1- VINCERE A SUON DI SIRINGATE? NON SOLO SI PUÒ, SI DEVE: PER SERVIRE MEJO LO SPONSOR! 2- CHI METTE LA GRIFFE (E GLI SCHEI) SUGLI ATLETI PRETENDE RISULTATI SU CUI MONETIZZARE. COME LA “US POSTAL SERVICE” CHE HA GUADAGNATO 103 MLN $ CON LE VITTORIE AL TOUR DE FRANCE DI LANCE ARMSTRONG CHE HA UN PATRIMONIO DI 125 MILIONI $ 3- COINCIDENZE? SECONDO LA PROCURA DI BOLZANO FU IL DEFUNTO AMMINISTRATORE DELLA FERRERO, PIETRO, A PRESENTARE AD ALEX SCHWAZER IL FAMIGERATO DOTTOR FERRARI 4- DEUTSCHE TELEKOM, AI TEMPI DEI TRIONFI DI JAN ULLRICH, PROCURÒ AL TEAM DEI CICLISTI SPONSORIZZATI UN ADDETTO STAMPA PER INSABBIARE QUALUNQUE CASO DI DOPING 5- ALTRO GIRO: GLI OLANDESI DI RABOBANK HANNO “SPREMUTO” GLI ATLETI OBBLIGANDOLI A SOTTOSCRIVERE UN “IMPEGNO DI RISERVATEZZA” PER RIMANERE FUORI DAI GUAI 6- FIOCCANO “PENTITI” E CARTE COMPROMETTENTI: RAPPORTO-CHOC DELLA POLIZIA TEDESCA

Claudio Gatti per "Il Sole 24 Ore"

In primis serve a vincere, ma il doping serve soprattutto a fare soldi. Molti soldi. In due decenni di attività come ciclista professionista, grazie alle sponsorizzazioni, Lance Armstrong ha accumulato un patrimonio stimato attorno ai 125 milioni di dollari. Adesso che ha finalmente deciso di ammettere di essersi dopato per anni, ci si potrebbe aspettare che Nike e gli altri suoi sponsor pretendano la restituzione di quei soldi. Ma è improbabile.

Il motivo palese è che hanno tutti avuto un ottimo ritorno economico-commerciale. Ma c'è anche un'altra ragione: tra gli sponsor non c'è mai voglia di approfondire troppo la questione del doping. Un'inchiesta del Sole 24 Ore, pubblicata oggi anche dal New York Times, spiega che la diffusione del fenomeno non è attribuibile solo ad atleti, allenatori, medici o direttori sportivi, ma anche a chi alimenta l'ingranaggio con i propri soldi - gli sponsor.

Da uno studio dell'US Postal Service risulta che tra il 2001 e il 2004 le Poste americane hanno speso 32,27 milioni di dollari per sponsorizzare il team di Armstrong, ricevendo benefici di immagine e marketing per 103,63 milioni. E, secondo l'avvocato di Armstrong Tim Herman, chi ottiene un ritorno del 320% in quattro anni non ha motivo - o diritto - di lamentarsi. Gli sponsor di Armstrong non possono neppure dire che sono stati danneggiati da quello che l'agenzia anti-doping americana Usada ha rivelato dopo aver smascherato il "sofisticatissimo sistema di doping" con cui il ciclista texano è riuscito a vincere sette Tour de France.

Nel rescindere i loro contratti con l'atleta hanno rilasciato dichiarazioni di netta condanna dell'uso di sostanze dopanti che li hanno fatti apparire paladini dell'onestà nello sport. Questa è la bellezza della exit strategy degli sponsor. «Fintanto che non sei beccato, rimani il loro più amato e prezioso ambasciatore. Ma nel momento in cui risulti positivo in un test, diventi l'unico colpevole, e vieni abbandonato a te stesso», dice l'ex ciclista olandese Max Van Heeswijk.

Emblematico è il caso di Alex Schwazer. Il 6 agosto 2012, cinque giorni prima della gara dei 50 km in cui avrebbe dovuto difendere la medaglia d'oro di Pechino, il marciatore altoatesino è stato squalificato dal Coni per essere risultato positivo a un test sull'Epo. Schwazer non ha neppure cercato di negare, ammettendo subito di essersi rivolto al dottor Michele Ferrari, il medico che l'Usada ha denunciato come coordinatore del "sistema di doping" di Armstrong.

La reazione del principale sponsor di Schwazer, Ferrero, non si è fatta attendere. Lo stesso 6 agosto la società ha emesso un comunicato-stampa in cui ha dichiarato "il dispiacere dal punto di vista umano per quanto accaduto a Schwazer, un ragazzo semplice che, compiendo un atto molto grave e antisportivo, ha buttato via una carriera di impegno e fatica". Seguiva la presa di distanze: "Il suo contratto con Ferrero era in scadenza dopo le Olimpiadi di Londra 2012 e, ovviamente, non verrà rinnovato".

