tenco battisti

REVERBERI DI NOSTALGIA - DA “LA GATTA” DI PAOLI AI SUCCESSI DI TENCO, DALLA E BATTISTI, PARLA GIAN PIERO REVERBERI, MAESTRO DELLA CANZONE POP: “’EMOZIONI’? L’HO ARRANGIATA SENZA PIANO TUTTA NELLA MIA TESTA” - SI INVENTÒ L’ENSEMBLE RONDÒ VENEZIANO E UN PEZZO DIVENTÒ LA SIGLA DEL BISCIONE

Roberto Di Caro per "L'Espresso"

 

Se-e mi vuoi lascia-are, ba-bibidam-bom, dimmi almeno perché... «La cantava Michele (di cognome Maisano), composta e arrangiata da me, prodotta da mio fratello Gianfranco, parole di Saro Leva, tuttora mio carissimo amico. Era il 1963. Quell'anno, io ne avevo 24, mi sono diplomato in Composizione al Conservatorio. E con quel pezzo ho venduto il mio primo milione di dischi».

 

rondo veneziano foto 1rondo veneziano foto 1

Voleva fare il musicista classico, Gian Piero Reverberi, ma quell'improvviso successo ha deciso della sua strada, «mi ha costretto ad accettare tutte le occasioni che in seguito si sono presentate».

 

Ha un modo sorprendentemente lineare di raccontare la sua vita, Reverberi: come se tutto fosse accaduto per naturale necessità, anche quando i fatti e gli episodi che narra paiono usciti da Fogazzaro o da "I ragazzi della via Pal". Le scorribande d'adolescenza nella Genova proletaria con Luigi Tenco e Bruno Lauzi.

 

"La gatta" di Gino Paoli a 19 anni, arrangiata con tre musicisti e quattro soldi, flauto, basso, batteria e lui al piano, perché l'editore Nanni Ricordi più di tanto non rischiava sugli esperimenti di quella banda di giovani genovesi. Da allora un rosario di successi con tutti i grandi della canzone italiana, qualche amarezza, nemo propheta in patria, le rivincite e i sogni realizzati, l'avventura di Rondò Veneziano.

 

gian piero reverberi indexgian piero reverberi index

Una vita familiare tenuta rigorosamente al riparo dal caotico mondo dello show business. E il piacere di collezionare quadri e sculture anni Cinquanta e Sessanta che ora espone, molti per la prima volta, ad Aosta dal 20 giugno, "Una stagione Informale. Capolavori della Collezione Reverberi" (vedi box a pag. 67).

 

Dice «sono nato in un museo». In che senso? «In senso letterale. Ai tempi si partoriva in casa, mio nonno era custode del Museo di Scienze naturali, c'era penuria di abitazioni, noi vivevamo nel sotterraneo accanto ai laboratori di imbalsamazione. Io e mio fratello impazzavamo in triciclo in quegli enormi saloni chiusi per la guerra, tra lo scheletro di una balenottera e decine di migliaia di uccelli, rettili, insetti, fossili e rocce. Al posto dei peluche, giocavamo con gli animali impagliati».

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Bambinetto, conosceva a memoria tutti i valzer di Strauss. Papà musicista? «Idraulico. Ma con un buon orecchio. Mamma casalinga. Per esorcizzare la guerra, a Capodanno e a Carnevale organizzavano in quei fantastici saloni feste danzanti e concerti proprio come quello dei Wiener Philharmoniker. I valzer ho iniziato a suonarli su un pianoforte verticale che chissà chi aveva abbandonato nei fondi del museo».

 

Impara a leggere le partiture, studia musica sinfonica, verso i 12 anni comincia a comporre. A 16 lascia la scuola e si iscrive al Conservatorio: all'esame di ammissione porta due poemi sinfonici e un concerto per pianoforte, «piccole cose, ma c'era già una scrittura orchestrale abbastanza corretta».

 

232px gian piero reverberi (2006)232px gian piero reverberi (2006)

Un secchione blindato tra libri e note? L'opposto. Il gruppetto degli scavezzacollo sono lui, che è il più piccolo; suo fratello più grande di cinque anni; Luigi Tenco e Bruno Lauzi. Saltano dal bar Igea a un altro a giocare a tresette o a terziglio, non si perdono un concerto né un film musicale, vanno pazzi per Gene Kelly e Frank Sinatra, "Un americano a Parigi", "Bulli e pupe" e «il geniale "Helzapoppin" che nel ‘41 anticipa tutti i film comici e i musical».

