
"NOSTRO FIGLIO LO CHIAMAVANO 'PAOLETTA' E 'NINO D'ANGELO' PER IL SUO CASCHETTO BIONDO" - LA RABBIA DEI GENITORI DI PAOLO MENDICO, 14ENNE DELLA PROVINCIA DI LATINA CHE SI È TOLTO LA VITA POCHI GIORNI PRIMA DI TORNARE TRA I BANCHI DI SCUOLA, DOVE IL RAGAZZINO VENIVA BULLIZZATO - IN QUINTA ELEMENTARE, IL GIOVANE VENNE PERFINO MINACCIATO DA UN COMPAGNO DI CLASSE CHE TIRO' FUORI UN COLTELLO MENTRE GLI ALTRI STUDENTI INCITAVANO ALLA RISSA - L'ULTIMO MESSAGGIO MANDATO SUL GRUPPO WHATSAPP CON I COMPAGNO: "TENETEMI UN POSTO IN PRIMA FILA..." - IL MINISTERO DELL'ISTRUZIONE ORDINA LE ISPEZIONI NELLA SCUOLA...
SI TOGLIE LA VITA A 14 ANNI IL FRATELLO: VITTIMA DEI BULLI SCATTA L’ISPEZIONE A SCUOLA
Estratto dell'articolo di Michele Marangon per il “Corriere della Sera”
Si è tolto la vita nella sua cameretta un giorno prima di ricominciare la scuola, il secondo anno di un istituto tecnico. Paolo doveva ancora compiere 15 anni, ma ha deciso «definitivamente di spegnersi» come ha detto il parroco del santuario di Santi Cosma e Damiano (Latina), dove viveva e dove ieri si è celebrato l’ultimo saluto al ragazzo.
Una vicenda di presunto bullismo sulla quale faranno luce sia la Procura di Cassino con un’inchiesta che ipotizza l’istigazione al suicidio, sia il ministro dell’Istruzione Valditara, che ha ordinato due ispezioni negli istituti che il ragazzo ha frequentato alle scuole medie e alla scuola superiore. Era stato proprio il fratello maggiore di Paolo, Ivan Roberto, a informare nei giorni scorsi ministro e premier con una lettera di denuncia.
Il rapporto difficile con compagni e docenti sembra essere la motivazione di un gesto che i genitori non avevano presagito. «Quella stessa sera — dice il padre Giuseppe — avevamo cenato insieme. Paolo poi è andato in camera sua, ha chattato con la sorella, preparato lo zaino e scritto cosa avrebbe dovuto portare sul diario. Non era triste». Però aggiunge: «Da un po’ di tempo ripeteva: “Che palle, devo tornare a scuola”. E forse il motivo di quanto accaduto sta proprio lì».
In passato non sono mancate denunce e segnalazioni da parte della famiglia, su quanto capitato al figlio nei vari istituti frequentati: «Già in quinta elementare avevamo presentato una denuncia ai carabinieri perché era bullizzato. Addirittura un bambino si presentò con un coltello in classe dicendo che voleva ammazzarlo, mentre una maestra anziché prendere il controllo della situazione, incitava gli alunni dicendo: “Rissa, rissa”. Questa denuncia è stata poi archiviata».
Si susseguono poi «problemi anche alle medie, dove avevamo chiesto che potesse andare in classe con alcuni amici delle elementari, ma è stato isolato. E abbiamo deciso di cambiare scuola». Non sembra andare meglio negli anni successivi: «Lo prendevano in giro chiamandolo “Nino D’Angelo” per il caschetto biondo». [...]
Nella lettera il fratello ha voluto chiedere giustizia: «Paolo ha deciso di togliersi la vita a seguito di ripetuti episodi di bullismo. Nonostante più volte tali situazioni siano state segnalate e denunciate, nessun intervento concreto è stato posto in essere. È stato informato anche Papa Leone XIV. [...]
LA MAMMA "LO CHIAMAVANO PAOLETTA LA SCUOLA SAPEVA E NON HA MAI FATTO NULLA"
Estratto dell'articolo di Romina Marceca per “la Repubblica”
Nella stanza del figlio non riescono più a entrare. Giuseppe Mendico e Simonetta La Marra, papà e mamma di Paolo, sono seduti nella cucina della loro casa costruita in pietra col grande camino. In mezzo a loro la foto di Paolo che suona il basso. Fuori, il paese di poco meno di settemila anime sulla pianura del Garigliano che adesso si interroga sulla fine di un quattordicenne.
«Nostro figlio è stato un perseguitato, abbiamo sempre denunciato tutto alla scuola. Ma siamo rimasti inascoltati. Era un bravo studente ma ultimamente diceva che la scuola non gli piaceva più», stringe i pugni Simonetta La Marra.
«Alle elementari sono arrivate le aggressioni dei compagni e lo scherno delle maestre, alle medie il bullismo dei professori. Poi sono arrivati gli apprezzamenti al primo anno dell'istituto informatico Pacinotti. Altro bullismo, altra sofferenza. Quante volte l'ho visto piangere».
Cosa gli dicevano?
«Paolo amava portare i suoi capelli biondi molto lunghi. Dopo i primi quattro giorni di scuola superiore hanno cominciato a chiamarlo "Paoletta", "femminuccia", "Nino D'Angelo". Lo aspettavano in bagno. Prima era uno, poi sono diventati di più. Ci siamo rivolti subito alla scuola, ci hanno assicurato che l'avrebbero aiutato.
Ma tutto è finito solo dopo che Paolo ha deciso di tagliarsi tutti i capelli. L'altra frase per prenderlo in giro era "Piccolo Principe" perché mio figlio ogni mattina non usciva di casa se non aveva fatto la doccia».
Quando è stata presentata la prima denuncia?
«Alle elementari, in quinta. Ci siamo rivolti ai carabinieri perché un compagno ha puntato contro nostro figlio un cacciavite in plastica, diceva che lo doveva ammazzare. E la maestra non è intervenuta. Noi eravamo genitori molto presenti nella vita scolastica di nostro figlio e questo dava fastidio. Tutte le altre sono state denunce scritte e verbali agli istituti, ma non facevano niente». [...]
Che ragazzino era Paolo?
«Era diverso dagli altri per questo è rimasto solo. Amava la musica, andare a pescare col padre, cucinare, aiutava in casa. Anche per questo veniva bullizzato. L'ultima sera, prima della tragedia, ha preparato il pane e i biscotti. Prendeva sempre le difese dei più deboli e per questo lo chiamavano spione».
I suoi compagni sono venuti al funerale?
«Su 12 solo uno...». [...]