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MARCO PRATO, IL PR ACCUSATO DELL'OMICIDIO DI LUCA VARANI, IL RAGAZZO UCCISO A ROMA, AL COLLATINO, NEL MARZO DEL 2016 DURANTE UN FESTINO A BASE DI SESSO E DROGA, SI È SUICIDATO NELLA CELLA DEL CARCERE DI VELLETRI, IN CUI ERA DETENUTO DA UN ANNO - E' STATO TROVATO DURANTE IL GIRO DI ISPEZIONE CON UN SACCHETTO DI PLASTICA IN TESTA - L'INTERVISTA A PRATO DEL MARZO 2017

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1 - OMICIDIO VARANI: MARCO PRATO MORTO SUICIDA IN CELLA

(ANSA) - Si è suicidato nella cella del carcere di Velletri (Roma), in cui era detenuto, Marco Prato, accusato dell'omicidio di Luca Varani, il ragazzo ucciso bella capitale nel marzo del 2016 durante un festino a base di sesso e droga. Domani avrebbe avuto l'udienza del processo. E' stato trovato durante il giro di ispezione con un sacchetto di plastica in testa: sarebbe morto soffocato. Il suo compagno di cella non si è accorto di nulla.

 

Prato aveva 31 anni. Il pm di turno ha autorizzato la rimozione della salma su cui verrà effettuata l'autopsia. Per l'omicidio di Luca Varani è già stato condannato, in abbreviato, a 30 anni, Manuel Foffo che, con Prato, aveva seviziato e ucciso la vittima. Prato, a differenza del coimputato, aveva scelto il rito ordinario.

 

OMICIDIO VARANI: PRATO, SU ME BUGIE E ATTENZIONE MEDIA

 (ANSA) - Si sarebbe suicidato per "le menzogne dette" su di lui e per "l'attenzione mediatica" subìta, Marco Prato, il 31enne trovato morto questa notte nella cella del carcere di Velletri in cui era detenuto per l' omicidio di Luca Varani. Il ragazzo ha lasciato una lettera in cui spiega i motivi del suo gesto. Il compagno con cui divideva la cella non si sarebbe accorto di nulla perché stava dormendo.

 

2 - OMICIDIO DI LUCA VARANI, PARLANO I GENITORI: “LO HANNO TORTURATO. TRENT’ANNI SONO POCHI”

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Ida Artiaco per http://roma.fanpage.it

 

"Era un ragazzo semplicissimo. Ce l'hanno torturato e non è giusto che i suoi assassini non paghino abbastanza per quello che hanno fatto". A poco più di un anno dall'omicidio di Luca Varani, avvenuto il 6 marzo 2016 in un appartamento del quartiere Collatino di Roma, dopo ore di violenze e sevizie, parlano ai microfoni di Fanpage.it i suoi genitori, Silvana e Giuseppe, che chiedono giustizia per il ragazzo, strappatogli a soli 23 anni. Non riesce a darsi pace la coppia, soprattutto perché la giustizia sembra non essere dalla loro parte. Al processo con l'accusa di omicidio volontario aggravato ci sono Marco Prato e Manuel Foffo. Quest'ultimo ha chiesto il rito abbreviato  e per questo è stato condannato a 30 anni di carcere.

 

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"Avrebbero dovuto dargli l'ergastolo – dichiara la madre di Luca -. Hanno fatto tutto senza che lui potesse difendersi. La ritengo una cosa gravissima. Questo ragazzo ha chiesto 30 anni, ma sappiamo come è la legge italiana, che ormai non li fa scontare più a nessuno, perché cercheranno riduzioni di pena". I genitori della vittima hanno anche protestato, organizzando un piccolo sit in davanti al Tribunale di Roma, nel giorno dell’ennesimo rinvio del processo, per via dello sciopero degli avvocati, per Marco Prato, che ha scelto invece di affrontare il rito ordinario.

 

MARCO PRATO - LUCA VARANI - MANUEL FOFFOMARCO PRATO - LUCA VARANI - MANUEL FOFFO

"Come si può dire che all'omicidio è stata tolta la premeditazione? – si chiede il signor Giuseppe davanti alle telecamere di Fanpage.it -. C'è crudeltà, premeditazione, inganno, sevizie, torture, gli hanno tagliato la gola per evitare che urlasse. Gli hanno spezzato le mani per impedirgli di difendersi. Gli hanno dato le martellate in bocca per fargli partire tutti i denti. Come si può in un processo di qualsiasi tipo, non parlare della vittima e di quello che ha subito?".