 

Era una Genova semidistrutta ma viva, colta, spregiudicata, quella dove i Reverberi erano tornati dopo essere sfollati per le bombe: «Via Cecchi era come la via Pal. Di qua le case per il popolo: la mia era l'ultima, settimo piano senza ascensore né riscaldamento. Di là la via Rimassa dei nuovi ricchi: case della ricostruzione, ascensori e terrazze sul mare.

 

JOE SENTIERI UMBERTO BINDI E GINO PAOLI AL FESTIVAL DI SANREMO NEL JOE SENTIERI UMBERTO BINDI E GINO PAOLI AL FESTIVAL DI SANREMO NEL

Il divertimento preferito mio e di Tenco era contraddire per partito preso qualunque affermazione dei nostri rivali figli di papà, anche la più giusta, per poi abbindolarli con la nostra dialettica e portarli, dopo ore di discussione, a contestare ciò che sostenevano all'inizio». Perfidi, ma sempre meglio che fare a sassate.

 

Di Luigi Tenco, l'infastidisce che si parli sempre del suo suicidio: «Il ragazzo che ricordo io era sì pieno di contraddizioni, ma aveva un incredibile senso dello humour e una folle vitalità. Lo detestavo solo quando puntualmente mi rovinava i Capodanni: io mi ero combinato un filarino con una ragazza, lui due ore prima mi chiamava disperato e implorante, doveva suonare in un locale per raggranellare qualche soldo e gli mancava un musicista.

GINO PAOLI E ORNELLA VANONI GINO PAOLI E ORNELLA VANONI

 

Sul palco improvvisavamo ogni cosa». Di Tenco arrangerà tutti i pezzi più belli, da "Quando" a "Se stasera sono qui". E "Ciao amore ciao", che dirigerà al Festival di Sanremo la sera in cui, dopo l'eliminazione, l'amico si suiciderà.

 

Con Bruno Lauzi, invece, da ragazzini giocavano a truccare i pezzi alterando la velocità del nastro sul magnetofono Geloso. Poi, sui vent'anni, «gli ho fatto gli arrangiamenti dei suoi primi dischi, quelle sambe in genovese finto-portoghese come "O frigideiru", Il frigorifero, composta e prodotta da mio fratello Gianfranco che già era a Milano alla Ricordi.

 

corpo luigi tenco Oggicorpo luigi tenco Oggi

Sergio Endrigo, Luigi Tenco, Gino Paoli, li ha lanciati tutti lui, poi le canzoni se le sono scritte da soli e lui doveva ogni volta ricominciare daccapo». Gino Paoli, Gian Piero lo conosce quando lui ancora lavora da grafico pubblicitario. "La gatta" gliela arrangia di nascosto dai professori del Conservatorio: «Rigidi com'erano, mi avrebbero espulso, già volevano farlo perché mi ero lasciato crescere la barba, segno allora di disordine e d'anarchia». Per lui lavorerà a una dozzina di pezzi fino a "Il cielo in una stanza".

 

In seguito, senza particolari ragioni, si perderanno di vista. Quella era anche la Genova di Fabrizio De Andrè: «Ma mica ci frequentavamo! Altra classe sociale la sua, altre scuole, per casa una delle più belle ville di Genova. Vero è che abbiamo lavorato molto bene insieme, incrociando la sua poetica e le mie conoscenze classiche in pezzi molto complessi come "Tutti morimmo a stento" del '68 e "La buona novella" del '70».

LUCIO DALLA PAOLA PALLOTTINO LUCIO DALLA PAOLA PALLOTTINO

 

L'elenco dei vent'anni di arrangiamenti di Reverberi, finché non s'è stufato ed è passato ad altro, è un catalogo della musica italiana. Con Lucio Dalla compone vari pezzi e, a Milano in un ex-cinema parrocchiale trasformato in sala registrazioni, arrangia da "Lei non è per me" a "L'anno che verrà".

 

Le Orme e i New Trolls, anni Settanta, è lui che li produce: «Ero un assemblatore di idee: loro me le fornivano, io sceglievo quelle giuste, scartavo quelle sbagliate, aggiungevo ciò che mancava». Il che spiega come abbia potuto comporre con entrambi i gruppi, opposti per sonorità, timbri e stili, rock progressivo e sofisticato i primi, rock duro i secondi.

LUCIO DALLA GIANNI MORANDI LUCIO DALLA GIANNI MORANDI

Per Ornella Vanoni, primi Settanta, prendeva il treno da Genova alle 6.30 di mattina, a Milano registrava le basi, alle 6 di sera tornava a Genova: «Ma spesso i cantanti li intravvedevo appena.

