SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE: A ROMA VA IN SCENA L’ESPERIMENTO DEGLI ATOMS FOR PEACE

Andrea Andrei per Dagospia

(Foto da VivoConcerti)

Sogno di una notte di mezza estate. Non nel senso retorico associato al periodo dell'anno, ma proprio in senso shakespeariano. Con atmosfere soffuse, personaggi mitologici, magia e tutto il resto.

Prendete un folletto dei boschi che non smette di muoversi come se debba assumere forma liquida da un momento all'altro, una specie di massiccia creatura selvatica dalle movenze primitive, un guru dall'aspetto ascetico, un timido cervellone magro e composto e un batterista (che di per sé è già un personaggio strano). Ora mischiate per bene il tutto e lanciatelo su un palco, così come viene. Signore e signori, ecco a voi gli Atoms for Peace.

Appena il supergruppo è salito sul palco del Rock in Roma, all'ippodromo delle Capannelle, ieri per prima cosa si è consumato un dramma estetico.

Alla destra del batterista Joey Waronker c'era, quasi invisibile ma impossibile da non ascoltare, un Nigel Godrich in un impeccabile stile british, tutto intento, da buono sgobbone della musica, a dividersi fra campionatori, chitarre e tastiere. Dalla parte opposta, appollaiato accanto a uno strumento dalle sembianze di un albero, un quasi etereo Mauro Refosco, che non smetteva un attimo di tirare fuori nuove percussioni, che fossero indiane, brasiliane o chissà cosa.

E poi c'erano loro. Quei due esseri scesi sulla Terra da non si sa quale pianeta. Thom Yorke, vestito con una canotta acetata che manco i ballerini di Saranno Famosi, e Flea, che è nato a torso nudo e a torso nudo morirà, con una sorta di larga gonna nera con tanto di spacco che lasciava intravedere una mutanda bianca.

Ma se davanti a cotanto spettacolo molti sorridevano, quando sono partite le note di "Before your eyes" si è capito subito che c'era poco da scherzare.

Chi è andato a sentire gli Atoms for Peace (non molte persone, a dir la verità), non sapeva cosa aspettarsi, però sapeva cosa non aspettarsi: un concerto con la stessa carica emozionale dei Radiohead, anche se in molti sostengono che questo strano progetto, questa bizzarra accozzaglia di grandissimi musicisti, in realtà sia tenuta insieme dal leader Thom Yorke. Diciamoci la verità: se sulla copertina dell'album "AMOK" ci fosse stato scritto "Radiohead", o meglio Thom Yorke, invece di "Atoms for Peace", forse sarebbe stata la stessa cosa (d'altronde "Atoms for peace" è il nome di una canzone tratta dall'album solista di Yorke, "The Eraser").

In effetti il vago e maligno sospetto che Thom Yorke abbia voluto dare maggiore consistenza e legittimazione al suo progetto solista c'è.

Non fosse altro perché le canzoni di AMOK sono puramente Yorkiane, e vengono curate negli effetti da Godrich, che comunque collabora con i Radiohead e che è stato il produttore di "The Eraser". Il basso caratteristico di Flea si sente solo a tratti (mentre durante il concerto era lui a non sentirlo, visto che imprecava di continuo facendo segno ai tecnici di alzare il volume delle casse spia).

Comunque ciò che è accaduto sul palco è stato un vero spasso. Non una di quelle esperienze che ti toglie il fiato, ma di quelle che non ti fanno star fermo un attimo. Roba da far ballare anche i muri. E in effetti sembravano muoversi anche loro, intorno ai due showmen che si sono divisi la scena, ognuno fedele al suo stile. Thom Yorke con le movenze che dal video di "Lotus Flower" non l'hanno più abbandonato, Flea con le stesse di quando si esibiva con un calzino sul pene, e che sono diventate un simbolo del funk-rock.

I due erano talmente diversi e contrastanti fra loro che quasi dispiaceva avere solo due occhi per poterli osservare uno alla volta. Gli altri tre, dalle retrovie, suonavano e guardavano anche loro.

Alla traccia numero uno di AMOK, "Before your eyes", è seguita la numero due, "Default", poi "The clock" e la bellissima "Ingenue", eseguita al piano da Yorke. Quando per un attimo si è riusciti a staccare gli occhi dalle evoluzioni dei due personaggi di cui sopra, ci si è presto resi conto di trovarsi di fronte a un gruppo di musicisti straordinari. I pezzi sono diversi dagli originali e, se possibile, sono anche meglio. Il che è esattamente quello che ci si aspetta quando si va a sentire un concerto.

Lo spettacolo continua e si alternano pezzi degli Atoms for Peace con altri dell'album solista di Yorke: "Stuck together pieces", Unless", "And it rained all night", "Harrowdown Hill", "Dropped", "Cymbal Rush".

Flea, ammesso che ce ne fosse bisogno, dà un'ulteriore conferma di essere uno dei migliori bassisti rock al mondo, anche se, a dirla tutta, su quel palco sembra un po' un pesce fuor d'acqua. In tutta sincerità toglierlo dal contesto dei Red Hot Chili Peppers suona quasi come una violenza.

Nigel Godrich è il vero factotum (se ve lo state chiedendo, sì, un po' tipo Johnny Greenwood nei Radiohead): resta immobile per la maggior parte del tempo ma i suoi campionamenti tirano le fila di tutto il resto. Qualche volta prende coraggio e si sposta con la sua chitarra in direzione di Flea, e allora quello subito gli va incontro di gran lena camminando come un uomo delle caverne durante un rito propiziatorio (chissà cosa avrebbe detto di lui Calderoli), così Godrich si ritrae intimorito e se ne torna sul suo eremo degli effetti.

Anche se è evidente che quello degli Atoms for Peace è principalmente un esperimento, chi suona si diverte sul serio, e lo dimostra. Senza contare che la voce di Thom Yorke, anche in questo bizzarro contesto, mette comunque i brividi.

Il primo bis si apre con la yorkiana "Skip divided", poi tocca a due cover: una degli Horses, "Feeling pulled apart" e un'altra degli UNKLE, "Rabbit in your headlights".

E quando arriva finalmente il turno di un pezzo dei Radiohead, "Paperbag writer", come se si trattasse di una catarsi, ecco che l'impianto audio non regge, e salta tutto. La band esce, torna Yorke con un megafono, ma non è serata, e non funziona nemmeno quello.

Per fortuna l'imprevisto non inficia la qualità dello show. Si ricomincia, e con "Amok" termina la seconda parte dello spettacolo. Il terzo bis, quello finale, è affidato a "Atoms for peace" e a "Black swan", uno dei pezzi di maggior successo di "The Eraser".

Una conclusione che sembra confermare il sospetto a cui si accennava prima. Ma l'esperimento, nonostante tutto, può dirsi riuscito.

 

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