tiziano renzi laura bovoli

I GENITORI DI MATTEO RENZI, TIZIANO E LAURA, NEL 2015 HANNO INCASSATO 160 MILA EURO PER PRESTAZIONI INESISTENTI. LO HA CONFERMATO LA CORTE D’APPELLO DI FIRENZE, SEBBENE ABBIA ASSOLTO LA COPPIA DALL’ACCUSA DI REATI FISCALI, CONTESTATA DALLA PROCURA - IL RIFERIMENTO ERA ALLE DUE FATTURE SALDATE DALLA SOCIETÀ TRAMOR A DUE DITTE DEI RENZI, LA PARTY E LA EVENTI 6 PER UN “PROGETTINO” DI DUE PAGINE E MEZZA PENSATO PER LO SVILUPPO DI UN CENTRO COMMERCIALE A DUE PASSI DA RIGNANO SULL’ARNO DI PROPRIETÀ DEL GRUPPO FRANCESE KERING - LA STORIA

Giacomo Amadori per “la Verità”

 

LAURA BOVOLI E TIZIANO RENZI

I genitori di Matteo Renzi, Tiziano e Laura, nel 2015 hanno incassato 160.000 euro per prestazioni inesistenti. Lo ha confermato la Corte d’Appello di Firenze, sebbene abbia assolto la coppia dall’accusa di reati fiscali, contestata dalla Procura. Il 18 ottobre 2022, giorno dell’assoluzione, l’avvocato di Tiziano e Laura, Lorenzo Pellegrini, aveva chiosato così la decisione: «La prestazione è stata svolta, non è stata una prestazione inesistente. Potremmo discutere di congruità o non congruità, ma questo non è un tema che attiene alla falsità».

tiziano renzi e laura bovoli

 

Il riferimento era alle due fatture da 195.200 complessivi, Iva compresa, saldate dalla società Tramor a due ditte dei Renzi, la Party e la Eventi 6 per un «progettino» di due pagine e mezza pensato per lo sviluppo di un centro commerciale a due passi da Rignano sull’Arno di proprietà del gruppo francese Kering. Per i giudici, che hanno confermato la condanna per truffa aggravata di Luigi Dagostino, ex amministratore della Tramor e sodale dei genitori, questi ultimi non avevano la volontà di consentire a terzi l’evasione, ipotesi per la quale erano stati rinviati a giudizio e condannati in primo grado.

 

Nelle 36 pagine di motivazioni, depositate il 16 marzo scorso, si parla di una «pluralità di elementi che dimostrano pienamente l’inesistenza oggettiva di tali prestazioni», della «dimostrazione, oltre ogni ragionevole dubbio, dell’insussistenza delle prestazioni fatturate» ed è anche puntualizzato che «l’esecuzione effettiva della prestazione indicata nella fattura deve essere totalmente esclusa».

 

MATTEO E TIZIANO RENZI

Le toghe ricordano che pure il coimputato Dagostino «era rimasto sorpreso per gli elevati importi indicati nelle fatture, pur non ritenendo opportuno sollevare obiezioni perché si sentiva, nei confronti dei coniugi Renzi, in una situazione di “sudditanza psicologica”». E così quando Tiziano chiedeva di lavorare («Mi rompeva i coglioni il padre di Renzi» aveva detto al telefono l’imprenditore), non sapeva dire di no e «per questo motivo aveva chiesto a Kering di saldare le fatture».

 

TIZIANO RENZI ALLA FESTA DELL UNITA DI RIGNANO -3

Eppure anche Dagostino, in aula, aveva tentato di sostenere che qualcosa i genitori avessero fatto. Ma adesso i giudici d’appello spazzano via questa eventualità. La questione si incentra sul «progettino» firmato dai Renzi e intitolato «Taste Mall».

Per i magistrati si tratta solo di «una breve relazione (di poco più di due pagine) che riporta una serie di considerazioni a carattere generale e di principio, in assenza di soluzioni attuative specifiche e particolareggiate».

 

Non certo un’opera dell’ingegno del valore di 160.000 euro. Anche perché, come già stabilito in primo grado, ad essa erano allegate delle planimetrie che altro non erano che «una semplice rielaborazione (mediante la colorazione di alcune parti) dei progetti architettonici a suo tempo predisposti dallo studio Previdi di Milano».

 

Inoltre durante il processo non è stata prodotta dagli imputati e dalle loro difese «qualunque documentazione relativa sia al conferimento dell’incarico di consulenza […] sia alla sua esecuzione». Per questo, secondo le toghe, «è pacifico» che non esista «alcun contratto in forma scritta».

