giuseppe conte enrico letta

IL SOTTI-LETTA SFANCULA CONTE E SI PRENDE IL RUOLO DA FEDERATORE DELL’ALLEANZA PD-M5S: IL 5STELLE VA BENE DOVE È ALLEATO CON IL PD. LA FASE IN CUI CONTE ERA PUNTO DI RIFERIMENTO DEL CENTROSINISTRA È FINITA” (TANTI SALUTI ALL’IDEA DI ZINGARETTI-BETTINI DI GIUSEPPI "PUNTO DI RIFERIMENTO FORTISSIMO DEI PROGRESSISTI") - E TRA I DEM SCOPPIA UN'INSOLITA PACE. PURE LA MINORANZA SI ALLINEA A ENRICHETTO...

Giuseppe Salvaggiulo per "la Stampa"

letta conte

 

«Sono sereno». Ora è vero. Enrico Letta è il nuovo deputato di Siena. E di altri 34 Comuni a cavallo di due province. Ma soprattutto è l'unico vincitore delle elezioni. «Un momento straordinario, ringrazio tutti gli italiani». Messaggi ai naviganti della politica. Fine di giochi più o meno sporchi dentro il Pd, di chiacchiere su congressi: «Abbiamo unito il partito e siamo tornati in sintonia con il Paese, vincendo sul campo, non su twitter e nei salotti». Sulle alleanze niente snobismi, «si vince se si allarga la coalizione, oltre il Pd. Qui a Siena abbiamo allargato».

 

Da Renzi a Calenda («a cui dirò: il nostro destino è convergere») a Conte, al quale dice che «il M5S va bene dove è alleato con il Pd» e che «la fase in cui lui era punto di riferimento del centrosinistra è finita», dunque da oggi lo tratterà come junior partner. Linea dei prossimi mesi: con Draghi senza se e senza ma, come sul green pass «che ci ha consentito di riappropriarci di due parole dimenticate da trent' anni: sicurezza e libertà». Obiettivo di medio termine: sfruttare l'abbrivio di Draghi ereditandone il testimone, «come in Germania la Spd ha fatto con Merkel». E approfondire il cuneo nel centrodestra, «che non esiste più e in queste elezioni alza bandiera bianca, perché non ha più un federatore come Berlusconi».

 

letta conte

A proposito di Silvio, guarda caso «il partito meno penalizzato è quello che più sostiene il governo». Anche se dice «il più felice dev' essere Draghi, perché questo voto rafforza governo, Paese ed Europa», la verità è che il più felice è lui. Non tanto nel discorso a beneficio delle tv, sul podio su cui è magicamente ricomparso il simbolo del Pd, bannato dalla scheda elettorale. Lì, rimessosi giacca e cravatta, è apparso crepuscolarmente impostato come da copione. Ma che sorrisi un'ora prima, nella war room del Pd dove arrivano i risultati dai seggi come ai bei tempi. Niente exit poll, una bellezza: solo chat dei segretari cittadini, numeri scarabocchiati su fogli jpeg, un isterico pigiare F5. E Letta che gira intorno al tavolone. E mani sulle spalle dei ragazzi che fanno le addizioni. E applausi alla proclamazione delle prime sezioni di Rapolano Terme, «tre volte tanto!». E foto con il segretario cittadino che annuncia pomposamente «Chiusdino è vinta».

 

enrico letta giuseppe conte

E invocazioni all'eurodeputata Simona Bonafè: «Mettila subito su twitter». E telefonata a Manfredi: «Gaetano, sei un mitooo!». Un po' di numeri, non freddi: Letta sfiora il 50%, vince in 32 Comuni su 35, prevale anche in città (le più popolose Siena e Cortona) con sindaci di centrodestra, stacca il principale avversario di 12 punti nonostante l'8% di voti a comunisti e Potere al Popolo. Affluenza al 35%, non male per una suppletiva. Vero che nel 2018 aveva vinto Padoan e senza il M5S, ma l'esito non era scontato. Salvini è venuto a Siena nove volte a sostenere il suo candidato (Meloni mai).