L'ironia della sorte è che, a quanto risulta dalle dichiarazioni dello stesso Ferrari e dall'indagine che sta conducendo la Procura di Bolzano, a propiziare l'incontro tra il medico e l'atleta era stato Pietro Ferrero, l'amministratore delegato dell'azienda produttrice della Nutella deceduto nell'aprile 2011. Quando abbiamo chiesto alla Ferrero se per questo motivo ritiene di avere una qualsiasi responsabilità nella vicenda, la risposta è stata "certamente no."

L'azienda ha aggiunto di non essersi "mai interessata alla preparazione degli atleti sponsorizzati", né di aver "mai dato valore agli aspetti di mera competizione, privilegiando, invece, lo sviluppo e la diffusione fin dall'età giovanile della pratica sportiva come sano e corretto stile di vita." «Negli ultimi anni il movimento antidoping ha capito la necessità di andare oltre l'atleta, e arrivare ai facilitatori», dice il dottor Michael Ashenden, un ematologo australiano consulente della Wada, l'agenzia mondiale anti-doping.

«Ma secondo me non basta fermarsi a chi fornisce un aiuto diretto, bensì prendere in considerazione anche agenti e sponsor, perché con il loro supporto passivo contribuiscono al problema». L'ex ciclista tedesco Jörg Jaksche è uno dei pochi professionisti disposti a rompere l'omertà che da decenni impedisce di affrontare seriamente il problema del doping nel ciclismo.

Lui condivide in pieno l'analisi di Ashenden. «Ogni nuovo scandalo di doping segue lo stesso percorso: quando qualcuno viene beccato, il sistema si dimostra schoccato, dichiara l'assoluto rigetto del doping e dipinge l'atleta come una pecora nera che merita di essere mandata al macello. Dopodiché, ogni cosa continua come prima. Ma la realtà è che macellano un capro espiatorio, non una pecora nera. E che nessuno guarda mai alle responsabilità dei pastori. Mi riferisco a coloro che stanno ai livelli superiori, quelli che governano gli sport e soprattutto quelli che alimentano tutto con i propri soldi, cioè gli sponsor».

Secondo Jaksche, per questi ultimi il sistema non ha svantaggi. «Gli sponsor traggono enormi benefici commerciali dalla visibilità offerta da performance eccezionali. Nel caso di un doping accertato, si limitano a dichiarare il loro disappunto. Ottengono così altra pubblicità dimostrandosi assolutamente irreprensibili. Insomma, ci guadagnano comunque. Ecco perché il sistema non è mai cambiato». Jaksche oggi studia economia all'Università di Innsbruck, in Austria.

Questi studi lo hanno aiutato a capire meglio la sua esperienza nel ciclismo: «Sponsorizzando uno sport, come in qualsiasi altra sua attività, un'azienda punta al massimo ritorno sull'investimento. Nello sport, le vittorie forniscono quel ritorno. E il doping aumenta le probabilità di vittoria. Perciò, direttamente o indirettamente, il messaggio all'atleta è chiaro: vogliamo che tu vinca, e per vincere puoi fare quello che vuoi. Basta che non ti faccia beccare».

La squadra ciclistica a cui apparteneva Jaksche era sponsorizzata dal colosso delle telecomunicazioni tedesche Deutsche Telekom/T-Mobile. Nel 1997 l'allora leader del team, Jan Ullrich, divenne il primo tedesco a vincere il Tour de France. Meno di due anni dopo, il settimanale Der Spiegel pubblicò un'inchiesta in cui scrisse che Ullrich e il suo team avevano fatto uso sistematico di doping. «Avevamo appena finito il Tour di Germania e stavamo andando in auto verso la Svizzera per partecipare al Giro elvetico quando uscì il pezzo di Der Spiegel», ricorda Jaksche.

«Io ero in macchina con Ullrich e l'addetto stampa che Deutsche Telekom ci aveva dato, e ricordo che non dimostrò alcun interesse ad accertare se le accuse fossero vere o false. Né lui né altri fecero mai nulla per verificarle. Anzi, penso presupponessero fossero vere, perché le uniche contromisure che presero furono di assicurarsi che nessuno di noi dicesse niente di compromettente. Insomma, omertà a tutta birra. La ragione? Con il successo di Ullrich al Tour, a Deutsche Telekom un investimento relativamente piccolo aveva portato un enorme ritorno di marketing. Si era dimostrato un modello di business straordinario e non volevano cambiarlo. O peggio mandarlo a monte».

In seguito, lo stesso Jaksche risultò coinvolto in uno scandalo di doping e fu chiamato a testimoniare. Nella sua deposizione rivelò che il doping era prassi per il team: i ciclisti che volevano Epo, steroidi od ormoni della crescita non dovevano fare altro che rivolgersi ai medici della squadra. A suo dire lo stesso manager, Walter Godefroot, sapeva. Nessuno chiese a Jaksche se lo sponsor fosse informato o meno, ma la procura di Ansbach, in Baviera, aprì un procedimento contro di lui per frode.

