VESPA SBATTE LA PORTA E SCRIVE ALL'UNITA': "RIDURRE D'UFFICIO UNA TRASMISSIONE DI SUCCESSO NON È CENSURA: È UNA LEGITTIMA SCELTA POLITICA PUNITIVA" - NATALE IN CASA GRASSO: USIGRAI, IL SINDACATO DELLE MERAVIGLIE...

1 - VESPA: È UNA VENDETTA TAGLIARE PORTA A PORTA
Lettera di Bruno Vespa a l'Unità

Caro Direttore,
nell'intervista di domenica a Natalia Lombardo, il consigliere Rai Rizzo Nervo dice di voler ridurre da quattro a tre alla settimana le puntate di «Porta a porta» non per una questione di censura, ma per rispettare il mio contratto che ne prevede un minimo di cento.
Rizzo Nervo sostiene che ne avremmo fatte 160. Non è vero. Quest'anno abbiamo chiuso a 139 e l'anno prossimo saremmo intorno alle 130 per una prevista partenza in ritardo.

Ma il punto non è questo. Rizzo Nervo, che conosce a memoria i miei contratti, sa bene che in quelli di Enzo Biagi (che guadagnava per sei minuti in prima serata quel che io percepisco per due ore in seconda) era previsto un minimo di settanta serate quando poi ne andavano in onda più del doppio.
Come mai nessuno ha mosso obiezioni per tanti anni? La verità è che i contratti andrebbero adeguati al successo del programma, come avviene per l'intrattenimento.

Ridurre d'ufficio una trasmissione di successo non è censura: è una legittima scelta politica punitiva. Abbiamo conquistato il potere e tagliare una serata a Vespa è il primo simbolo del cambiamento in Rai.
Nel momento in cui torna (giustamente) Santoro accanto a Ballarò, ridurre «Porta a porta» a me parrebbe un pessimo segnale editoriale (si punisce chi vince) e politico (cominciano le vendette) a un paese profondamente diviso. Ma riconosco di essere in pieno conflitto di interessi.
Grazie e cordialità.

2 - L'APPELLO DEI GIORNALISTI RAI
Lettera di Roberto Natale, segretario Usigrai, al Corriere della Sera



Ringrazio Aldo Grasso («Giornalisti Rai stupiteci voi», Corriere del 10 giugno) per l'attenzione al videocomunicato Usigrai e per il benevolo giudizio sul linguaggio diretto che abbiamo usato. E vorrei approfittarne per rassicurarlo.
Grasso ha l'impressione di non aver sentito da parte nostra queste stesse richieste negli anni scorsi. Vero. Avevamo altre richieste da fare: che potessero tornare al lavoro coloro che - da Biagi e Santoro ad altri colleghi meno noti - erano stati brutalmente estromessi; che le inchieste sulla mafia non fossero oggetto di trasmissioni di «riparazione»; che i concerti del Primo maggio non andassero in differita per problemi di controllo politico. Quale senso avrebbe avuto indicare l'esempio della Bbc, quando non erano garantiti i livelli minimi di autonomia?

Quanto ai «panini», Grasso ricorderà che molti giornalisti Rai li considerano indigesti da tempo: sulla cucina politica si è consumato, ad esempio, un pubblico scontro al Tg1 dopo il quale un vicedirettore è uscito dalla testata e altri redattori politici sono stati accantonati. Ma a Grasso non può sfuggire che le redazioni non sono collettivi scolastici: c'è un direttore, che decide la linea e sceglie chi tra i giornalisti debba attuarla. Di panini siamo stufi da tempo e non cambiamo giudizio se adesso è il centrosinistra che mette in mezzo il centrodestra.

È comunque cibo giornalisticamente avariato. Come il «tetro rituale delle opinioni dei partiti». Diciamo da anni che i dati dell'Osservatorio di Pavia non possono essere usati per ingabbiare il racconto giornalistico. Ma non basta che lo diciamo noi. Serve che ai direttori di testata lo dica il vertice aziendale. Lo può fare subito. Le grandi riforme possono cominciare con piccole misure. Perché non ci dà una mano anche lei?

Risposta di Aldo Grasso
Caro Natale, d'accordo su tutto. Anche se, tanti anni fa, ai tempi della Rai dei Professori, quando si tentò di ammodernare la radio (su mandato del vertice aziendale) l'Usigrai si oppose (cito a memoria) perché «i giornalisti non possono essere equiparati ai deejay». Acqua passata. Bene felice di potervi dare una mano.



Dagospia 13 Giugno 2006