 

ENRICO LETTA E GIUSEPPE CONTE

Qui il Pd arranca: la federazione è relegata in un garage, i due numeri di telefono risultano inattivi. Per arredare il comitato elettorale si sono riciclati i mobili delle sezioni dismesse del Pci. E poi Montepaschi è ancora una ferita sanguinolenta e le analisi del Dna accusano il Pd. A Letta, oltre che le origini pisane, hanno rinfacciato l'oplà di Padoan, diventato presidente Unicredit che vuole fare di Mps un sol boccone sputando rami secchi e qualche migliaio di dipendenti. Letta ha fatto una campagna elettorale da Dc Anni 80: oltre settanta appuntamenti in due mesi di cui dodici solo giovedì, diecimila chilometri percorsi, sei o sette chili persi «ma ora li riprendo». Ha visitato un paio di volte anche i borghi più remoti. I sondaggi erano buoni ma non buonissimi. «Mi gioco l'osso del collo, se perdo lascio», ha detto a fine luglio. Ma erano tanti altri, a giocarselo con lui.

 

Nella baraonda che sempre si crea negli hotel affittati dai partiti vittoriosi come in curva dopo un rigore parato, fa capolino un anziano signore con coppola e bastone, la moglie mano nella mano. È «il Savelli», un personaggio a Siena: 85 anni, padre e fratello perseguitati dai fascisti. Come sempre era andato a seguire i risultati nella federazione del partito. Ma trovandola chiusa, era sbiancato temendo il trionfo della destra. «A vedere Siena in mano loro mi piange il cuore». E piange, mentre si festeggia anche la presa di Foiano della Chiana.

ENRICO LETTA E GIUSEPPE CONTE

 

E TRA I DEM SCOPPIA UN'INSOLITA PACE PURE LA MINORANZA SI ALLINEA AL LEADER

Maria Teresa Meli per il "Corriere della Sera"

 

Il risultato elettorale del Pd potrebbe avere come prima conseguenza la decisione di quel partito di non mettere mano alla riforma elettorale in senso proporzionale, come pure vorrebbero alcuni dem e i centristi di ogni parte politica. Piuttosto, meglio tenersi il Rosatellum che obbliga alle alleanze. E questo nuovo Pd versione Enrico Letta, cioè, per dirla alla Nicola Zingaretti, «non isolato» ma in grado di tessere intese e di mettere in piedi coalizioni, ha dimostrato di essere competitivo.

 

ENRICO LETTA LORENZO GUERINI

Con il Rosatellum, alla fine, Leu di Roberto Speranza, ma anche lo stesso Movimento Cinque Stelle, se continua il trend negativo, e persino Azione di Carlo Calenda («Le nostre strade dovranno convergere», ha detto ieri il segretario dem) potrebbero vedersi costretti ad allearsi con il Pd, che diventerebbe il motore di una nuova grande alleanza. Della quale potrebbero far parte anche pezzi di Forza Italia. Con FI, comunque, oltre che con i 5 Stelle, Letta ha tutte le intenzioni di giocarsi la partita del Quirinale, sbarrando il passo ai progetti della Lega e anche a quelli di Matteo Renzi.

 

Quindi dopo essere uscito da Palazzo Chigi nel 2014, Letta potrebbe aspirare a tornarci a capo di un'ampia alleanza. Difficile, infatti, che Conte possa pensare ancora di contendergli quel ruolo. Perché, come dice Prodi, «i rapporti di forza sono mutati e il M5S al Nord sta scomparendo». Ma il fattore tempo potrebbe giocare un'importanza decisiva: il voto nel 2023 potrebbe infatti consentire al campo del centrodestra di riorganizzarsi in vista di questa competizione elettorale. Per questo motivo anche ieri sera un paio di esponenti dem ipotizzavano un ricorso anticipato alle urne.