 

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Secondo la mamma e il papà di Luca, dunque, Foffo e Prato avevano in programma, quella maledetta sera del 6 marzo 2016, di uccidere il ragazzo. "Loro avevano intenzione di fare quello che hanno fatto in quell'appartamento, una cosa per divertirsi – ha continuato Giuseppe -. Il festino di cui si parla tanto e a cui Luca avrebbe partecipato l'hanno costruito loro e hanno aspettato che qualcuno ci cadesse. Mio figlio purtroppo era ingenuo. Lui mi dà la forza perché aveva tanta voglia di vivere. Appena nato è stato abbandonato e ha sofferto per quattro mesi per la lontananza della mamma prima che noi andassimo a prenderlo. E questi altri gli hanno dato la botta finale".

MARCO PRATO - LUCA VARANI - MANUEL FOFFOMARCO PRATO - LUCA VARANI - MANUEL FOFFO

 

3 - "NON SONO UN MOSTRO!" – PARLA MARCO PRATO, ACCUSATO INSIEME A FOFFO DI AVER UCCISO LUCA VARANI: "NON POSSO ESSERE CONDANNATO ALL’ERGASTOLO. SO DI NON AVER IMPEDITO LA MORTE DI LUCA MA NON L’HO UCCISO – SI’, MI DROGAVO, TUTTI NOI ABBIAMO UN LATO OSCURO, IL MIO È SEMPLICEMENTE VENUTO A GALLA!" - A FOFFO DIREI: "ABBANDONA L’ODIO E RESTITUISCI LA VERITÀ A QUELLA DRAMMATICA NOTTE" -

 

Annalisa Chirico per Panorama del 23 marzo 2017

 

Non ha mai parlato con i cronisti che invece si sono occupati abbondantemente di lui, di ogni anfratto della sua vita privata, fino alla rivelazione urlata sulla copertina di un settimanale: Marco Prato è sieropositivo.

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Per la prima volta il 30enne romano, recluso a Velletri per l’omicidio di Luca Varani, decide di rompere il silenzio, l’unico argomento tabù riguarda le sue condizioni di salute, apprese quando era già dietro le sbarre e spiattellate sulla stampa in spregio alla privacy. Il dialogo in esclusiva con Panorama è mediato dagli avvocati Pasquale Bartolo e Matteo Policastri.

 

Il 5 marzo dello scorso anno i carabinieri di Roma entrano nell’appartamento di Manuel Foffo al Collatino, periferia est della capitale, e scoprono il cadavere del 23enne Luca Varani con un coltello da cucina conficcato nel petto. Quasi cento ferite da punta e taglio, un festino a base di alcol e cocaina degenera in un’esecuzione sadica e brutale. Prato si rifugia in un albergo e tenta il suicidio.

 

‘Purtroppo ricordo quasi tutto di quella sera – dichiara a Panorama – Più di ogni altra cosa ricordo la paura e il senso d’impotenza in una situazione difficilissima. Io non ho ucciso Luca, non sono stato io a colpirlo con il martello e con i coltelli. La verità è che non ho avuto il coraggio di fermare Manuel, ero succube della sua personalità’.

 

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Forse anche da questo, dalla speranza di far valere in dibattimento la sua versione dei fatti, nasce la volontà di affrontare il rito ordinario davanti alla Corte d’assise, a differenza di Foffo che, con lo sconto dell’abbreviato, è stato condannato a trent’anni per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà. ‘Restituire la verità a una vicenda drammatica – prosegue Prato - vale il rischio di combattere. In ogni caso io non posso essere condannato all’ergastolo. So di non aver impedito la morte di Luca ma non l’ho ucciso e non l’ho chiamato per ucciderlo’. Una serata di eccessi ha travolto un’esistenza intera.