 

laura bovoli

Per la Corte «l’impossibilità di qualificare il documento come una consulenza dotata di effettivo valore è dimostrata dal fatto stesso che la relazione risulta trasmessa soltanto al Dagostino in allegato alla fattura». L’invio è avvenuto il 30 giugno 2015, «nonostante che a quella data la cessione della Tramor al gruppo Kering fosse già stata conclusa e Dagostino già sostituito da un diverso amministratore».

 

Ma, secondo i giudici, se quel documento avesse avuto una reale «rilevanza […] avrebbe dovuto essere consegnato alla società che lo aveva commissionato, ancor prima di inviare la fattura, e non trasmesso soltanto all’ex amministratore».

TIZIANO RENZI

 

Nella fattura da 140.000 euro si fa riferimento a un incarico per uno «studio di fattibilità» e a una successiva consegna alla Tramor, che, però, non sarebbe mai avvenuta. Per tale motivo i magistrati parlano di «macroscopiche incongruenze». Per loro il Taste mall «altro non è che il frettoloso tentativo di accludere tardivamente qualcosa che doveva andare a “nascondere” la mancata consegna della “documentazione” indicata nella fattura».

 

C’è poi «la circostanza che il prezzo della prestazione sia stato quantificato in modo difforme nelle diverse versioni della fattura numero 202, essendo prima fissato in 100.000 euro piu Iva e poi (soltanto nella terza e ultima versione) aumentato a 140.000 euro piu Iva». I Renzi e i suoi difensori hanno semplicemente parlato di «errore materiale».

 

Ma nelle motivazioni si ricorda come quelle fatture siano passate sotto più occhi prima di essere inviate. E quando l’importo è stato cambiato non è stato inviato nessun messaggio di spiegazione. Il che presupporrebbe che Dagostino fosse stato al corrente dell’aumento, ma lo stesso «ha sempre escluso che vi fosse un accordo su un importo di quella consistenza».

TIZIANO RENZI

 

Per questo, concludono i giudici, «l’unica conclusione logicamente ammissibile, imposta dalle prove acquisite, è che l’importo della fattura, non corrispondente ad alcuna prestazione effettiva, sia stato deciso in modo arbitrario dai due imputati emittenti».

 

C’è un altro tasto dolente: la prima fattura, quella da 20.000 euro, è stata emessa dalla Party Srl, ovvero da una società costituita sei mesi prima e che «risultava non operativa, tanto che la fattura era la prima dell’anno e sarebbe stata l’ultima». Inoltre la Party «è stata poi messa in liquidazione».

casa di tiziano renzi e laura bovoli 3

 

In questo caso, la causale era «studio di fattibilità commerciale», uno studio che, però, risultava «del tutto sfornito di supporto materiale», neanche le due paginette di cui sopra.

I magistrati rimarcano anche «l’assoluta genericità delle dichiarazioni della Bovoli, che ha fatto soltanto un sommario riferimento a un “inizio di lavoro” che si sarebbe dovuto concretizzare nei mesi successivi».

 

TIZIANO RENZI

Ma per le toghe «il fatto non costituisce reato» perché manca il «dolo intenzionale», la consapevolezza di consentire alla Tramor di evadere parte delle tasse su quei 195.000 euro. E, come detto la truffa o l’appropriazione indebita non erano, invece, contestate ai coniugi: «Anche se risulta dimostrato che le fatture emesse dalla Party e dalla Eventi6 non corrispondono a prestazioni commerciali realmente effettuate, la finalità perseguita era, ad avviso della Corte, esclusivamente di tipo extrafiscale». Ma il processo non ha chiarito le ragioni dietro a quei versamenti.

 

In realtà la Procura di Firenze aveva provato a contestare il traffico illecito di influenze, avendo individuato una sorta di do ut des legato ad alcuni incontri avuti da Dagostino e da alcuni suoi conoscenti (compreso un magistrato che indagava sul suo conto) a Palazzo Chigi. Ma l’illegalità di quelle visite non è stata provata e di conseguenza anche l’accusa lobbismo illegale è caduta. Resta il fatto che Renzi senior sia stato portato in giro da Dagostino come una sorta di Madonna pellegrina durante i suoi colloqui di affari.

 

Ma alla fine dei conti i Renzi non avrebbero commesso il reato contestato dalla Procura, l’unico per il quale potevano essere perseguiti. Così i giudici di Appello li hanno assolti senza specificare il motivo per cui ritengano che i genitori non fossero coscienti di favorire la Tramor con quelle fatture per operazioni inesistenti. Per la pm Christine von Borries, invece, i due anziani avevano «piena consapevolezza» del fatto che la Tramor avrebbe inserito le due fatture false «nella dichiarazione dei redditi con conseguente evasione delle imposte». E, al contrario della Corte d’appello aveva citato ampia giurisprudenza. Adesso, se la Procura generale deciderà di fare ricorso, sarà la Cassazione a dover pronunciare la parola definitiva.

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