 

andrea orlando foto di bacco

È una tentazione, finora, solo una tentazione, che però sembra albergare anche nell'animo di alcuni dirigenti della segreteria pd. C'è addirittura chi ha voluto leggere in questa chiave le parole che Lia Quartapelle ha affidato a Twitter: «La destra perde queste elezioni. E dopo questa sconfitta non è per nulla detto che possa vincere le prossime». Letta nega che la strada sia quella del voto anzitempo. Anche perché i gruppi parlamentari sono di tutt' altro avviso.

 

Come dimostrano le dichiarazioni, quasi in simultanea, di Andrea Marcucci e Dario Stefano: entrambi ribadiscono con forza che il partito dovrà andare avanti con Draghi fino alla fine. Pure i ministri sono poco propensi a correre questa avventura: «Il voto rafforza il governo», sottolinea Andrea Orlando. Le prossime mosse del leader pd chiariranno meglio le sue reali intenzioni. Comunque, quello che appare più che evidente è che il segretario non ha più oppositori interni.

 

Difficile andare contro il leader dopo un risultato di questo tipo. «Il Pd è unito», sottolinea Zingaretti. E infatti anche da parte degli esponenti delle minoranze interne è tutto un ripetere «come ha ben detto Letta», «il segretario ha ragione» e via di questo passo. Insomma, il leader dem in questa fase ha un «potere» che da tempo non aveva nessun segretario pd e potrà giocare la sua partita senza timore di incappare in trappole o di subire sgambetti, come è spesso avvenuto ai suoi predecessori.

 

Zingaretti Bettini

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni matteo salvini adolfo urso abodi giorgetti tajani giorgio armani

UN PO’ PIU’ DI RISPETTO SE LO MERITAVA GIORGIO ARMANI DA PARTE DEL GOVERNO – SOLO IL MINISTRO DELL’UNIVERSITA’, ANNA MARIA BERNINI, HA RESO OMAGGIO ALL’ITALIANO PIU’ CONOSCIUTO AL MONDO RECANDOSI ALLA CAMERA ARDENTE DOVE, TRA SABATO E DOMENICA, SONO SFILATE BEN 16 MILA PERSONE - EPPURE MILANO E’ A DUE PASSI DA MONZA, DOVE IERI ERA PRESENTE AL GP, OLTRE AL VICEPREMIER MATTEO SALVINI, IL MINISTRO DELLO SPORT ANDREA ABODI, SMEMORATO DEL PROFONDO LEGAME DELLO STILISTA CON BASKET, CALCIO, TENNIS E SCI - A 54 KM DA MILANO, CERNOBBIO HA OSPITATO NEL WEEKEND TAJANI, PICHETTO FRATIN, PIANTEDOSI, CALDERONE E SOPRATTUTTO ADOLFO URSO, MINISTRO DEL MADE IN ITALY, DI CUI ARMANI E’ L’ICONA PIU’ SPLENDENTE – E IGNAZIO LA RUSSA, SECONDA CARICA DELLO STATO, DOMENICA ERA A LA SPEZIA A PARLARE DI ''PATRIOTI'' AL DI LA’ DI RITUALI POST E DI ARTICOLETTI (MELONI SUL “CORRIERE”), UN OMAGGIO DI PERSONA LO MERITAVA TUTTO DAL GOVERNO DI CENTRODESTRA PERCHE’ ARMANI E’ STATO UN VERO “PATRIOTA”, AVENDO SEMPRE PRESERVATO L’ITALIANITA’ DEL SUO IMPERO RIFIUTANDO LE AVANCES DI CAPITALI STRANIERI…

giorgia meloni mantovano alfredo giovanbattista fazzolari gian marco chiocci rossi