 

‘In realtà gli eccessi di una vita o di una piccola parte di essa mi hanno esposto a qualunque incontro e rischio nella spasmodica ricerca dell’uomo, come Manuel, che suonasse le corde giuste o forse sbagliate. Se potessi tornare indietro, cambierei il corso degli eventi, sin dal principio. Cancellerei pure i due bicchieri di vino che ordinai per camuffare una brutta sensazione che m’inseguiva prima di incontrare Manuel. Dovevo ascoltarmi’.

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Adesso che lei vive da recluso, il tempo per ascoltarsi non manca. ‘Quando ero a Regina Coeli tenevo corsi di lingua inglese e francese per detenuti e tentavo di aiutarli con lettere, comunicazioni scritte, istanze… Qui a Velletri non faccio niente, non ci sono attività, il che è drammatico perché, al di là della inadeguatezza di bagni e alimentazione, c’è una realtà carceraria ridotta a mera espiazione senza rieducazione.

 

Nessun detenuto è accompagnato in un percorso che gli consenta di tornare a essere cittadino. Una volta usciti, si resta galeotti per sempre. Io trascorro la quasi totalità del tempo a letto, sdraiato sulla mia brandina, continuo a pensare a ciò che è accaduto nel corso di quella terribile notte, ripercorro ogni minuto. Mi manca tutto ciò che è all’esterno, mi manca camminare ascoltando la mia adorata Dalida. Mi mancano davvero tutti’.

 

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Quando si rifugia nell’hotel di piazza Bologna dove abusa di farmaci, lei verga un memoriale, una sorta di testamento, chiedendo funerali laici e festosi con le note di ‘Ciao amore ciao’. ‘E’ il mio brano preferito. Quel giorno volevo soltanto morire’. Un giovane è stato trucidato per aver accettato il suo invito a un festino sopra le righe. La trasgressione è sorella della morte? ‘Quel che è accaduto non ha giustificazioni. Tuttavia, se la giustizia è verità, io non posso pagare per un reato che non ho commesso. Io non ho ucciso. Se osservati al microscopio o dietro il buco della serratura, tutti noi abbiamo un lato oscuro più o meno morale, più o meno accettabile, il mio è semplicemente venuto a galla!

 

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Sì, mi drogavo ma non tanto. Sì, facevo sesso ma come un qualsiasi trentenne. Le richieste estreme, le più bizzarre, provenivano dagli uomini di cui mi circondavo, me le tiravano fuori, ho subìto volontariamente tanta violenza per assecondare maschi eterosessuali di cui ero invaghito e che mi facevano sentire femminile. E’ evidente che quando particolari così pruriginosi diventano di pubblico dominio sono utili alla coscienza collettiva per puntare il dito piuttosto che guardarsi allo specchio. La pubblica condanna ci appaga perché ci tiene lontano dai nostri mostri, ci fa sentire intimamente più normali.

 

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Convinto come sono che la normalità sia un concetto astratto, eliminerei le prime tre lettere dalla parola perversione. Sono tutte versioni differenti di umanità, sfumature distinte di individualità, a volte vissute con sofferenza’. Lei è per tutti il mostro: anche se il processo non è ancora iniziato (la prima udienza è fissata per il 10 aprile), il circo mediatico-giudiziario ha emesso una condanna inappellabile. ‘A volte si dimentica che dietro un nome c’è una persona reale, in carne e ossa. Pure i condannati meritano rispetto, figuriamoci un imputato come me. Dietro le sbarre ho conosciuto persone che, pur non sottraendosi alle proprie responsabilità, avvertono il bisogno di veder tutelata la propria dignità, i diritti elementari che un paese civile deve sempre assicurare. Non sono un mostro, non ho ucciso, e troverò un giudice disposto ad ascoltarmi’.

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I genitori di Varani hanno perso l’unico figlio, avevano impiegato dieci anni per averlo in adozione. Lei e Foffo, dicono, non meritate perdono. ‘Scriverò una lettera ai familiari, è un pensiero che mi accompagna da tempo, ma non ritengo opportuno parlarne ora’. A Foffo, al suo amore malato, che cosa vorrebbe dire? ‘Gli direi: Manuel, abbandona l’odio. Così come mi hai lasciato tranquillamente andare a morire, adesso lasciami vivere e restituisci la verità a quella drammatica notte’.

 

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