 

Caterina Caselli, Nicola Di Bari, Patty Pravo, Wilma Goich, Ron, Pupo, Al Bano, I Ricchi e Poveri, Pino Donaggio, Umberto Balsamo. Con Mal ho fatto un bel disco ma non ha avuto successo, la gente continuava a vederlo come il cantante di "Furia, cavallo del west". Dalle etichette a volte è impossibile uscire. Ne so qualcosa io», gli scappa detto. Si riferisce alla volta che si permise di proporre un suo concerto per pianoforte alla Ricordi Classica.

 

«La signora, che mi conosceva bene, mi liquidò in trenta secondi: "Ma signor Reverberi, lei è un compositore di musica leggera, ha sbagliato reparto"». La rivincita se l'è presa qualche anno dopo, vedremo come. Tre pezzi li ha arrangiati per Mina, ma non l'ha mai incrociata: lui preparava le basi con Lucio Battisti, che le portava a lei.

 

LUCIO BATTISTILUCIO BATTISTI

Ecco, Battisti. Orchestrazioni da "Non è Francesca" del '69 a "Il nostro caro angelo" del ‘73. In quattr'anni, "Un'avventura", "Anna", "La canzone del sole", "Il mio canto libero". E quello che sia la critica sia Reverberi considerano uno dei più begli arrangiamenti in assoluto, sonorità universali non legate a un periodo o una moda, perfetto equilibrio tra parola, musica e canto: "Emozioni".

 

«Ho colorito non la melodia, come sempre si fa, ma le pause. Non le note, ma i silenzi. Non ciò che preesisteva, la musica, le parole, ma ciò che succedeva, o non succedeva, intorno». Lo fece in un pomeriggio. In un ufficio. Senza preavviso, non c'era tempo. Senza neanche un pianoforte. «Nella mia testa: è il modo migliore, non sei limitato dalla fisicità delle tue dita sulla tastiera, la mente spazia, la fantasia immagina ciò che vuole».

 

Ha lavorato sempre così, Reverberi. Anche i quattro pezzi per Eros Ramazzotti li ha arrangiati al parco di Monaco di Baviera dove cammina tutte le mattine, 9 chilometri al giorno dalle 9 alle 11. In realtà da 26 anni risiede a Galgenen, canton Schwyz, da sette ha la cittadinanza svizzera, a Genova lui e sua moglie Laura tornano più che altro per le feste di figli (tre: uno avvocato, una psicologa, il terzo gestisce un bar) e nipoti.

La mostra su Lucio Battisti PittoreLa mostra su Lucio Battisti Pittore

 

Perché ha preso casa a Monaco? Perché in Germania è esploso, all'inizio grazie alla partecipazione alla versione tedesca di "Scherzi a parte", il successo di Rondò Veneziano, l'ensemble da lui inventato nel 1979: «A tavolino, con Freddy Naggiar della Baby Records. Un prodotto italiano ma internazionale perché solo strumentale. Come in passato il barocco.

 

Lucio Battisti Grazia Letizia Veronese Lucio Battisti Grazia Letizia Veronese

Riproponiamo allora quelle atmosfere e sonorità, un neo-barocco con un'orchestra da camera più basso e batteria, settedonne e due uomini in abiti d'epoca e io al piano. Un gioco sul filo: se calchi un solo passaggio finisce in caricatura». Il primo pezzo diventa, in incognito, la sigla del Biscione di Berlusconi.

 

FABRIZIO DE ANDRE E PAOLO VILLAGGIO FABRIZIO DE ANDRE E PAOLO VILLAGGIO

Mesi dopo, l'uscita a "Domenica in" di Pippo Baudo, e il disco vende 800 mila copie. Il successo durerà 10 anni in Italia, tuttora in Germania, Austria, Svizzera. Con nove dischi per 25 milioni di copie. Ed esecuzioni in vari templi della musica classica inclusa la Gewandhaus di Lipsia: «Standing ovation con musiche mie, non con la Nona di Beethoven. E stesso pubblico della Nona». La sua rivincita sulla signora che lo snobbò come "musicista leggero".

CATERINA CASELLI CHIARA BONI INAUGURAZIONE MITO ALLA SCALA FOTO FRANCO CORTELLINO CATERINA CASELLI CHIARA BONI INAUGURAZIONE MITO ALLA SCALA FOTO FRANCO CORTELLINO PIVANO DEANDREPIVANO DEANDRENICOLA DI BARINICOLA DI BARICATERINA CASELLI CATERINA CASELLI

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