBIA RICEVUTO, NELLO STESSO STUDIO MILANESE DELL’ALLORA ANCORA MARITO PAOLO SANTANCHE’, PAZIENTI CHE NON ACCETTAVANO IL PROPRIO ASPETTO - SAREBBE ANCHE L’UNICO PERIODO IN CUI LA PITONESSA AVREBBE USATO IL PROPRIO COGNOME CON TANTO DI TARGA SULLA PORTA, ''DOTTORESSA GARNERO, PSICOLOGA''...

DAGOREPORT – JOE BIDEN VUOLE CHE GIORGIA MELONI METTA ALL’ORDINE DEL GIORNO DEL G7 L’USO DEI BENI RUSSI CONGELATI. PER CONVINCERE LA DUCETTA HA SPEDITO A ROMA LA SUA FEDELISSIMA, GINA RAIMONDO, SEGRETARIO AL COMMERCIO – GLI AMERICANI PRETENDONO DALL’EUROPA UN'ASSUNZIONE DI RESPONSABILITÀ DOPO TUTTI I MILIARDI CHE WASHINGTON HA POMPATO A ZELENSKY. MA METTERE MANO AI BENI RUSSI È UN ENORME RISCHIO PER L’UNIONE EUROPEA: POTREBBE SPINGERE ALTRI PAESI (CINA E INDIA SU TUTTI) A RIPENSARE AI LORO INVESTIMENTI NEL VECCHIO CONTINENTE…