L'EXIT STRATEGY DI BEBè – TELECOM PREFERIREBBE LA SOLUZIONE B DEL PIANO CAIO (O MAGARI una versione ridotta dello scorporo: IL GOVERNO SALVA LA FACCIA) – A Mediaset hanno capito che se La 7 incrementa GLI SPOT non ruba spazio a Publitalia ma a Sky...

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Stefano Carli per "Affari & Finanza" de "la Repubblica"

Franco Bernabè è un uomo prudente. Ai tempi dell'Eni ha resistito alle critiche di chi gli rimproverava di non essersi buttato nella giostra dei mega merger (e i fatti gli hanno dato ragione). Ma è anche testardo, pronto a difendere le sue posizioni il più a lungo possibile, come ai tempi del suo primo mandato in Telecom.

Franco BernabèFranco Bernabè

Allora portò la sua strategia di fusione con Deutsche Telekom fino al punto finale della conta in assemblea, che lo fece uscire sconfitto. Ma siccome non gli piace perdere e ha buona memoria, è probabile che in questa faccenda del piano Caio, della fibra ottica e delle continue minacce di scorporo della rete (senza contare l'altro fronte, quello del rapporto con gli azionisti e Telefonica in primis) ha capito che dei margini di manovra li ha, ma che deve anche iniziare a predisporre delle vie d'uscita. Non per sé, ma per la Telecom.

Insomma, da qualche parte qualcosa deve cedere. E in effetti qualcosa si è mosso. Non si vede tanto, nascosto dietro la terminologia anglofila degli ingegneri delle tlc e si chiama «overlay». Significa sovrapposizione e vuol dire che le reti in fibra ottica su cui Telecom investirà nei prossimi anni verranno costruite «accanto» alla vecchia rete in rame.

Questo vuol dire due cose: la prima che non si andrà a togliere rame mettendoci al posto la fibra; la seconda, che non si farà più, come sembrava fino a un anno fa, quando la parola chiave era Vdsl, una rete che tagli completamente fuori le centrali telefoniche attuali dove sono attestati con le loro macchine i concorrenti di Telecom, ossia Wind, Vodafone, Tiscali e anche Fastweb quando sta fuori dalla «sua» rete in fibra ottica.

Francesco CaioFrancesco Caio

Può sembrare un dettaglio da ingegneri, ma è invece molto importante. Vuol dire come prima cosa che Telecom non vede più la fibra come un'occasione per mandare fuori mercato tutti i suoi concorrenti. Ma vuol dire anche una seconda cosa: che in tal modo Bernabè offre al governo la possibilità di tenere in piedi perfino una versione ridotta dello scorporo.

Ovviamente non è una proposta esplicita. Di esplicito in tutta questa vicenda non c'è nulla. Qualcuno ha sintetizzato che l'Italia è un paese in cui i piani industriali si fanno in piedi accanto alla macchina per il caffè piuttosto che tutti assieme attorno a un tavolo.

Ecco come potrebbe funzionare. Il rapporto Caio dice chiaramente, a un certo punto, che il vero monopolio naturale e non replicabile non è la rete di accesso nel suo insieme, ma la «rete passiva»: nel caso della fibra ottica, sono i cavidotti e i cavi ottici «spenti» ossia senza i sistemi di rete, l'hardware e il software che contengono l'intelligenza. Anche nel caso del rame, i soli cavi potrebbero essere considerati «rete passiva».

StellaStella

Una società pubblica della rete in cui Telecom conferisse solo l'ultimo miglio in rame potrebbe avere nell'immediato, secondo valutazione che circolano, valori comunque superiori ai 10 miliardi. Priverebbe Telecom di un asset che nei prossimi 510 anni andrebbe a perdere progressivamente peso man mano che la fibra avanza (e il modello olandese di cui si è molto parlato in questi giorni prevede appunto che il rame venga spento quando una nuova linea ottica viene attivata).

Grande vantaggio in termini finanziari subito: il valore patrimoniale da incassare, una quota di debito da accollarci sopra, i costi di manutenzione da scaricare. Relativamente semplice da fare: basta spostare i confini di Open Access un po' più in là. Poco svantaggio industriale nel medio periodo. Anche perché non toccherebbe le linee il resto della rete in fibra di Telecom, le dorsali, i collegamenti con i grandi dataserver.

