''IL FRATELLO DELLA BOSCHI MI OBBLIGĂ’ AD APRIRE UN CONTO AL FACCENDIERE'' - INTERROGATA DAGLI INQUIRENTI, UNA FUNZIONARIA DI BANCA ETRURIA CONFERMA LE PRESSIONI PER AGEVOLARE LA SOCIETĂ€ DEL MASSONE MUREDDU, CHE ERA PRIVA DI DOCUMENTAZIONE. POI, INSOSPETTITA, DENUNCIA TUTTO ALL'ANTIRICICLAGGIO

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Giacomo Amadori per 'La Verità'

 

emanuele boschi emanuele boschi

La dirigenza di Banca Etruria nel 2014 ha pressato per giorni una ligia funzionaria di banca costringendola a non rispettare le regole e a favorire l' apertura di un conto corrente e la concessione di una linea di fido senza garanzie a imprenditori sponsorizzati dalla famiglia Boschi e in particolare da Emanuele, all' epoca funzionario della Popolare aretina e fratello del sottosegretario Maria Elena.

 

Peccato che da quel conto passò un fiume di denaro sporco destinato al faccendiere Flavio Carboni, ora indagato insieme con i suoi sodali per riciclaggio. Non ci risulta che la Procura di Arezzo abbia iscritto alcun dirigente della banca sul registro degli indagati a causa di quell' operazione opaca, nonostante le sconcertanti dichiarazioni di Ede Polvani, la direttrice di filiale che ha scoperto a chi fossero dirette le centinaia di migliaia di euro che transitavano dalla Svizzera e che per questo ha chiesto e ottenuto di far chiudere il rapporto.

 

La storia del conto era stata anticipata nel libro I segreti di Renzi del direttore Maurizio Belpietro e poi ripresa il 24 settembre scorso sulla Verità.

VALERIANO MUREDDU VALERIANO MUREDDU

 

Raccontammo degli incontri del presidente di Etruria, Lorenzo Rosi, e del suo vice, Pierluigi Boschi, con Flavio Carboni e con il suo epigono Valeriano Mureddu. Riunioni riservate in cui dirigenti di Etruria andavano in cerca di consigli e finanziatori per il loro istituto alla corte dell' uomo condannato per il crac del Banco Ambrosiano. In quegli articoli svelammo che contemporaneamente a quegli abboccamenti, Mureddu e un suo collaboratore, Emiliano C., aprirono il conto numero 148/1919-5, per far transitare dall' estero soldi diretti a Carboni.

 

Nel libro di Belpietro si leggeva che i documenti necessari all' avvio della pratica erano contenuti in una cartellina azzurra con sopra il tratto distintivo dell' intestatario del conto: «Amico di famiglia di Emanuele Boschi». Un cognome che a quei tempi era più di una garanzia in Bpel. Aggiungemmo anche l' identità della funzionaria a cui era stato affidato il delicato incartamento: Ede Polvani, appunto.

 

FLAVIO CARBONI FLAVIO CARBONI

La notizia, ignorata da tutti gli organi di informazione, colpì, invece, gli investigatori che stavano indagando per frode fiscale e riciclaggio su Carboni, Mureddu e un' altra dozzina di soggetti, oltre che sulla scatola vuota utilizzata per compiere quei presunti reati, la Geovision Srl. Quattro giorni dopo l' uscita dell' articolo della Verità, alle 9 del mattino, la signora Polvani, per 10 anni direttrice dell' agenzia 12 di Banca Etruria, era già negli uffici del Nucleo di polizia tributaria di Arezzo e qui confermò la trama descritta dai cronisti del nostro quotidiano, aggiungendo particolari inediti: «Premetto che l' agenzia 12 di Banca Etruria è la filiale di riferimento della sede centrale e dove sono allocati tutti i conti della Banca e delle società con cui collabora».