DAGOREPORT - CHI AVEVA UN OBIETTIVO INTERESSE DI BRUCIARE IL DESIDERIO DI GIORGIA MELONI, PIÙ VOLTE CONFIDATO AI SUOI PIÙ STRETTI COLLABORATORI, DI ARRUOLARE L’INGOMBRANTE GIAN MARCO CHIOCCI COME PORTAVOCE? - IN BARBA ALLA DIFFIDENZA DEI VARI SCURTI, FAZZOLARI E MANTOVANO, FU L’UNDERDOG DE’ NOANTRI A IMPORRE FORTISSIMAMENTE (“DI LUI MI FIDO”) COME DIRETTORE DEL TG1 L’INTRAPRENDENTE CHIOCCI, DOTATO DI UNA RETE RELAZIONALE RADICATA IN TUTTE LE DIREZIONI, DAL MONDO DELLA SINISTRA ALL’INTELLIGENCE DI DESTRA - BEN CONOSCENDO IL CARATTERINO DELL’EX DIRETTORE DE “IL TEMPO” E ADNKRONOS, BEN LONTANO DALLA DISPONIBILITÀ AD ACCETTARE ORDINI E DINIEGHI, OCCORREVA CORRERE AI RIPARI PRIMA CHE LA SGARBATELLA PROCEDESSE ALL’INFELICE NOMINA, FACENDO CIRCOLARE LA VOCE DEL SUO TRASLOCO DALLA DIREZIONE DEL TG1 A BRACCIO MEDIATICO DELLA PREMIER - NEL CASO, SEMPRE PIÙ LONTANO, DI VEDERE CHIOCCI A PALAZZO CHIGI, ALLORA VORRÀ DIRE CHE L’EQUILIBRIO DI POTERI ALL’INTERNO DELLA FIAMMA MAGICA È FINITO DAVVERO IN FRANTUMI...

marcello viola alberto nagel giorgia meloni francesco gaetano caltagirone luigi lovaglio mps mediobanca piazza affari

DAGOREPORT - MEDIOSBANCA! I GIOCHI ANCORA NON SONO FATTI. E LE PREMESSE PER UN FUTURO DISASTRO SONO GIÀ TUTTE SUL TAVOLO - AL DI LÀ DELLE DECISIONI CHE PRENDERÀ LA PROCURA DI MILANO SUL PRESUNTO “CONCERTO” DEL QUARTETTO CALTA-GIORGETTI-LOVAGLIO-MILLERI NELLA PRIVATIZZAZIONE DEL 15% DI MPS, IL PROGETTO TANTO AUSPICATO DA GIORGIA MELONI DI DARE VITA A UN TERZO POLO BANCARIO, INTEGRANDO MPS, BPM E MEDIOBANCA, SI È INCAGLIATO DI BRUTTO: LO VUOLE SOLO FRATELLI D’ITALIA MENTRE FORZA ITALIA SE NE FREGA E LA LEGA E' CONTRO, SAPENDO BENISSIMO CHE L’OBIETTIVO VERO DEL RISIKONE BANCARIO È QUEL 13% DI GENERALI, IN PANCIA A MEDIOBANCA, NECESSARIO PER LA CONQUISTA CALTAGIRONESCA DEL LEONE DI TRIESTE - AL GELO SCESO DA TEMPO TRA CALTA E CASTAGNA (BPM) SI AGGIUNGE IL CONFLITTO DI CALTA CON LOVAGLIO (MPS) CHE RISCHIA DI ESSERE FATTO FUORI PER ‘’INSUBORDINAZIONE’’ - ANCHE LA ROSA DEI PAPABILI PER I NUOVI VERTICI DI MEDIOBANCA PERDE PETALI: MICILLO HA RIFIUTATO E VITTORIO GRILLI NON È INTERESSATO - LA BOCCIATURA DELL’OPERAZIONE DI FITCH, CHE VALUTA MPS CON UN RATING PIÙ BASSO RISPETTO A MEDIOBANCA - LAST BUT NOT LEAST: È SENZA FINE LO SCONTRO TRA GLI 8 EREDI DEL VECCHIO E IL CEO MILLERI, PARTNER DEVOTO DI CALTARICCONE…