Renato BrunettaRenato Brunetta

Ma questo non toglie che in casa Telecom l'ipotesi che preferiscono è quella di una società della rete che nasca senza scorpori di alcun genere. E' l'ipotesi 2 del piano Caio. Che piace di più a Telecom perché riporta la palla completamente sul tavolo del governo.

E' il governo che deve decidere come fare questa società, trovare i soggetti adatti, che potrebbero essere fondi e società di impiantistica: in fondo si tratta di fare la stessa rete, con il costo di 10 miliardi in 5 anni, ma questa società dovrebbe accollarsi i 78 miliardi di opere civili, lasciando agli operatori telefonici, a ciascuno secondo i propri piani, il compito di mettere il 20% di costo totale costituito dai sistemi di rete.

Sul finanziamento, si potrebbe immaginare anche l'emissione di bond garantiti dalla rendita derivante dall'affitto dei cavi. Gli operatori potrebbero trovare conveniente pagare un prezzo più alto per il primi anni a fronte del minore sforzo di investimento sui lavori civili.

Un Bernabè più morbido potrebbe poi servire anche al governo, che ha bisogno di spostare l'attenzione dal tema dello scorporo della rete Telecom che ha monopolizzato l'attenzione negli ultimi mesi. Da un punto di vista d'immagine una soluzione potrebbe essere di tenere ufficialmente non decisa la cosa con formule interlocutorie e procedere con meno clamore ma con più efficacia e responsabilità su quello che il piano Caio chiama la «seconda gamba» della banda larga italiana.

Umberto CairoUmberto Cairo

E che forse è di qui ai prossimi due anni la cosa più importante: ossia come eliminare il digital divide, il divario digitale. Francesco Caio nel suo documento parla netto di un 14% di italiani in divario digitale. Ed è questo divario che è prioritario annullare entro il 2011 altrimenti va a monte anche il piano Brunetta per l'ammodernamento della Pubblica Amministrazione.

Qui i numeri sono più piccoli ma sicuri: 1,3 miliardi di euro. Ed è sicura anche la fonte: questo è puro intervento pubblico. Si tratta quindi di ripescare rapidamente gli 800 milioni spariti per finanziare lo sconto Ici e trovarne altri 500.

Dalla parte di Bernabè, in questa fase, gioca anche la partita delle tv. A Mediaset hanno capito che se La 7 cresce, e incrementa la raccolta pubblicitaria, non ruba spazio a Publitalia ma a Sky, perché «pesca» nella stessa tipologia di target. Una convinzione che non deve essere stata estranea al fatto che in modo inaspettato, mentre il mercato degli spot scendeva a precipizio, ha consentito a La 7 guidata da Gianni Stella di spuntare con la Cairo Pubblicità un aumento dei minimi garantiti.

E si conoscono i buoni rapporti tra Cairo e il mondo Fininvest. E poi c'è il fatto del nuovo decoder unico di Alice, la Iptv di Telecom. Un decoder unico tramite cui gli utenti possono ricevere tutti i canali del digitale terrestre e i canali delle pay tv. Sky e Mediaset Premium. E c'è una particolarità. Su questo decoder arrivano via etere i canali in chiaro del digitale terrestre. Mentre i canali pay di Mediaset arrivano via cavo, come quelli di Sky, distribuiti dai server di Telecom Italia, che ne gestisce anche la fatturazione.

E' vero che per ora i numeri di Alice Tv sono piccoli, ma in prospettiva possono crescere molto. E poi su questa piattaforma la pay tv di Mediaset compete direttamente con quella di Sky. Con un ulteriore vantaggio, in prospettiva. Qui, sulla Iptv, i canali pay possono crescere all'infinito, senza i limiti di capacità del digitale terrestre. E anche senza il rischio, come sta accadendo ora, che l'AgCom vada a controllare se Mediaset non abbia superato su quelle frequenze il suo tetto del 20%.

Le scorse settimane è girata la voce che Mediaset fosse intenzionata ad acquistare la rete Iptv di Telecom. La frase, in questi termini, non ha senso. Ma la voce ha però colto un dato di fatto, quello dell'interesse di Mediaset per l'Iptv. Un interesse che si coltiva meglio alleandosi con Telecom piuttosto che comprando pezzi di rete. E per di più senza spendere soldi.

 

 

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