 

Quindi alla Geovision di Mureddu & c. viene concesso il trattamento riservato alle società vicine ai vertici dell' istituto. «Nello specifico ricordo che nel giugno del 2014 venni contattata, non rammento se venne di persona o telefonicamente, dal collega Emanuele Boschi, all' epoca a capo di un servizio di sede centrale, il quale mi comunicò che sarebbe venuta una società per aprire un conto presso la mia agenzia, dicendo che si trattava di un' azienda di sua conoscenza che aveva la sede a Badia al Pino e che avrebbe fatto un buon lavoro con la banca visto l' enorme fatturato che produceva».

pier luigi boschi pier luigi boschi

 

Va detto che all' epoca, la Geovision, fallita nel settembre scorso, era già finita sotto inchiesta a Perugia per una gigantesca frode carosello, legata al mancato pagamento dell' Iva, e che gli inquirenti avevano scoperto che «l' enorme fatturato» dell' azienda era stato realizzato attraverso società cartiere e false fatturazioni. Per questo a marzo 2014 era stata visitata dagli uomini delle Dogane, che avevano sequestrato scatoloni di documenti e messo sotto intercettazione cinque indagati. Eppure solo qualche settimana dopo Emanuele Boschi era pronto a scommettere che «la banca avrebbe avuto benefici dal lavoro che la Geovision avrebbe apportato».

 

Nell' ufficio della Polvani si presentò l' amministratore legale della società, Emiliano C.

«Lo stesso accennò al discorso di avere un affidamento tramite l' anticipo fatture. Al che risposi che intanto si apriva il conto e che per instaurare la pratica avrei avuto bisogno di altra documentazione, quale un business plan, il bilancio degli ultimi esercizi, gli ultimi due estratti conto». In sostanza le pezze che qualunque altro imprenditore avrebbe dovuto presentare per ottenere un prestito.

 

Ma la Geovision non era un' azienda come le altre e, anzi, doveva avere qualche santo in paradiso: «Nel giro di pochi giorni venni sollecitata da Lanini Lorenzo, all' epoca responsabile della concessione crediti () sia telefonicamente che tramite mail, per istruire la pratica di fido alla Geovision. Io risposi che ero in attesa dei documenti necessari, tuttavia il Lanini continuava con i solleciti, invitandomi a mandare avanti lo stesso la pratica che poi tanto i documenti sarebbero arrivati.

 

Sta di fatto che feci quanto richiesto da Lanini e la pratica venne deliberata, ma i documenti non li ho mai visti». Polvani ritenne la cosa particolarmente strana perché «Lanini di solito è molto scrupoloso e non delibera senza la corretta documentazione». A quel punto iniziarono i primi movimenti sul conto incriminato e la Polvani notò un grosso bonifico proveniente dall' estero. Si accorse anche che diverse movimentazioni in uscita erano dirette a una certa «Laura Scanu».

FLAVIO CARBONI FLAVIO CARBONI

 

La funzionaria, in versione detective, forse incuriosita dalle pressioni subite, digitò quel nome su Internet e scoprì «un sacco di articoli su questa signora che era la ex moglie di Flavio Carboni». Allarmata, decise insieme con un collega di fare un sopralluogo alla Geovision. E qui ebbe un' altra brutta sorpresa: «Ricordo bene quella giornata () notammo che si trattava di un immobile all' apparenza deserto con il cancello aperto e senza nessuna insegna». In questo capannone desolato, Rosi e Boschi si erano recati alcune volte per incontrare Mureddu, ma di questo la Polvani non era al corrente.

 

Anche se lo stesso Mureddu, presentatosi come «Marco», si premurò di informarla di aver scelto la sua filiale «soprattutto perché era stata la stessa direzione della Banca Etruria a parlargliene bene». Il magazzino della ditta era praticamente vuoto e non c' era nessun operaio. «Uscimmo dalla Geovision ancora più insospettiti» ha dichiarato la Polvani ai finanzieri, «e abbiamo provveduto a inoltrare la segnalazione antiriciclaggio per mancanza della documentazione atta a effettuare un' adeguata verifica rafforzata». L' alert andò a buon fine e il collega dell' antiriciclaggio concordò «per la chiusura del rapporto».

 

BANCA ETRURIA BANCA ETRURIA

 

A questo punto, nel verbale di settembre, i finanzieri domandano alla Polvani se in quella fase conclusiva abbia ricevuto altre pressioni dalla direzione della banca. La funzionaria nega, ma aggiunge un ultimo particolare curioso: «Ricordo che dopo la chiusura del conto un giorno incontrai casualmente al bar Emanuele Boschi e lo informai che alla società che mi aveva presentato ero stata costretta a chiudere il conto. Lo stesso non commentò». Un silenzio che probabilmente denotava un certo imbarazzo.

 

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