francesco e giuseppe cacciati di casa perche gay

MEDIOEVO A CASORIA - VIDEO: PARLANO I DUE RAGAZZI CACCIATI DI CASA PERCHÉ GAY. ‘COSTRETTI A VIVERE PER STRADA SOLO PERCHÉ CI AMIAMO. LE NOSTRE FAMIGLIE NON ACCETTANO IL NOSTRO RAPPORTO. LUI HA ANCHE PERSO IL LAVORO. DORMIAMO DOVE CAPITA, CI LAVIAMO NELLE DOCCE IN SPIAGGIA’ - ORA L’ARCIGAY DI NAPOLI LI HA AIUTATI

 

 

 

 

Antonio E. Piedimonte per www.lastampa.it

 

FRANCESCO E GIUSEPPEFRANCESCO E GIUSEPPE

Dormire sulle panchine e vivere di stenti perché cacciati di casa dalle loro famiglie. Il motivo? Sono gay e fidanzati. È una storia che sembra sbucata fuori dal Medioevo dell’omofobia quella di Francesco e Giuseppe, 18 e 22 anni, due ragazzi che si sono ritrovati a sopravvivere per strada solo perché innamorati e circondati da un ambiente a dir poco ostile. Una vicenda complicata, segnata dall’humus socio-culturale di provenienza, che avrà quasi certamente dei risvolti legali.

 

Una storiaccia che è emersa solo grazie all’intervento del presidente dell’Arcigay di Napoli, Antonello Sannino, e alla mobilitazione della comunità lgbt. A ripercorrerne le tappe è Francesco, il più piccolo dei due ma non per questo più fragile, anzi.

 

 

Cominciamo dal principio? 

«Allora tocca fare un passo indietro, andare a due anni fa, quando i miei genitori decidono di separarsi e lo fanno nel peggiore dei modi: se ne vanno di casa, entrambi. Io allora avevo sedici anni».

 

E chi resta con te? 

«Mia sorella più grande, allora ventenne, e la più piccola, di 8 anni».

 

Da soli? 

«Sì, lo so che sembra strano ma è così. Dopo ho scoperto che non avrebbero potuto farlo, per legge, ma intanto l’hanno fatto e abbiamo dovuto cavarcela da soli».

francesco e giuseppe cacciati di casa perche gayfrancesco e giuseppe cacciati di casa perche gay

 

Vuole dire che nessuno vi ha dato una mano? Parenti, amici, istituzioni? 

«Nessuno. I parenti mi hanno sempre emarginato perché omosessuale, erano loro ad aizzare mia madre contro di me, pensi che certi miei zii mi hanno persino denunciato dopo una lite. Il Comune (si tratta di quello di Casoria, paese confinante con Napoli, ndr) non ha fatto niente, ancora oggi».

 

Dunque, avevate una casa ma non la possibilità di sostenervi. 

«Esatto. Ho dovuto lasciare la scuola per andare a cercare un lavoro, ho fatto un po’ di tutto, cameriere, animatore turistico. E così mia sorella Clelia. Per sopravvivere, per badare alla piccola, tra immense difficoltà. Finché le cose sono precipitate».

 

Ancora? 

«Alla fine dello scorso febbraio siamo stati svegliati dall’ufficiale giudiziario e i carabinieri. Ci hanno detto: dovete andar via subito. Ancora oggi non ho capito bene quello che è successo, di certo mia madre ha chiesto la liberazione della casa, anche se l’unico documento che ci hanno mostrato faceva riferimento a mio padre, che risultava residente lì».

 

Uno sfratto… 

«A dir poco brusco, ci hanno fatto mettere i vestiti dell’armadio nelle buste dell’immondizia, tutto in fretta e furia. E quando ho chiesto dove avremmo dormito, mi hanno risposto che a Napoli c’erano i ricoveri notturni per i senzatetto. Una cosa allucinante. E la beffa è che quella casa oggi è vuota, perché mia madre vive da un’altra parte».

 

Cosa avete fatto, cosa ne è stato della bambina? 

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«La piccola se l’è portata via mia madre, vietandomi anche di vederla perché secondo lei io, in quanto gay, avrei esercitato una cattiva influenza. La grande si è arrangiata a casa del fidanzato, una situazione complicata perché lui vive con la famiglia e sono già tanti».

 

Sei rimasto completamente solo? 

«Solo con il mio ragazzo. Giuseppe ha condiviso lo stesso destino: lo hanno cacciato. Hanno detto “O lui o noi”. La sua famiglia è, diciamo così, all’antica. E così ha perso anche il lavoro, faceva l’aiuto-pasticciere».

 

Dove siete andati? 

«In giro con le buste piene delle nostre cose, dormendo sulle panchine, anzi, per la verità all’inizio cercavamo di non dormire la notte. Poi quando il tempo l’ha permesso siamo andati sulle spiagge, a Mondragone, a Torre Annunziata, sfruttando le docce degli stabilimenti balneari per lavarci».

 

E ora? 

«Da qualche giorno le cose vanno un po’ meglio. Da quando cioè, sull’orlo della disperazione, ho chiamato un amico pugliese che mi ha dato il numero dell’Arcigay di Napoli ed è scattata una mobilitazione che ci ha commossi, ci hanno trovato una sistemazione provvisoria e abbiamo parlato con un avvocato».

 

La luce alla fine del tunnel? 

PETER PAN GAYPETER PAN GAY

«Speriamo. La strada è in salita e temo ancora lunga ma almeno abbiamo trovato qualcuno disposto ad aiutarci».

 

Diciotto anni è il tempo dei sogni, se prova a guardare oltre cosa vede? 

«I miei sogni sono semplici: vorrei poter finire gli studi e, ovviamente, lavorare, ma non solo per la sopravvivenza anche per vivere davvero, comprare un paio di scarpe, fare una vacanza, cose normali. Insomma, una possibilità di vita. Per tutti e due».  

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