
LA CANNES DEI GIUSTI – BUONE NOTIZIE: IL PRIMO, AMBIZIOSISSIMO, COMPLESSO, MA POTENTE FILM TEDESCO IN CONCORSO, “SOUND OF FALLING”, È UNA GRANDE SORPRESA. E’ UN “VERMIGLIO” CON UNA POTENZA DI FUOCO IMPRESSIONANTE, PERCHÉ OGNI SCENA O QUASI È COSTRUITA CON INCREDIBILI TRIANGOLAZIONI VISIVE TRA I PERSONAGGI - ASSIEME ALLA MORTE, TORMENTONE DI TUTTO IL FILM, C’È IL SESSO. TUTTO UN FRUGARE NELLE MUTANDE. PERFINO LO ZIO FRITZ, AMPUTATO CHE NON ANDRÀ IN GUERRA, È GUARDATO CON DESIDERIO – VIDEO
Cannes. Sound of Falling di Masha Schilinski
Marco Giusti per Dagospia
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Buone notizie da Cannes. Il primo, ambiziosissimo, complesso, ma potente film tedesco in concorso, “Sound of Falling”, ma in realtà in originale si chiamava “In die Sonne schauen“ (“Stupefatto al sole“), ideato e diretto da Masha Schilinski, che lo ha scritto assieme a Louise Peter e vanta la bellissima fotografia di suo padre, Fabian Gamper, malgrado una narrazione più lirica che lineare e i 149‘ è una grande sorpresa.
Attraverso il ritratto/racconto di quattro ragazze di quattro generazioni diverse, la Alma di Hanna Heckt, la Erika di Lea Drinda, la Angelika di Lena Urzendowsky, la Lenka di Leaeni Geiselor, la Schilinski, alla sua opera seconda dopo “Dark Blue Girl”, racconta la complessità del diventare donne in Germania nel corso di un secolo, il loro rapporto con la sessualità, con la morte, la vita, con le figure materne, col crescere insieme. E con l’essere o apparire felici.
E’ un “Vermiglio” con una potenza di fuoco impressionante, perché la Schilinski costruisce ogni scena o quasi con incredibili triangolazioni visive tra i personaggi per cui si parte dall’occhio di una ragazza e si arriva a costruire come i suoi sentimenti e le sue azioni successive siano viste da un personaggio secondo o terzo che non pensavamo spettatore.
C’è quindi un’invenzione continua di cinema, giocando anche sulle tecniche del gotico e dell’horror, che smarca costantemente lo spettatore, anche quello più esperto e vaccinato.
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La Schilunski non vuole raccontare solo quattro storie di donne che si svolgono nella stessa fattoria nella regione dell’Altmark, mettendole di fronte a situazioni pesanti sia di tipo sessuale che famigliare, ma il loro uscire dentro e fuori costantemente dal personaggio per capire, svilupparne i sentimenti.
Con una serie di ossessioni che si ripetono. Il morso dell’anguilla, il morire e non morire come scelta del tutto casuale. Si parte, lo ha detto la regista, dalle fotografie più fantasmatiche di Francesca Woodman, ragazza alla ricerca della propria fisicità e del proprio essere. Ma della Woodman si sviluppa il lato quasi horror del ritratto fotografico, cioè il non esserci, l’essere allo stesso tempo vivi e morti rispetto alla macchina fotografica.
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Ossessivamente le quattro ragazze e le loro sorelle sembrano giocare con la morte. Una morta che diventa viva in fotografia e viceversa. Perché all’interno di quello sfalsamento sta la fuga di un personaggio da sé.
E, assieme alla morte, che diventa un tormentone di tutto il film, ma che è un tormentone reale per chi è cresciuto in campagna il secolo scorso, c’è il sesso, con dei personaggi maschili esibiti un po’ come macchine di desiderio per le ragazze. Tutto un frugare nelle mutande.
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Perfino lo zio Fritz, amputato che non andrà in guerra, è guardato con desiderio da Erika all’inizio del film. Gli mette un dito nell’ombelico e poi si lecca il dito, in una scena di grande presa, che finisce con lo sguardo di lui, che non dormiva, che osserva dalla finestra lei alle prese con i maiali della fattoria.
La Schilinski, che ha lavorato sul copione, leggo, per tre anni, quando il film si chiamava “The Doctor Says I'll Be Alright, But I'm Feelin' Blue”, si permette poi di combinare formati di pellicole diversi per raccontare le storie delle ragazze, per ricostruire il tono del tempo, con un lavoro accuratissimo sull’immagine.
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Accolto con grande interesse e salutato come una vera scoperta da gran parte del pubblico, penso che abbia parecchi motivi per impressionare anche la giuria tutta o quasi al femminile.