UN CALIFFO A GERUSALEMME - ISRAELE TEME UN’INTIFADA RELIGIOSA PILOTATA DALL’ISIS E SMUOVE I LEADER RELIGIOSI PER UN MEETING CHIARIFICATORE - MOLTI PALESTINESI POTREBBERO LASCIARSI SEDURRE DALLO STATO ISLAMICO

Maurizio Molinari per "La Stampa"

 

gerusalemme  spari in sinagoga 6gerusalemme spari in sinagoga 6

Israele teme che il virus di Isis contagi i giovani arabi e corre ai ripari con un’offensiva di dichiarazioni pubbliche tese a scongiurare un’Intifada religiosa. «Sappiamo che alcuni dei terroristi responsabili di recenti attentati hanno agito sotto l’influenza di Isis», afferma David Saranga, consigliere per la politica estera del presidente Reuven Rivlin, spiegando che «in alcune delle violenze commesse l’aspetto religioso è rilevante».

 

Amos Harel, analista di «Haaretz» sui temi di sicurezza aggiunge: «L’influenza di Isis è paragonabile a un virus, i giovani arabi, israeliani o palestinesi, vedono e ascoltano online i messaggi del Califfo e ne rimangono contagiati perché coincidono con le tensioni sulla moschea di Al Aqsa».

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Per disinnescare la sovrapposizione fra nazionalismo palestinese e jihadismo si muovono i leader religiosi ebrei, musulmani, greci-ortodossi e cristiani latini. L’incontro avviene nella sinagoga di Har Nof, teatro del sanguinoso attacco di martedì, e al termine lo sceicco Muhammad Kiwan, presidente del Consiglio islamico di Israele, riassume alle tv il messaggio collettivo: «Siamo venuti qui per condannare l’assalto contro una casa di Dio, chi uccide un’altra persona non è un martire, bensì si allontana da Dio».

 

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Vicino a lui, il rabbino Michael Melchior aggiunge: «Vogliamo impedire guerre religiose». Il presidente Rivlin sfrutta un’intervista tv per rilanciare il messaggio: «Israele non è in guerra con l’Islam, abbiamo un conflitto con i palestinesi che deve essere risolto, ma non è e non deve diventare una guerra religiosa».

 

abu bakr al baghdadiabu bakr al baghdadi

A tal fine, aggiunge Saranga, «Israele segue da vicino ogni contatto fra Isis e i palestinesi» a cominciare dalle vicende di una trentina di arabo-israeliani che hanno scelto di andare a combattere per il Califfo, tre dei quali sono morti al fronte. Per Harel «Israele non fa eccezione, i giovani arabi che abitano qui subiscono il fascino della Jihad del Califfo proprio come avviene ai coetanei nei Paesi arabi, in Europa e negli Usa». Rivlin, Saranga e leader religiosi parlano ad alta voce perché la sfida col «virus di Isis» avviene sul terreno della comunicazione pubblica.

 

Intanto, sul terreno l’esercito israeliano ieri ha distrutto a Silwan la casa del palestinese Abdel-Rahman Shaloudi - che in ottobre investì e uccise una bimba di 3 mesi e una donna di 22 anni - dando inizio a una contromisura tesa a «spingere le famiglie dei terroristi a diventare un argine contro gli attentati», spiega un alto funzionario israeliano.

 

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Il governo Netanyahu ha inoltre autorizzato la costruzione di 78 nuove costruzioni nei quartieri ebraici di Har Homa e Ramot Shlomò a Gerusalemme Est - considerati insediamenti da Usa e Ue - innescando la protesta dei palestinesi che con Nabil Abu Rudeina, portavoce di Abu Mazen, parlano di «escalation che vanifica gli sforzi per riportare la calma». Scontri fra palestinesi e soldati sono avvenuti in più quartieri arabi di Gerusalemme a seguito della decisione del governo di non consegnare alla famiglia Abu Jamal i corpi degli attentatori della sinagoga.

 

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