E nel chiederne l'archiviazione, fu lo stesso procuratore a concludere che le parti in causa - il team e lo sponsor - non potevano non sapere del suo doping. Contattata dal Sole 24 Ore, Deutsche Telekom ha dichiarato di condannare l'uso di doping:"Per questo, nel 2007 abbiamo deciso di interrompere il nostro impegno nel ciclismo, essendoci resi conto come sponsor che il mondo del ciclismo non era in grado di far fronte a questo problema". Sull'utilizzo di sostanze dopanti nella sua stessa squadra, Deutsche Telekom ha poi detto di non "esserne mai venuta a conoscenza".

In Germania venne creata un'apposita commissione d'inchiesta per indagare sulla vicenda. Nel suo rapporto finale si legge che era stato impossibile determinare il grado di consapevolezza del management di Deutsche Telekom/T-Mobile, ma il gruppo viene comunque pesantemente criticato. "Allo sponsor non interessava avere una squadra senza doping... E il contratto di sponsorizzazione venne rescisso solo quando la squadra non sembrava più in grado di valorizzare l'immagine dell'azienda", si legge.

"Questo limite non fu raggiunto quando i due atleti di punta - Jan Ullrich e Oscar Sevilla - furono sospesi. Né quando fu sospeso anche Sergie Hinchar o quando Patrick Sinkewitz risultò positivo al test del sangue. Si è dovuto aspettare fino al 27 novembre 2007 perché Deutsche Telekom annunciasse la decisione del suo consiglio di amministrazione di rescindere la sponsorizzazione. Motivo: il gruppo, impegnato nel ciclismo dal 1991, aveva stabilito di investire i propri soldi altrove". Un rapporto della Bka, la polizia federale tedesca, datato 14 luglio 2008, offre maggiori dettagli.

Il documento cita il testo di un'email interna rinvenuta durante una perquisizione negli uffici di T-Mobile International che informava vari dirigenti di un colloquio avuto con gli avvocati di Ullrich. "Non sono stati sollevati elementi di potenziale minaccia, se non quello che Ian Ullrich possa esprimersi pubblicamente in merito all'assistenza medica e ai metodi di allenamento. Anche se lo stesso ha detto di non essere «uno che tradisce i propri compagni». Alla fine è stato convenuto di mantenere il silenzio".

La "valutazione conclusiva" del rapporto della Bka è netta: "Il potenziale di minaccia accennato nell'email in relazione a un'eventuale esternazione pubblica di Jan Ullrich in merito all'assistenza medica ed ai metodi di allenamento indica che se ne era già in precedenza parlato in maniera più dettagliata. In considerazione del fatto che tale circostanza viene considerata un elemento di minaccia si può ritenere che lo sponsor T -Mobile ... fosse informato delle pratiche di doping della squadra."

Più recentemente, il gruppo bancario olandese Rabobank è stato un altro importante sponsor a lasciare il ciclismo dopo quasi due decenni in cui i suoi corridori sono ripetutamente incappati in risultati positivi ai test anti-doping. Tra le testimonianze che la Usada ha reso pubbliche nell'ambito del caso Armstrong, c'è quella del ciclista americano Levi Leipheimer, medaglia di bronzo all'Olimpiade di Pechino.

Nella sua deposizione Leipheimer ammette di aver cominciato a usare l'Epo nel 1999, quando correva per il team Saturn. Ma parla anche degli anni successivi, quando correva per Rabobank: «Ho continuato a usare l'Epo con Rabobank nel 2002, 2003 e 2004, e fui assistito nel suo uso dal dottore della squadra. In Rabobank sapevo che anche un altro ciclista faceva uso di Epo, perché ne discutemmo ripetutamente».

Pochi giorni dopo la pubblicazione di quella testimonianza, Rabobank ha annunciato la propria decisione di ritirarsi dal ciclismo perché non "più convinta che il mondo del ciclismo professionistico possa garantire uno sport pulito e onesto". Raymond Kerckhoffs, giornalista olandese che per anni ha seguito il team Rabobank, commenta così la decisione: «Nel corso di 17 anni di sponsorizzazione, Rabobank ha ripetutamente visto propri corridori accusati di doping e ripetutamente è stata incapace di fare pulizia nel proprio team. La sua decisione di lasciare il ciclismo professionistico a me sembra adesso un'ammissione indiretta di questa incapacità».

La storia del doping dei ciclisti della Rabobank è effettivamente lunga. E lo stesso ex direttore sportivo Theo de Rooij ha recentemente ammesso a un giornale olandese che i suoi corridori erano liberi di gestire da soli «le proprie cure mediche» e di «decidere cosa e quanto fare». Negli anni in cui de Rooij è stato manager, ben quattro corridori di Rabobank - Thomas Dekker, Denis Menchov, Michael Rasmussen e Michael Boogerd - sono stati coinvolti in inchieste sul doping (anche se tutti hanno sempre smentito di aver fatto uso di sostanze illegali).

Rabobank ha sempre detto che le cose sono cambiate con l'uscita di de Rooij nell'estate 2007, quando al posto di un manager con esperienza ciclistica la banca decise di mettere a capo della squadra uno dei suoi banchieri di fiducia, Harold Knebel. Ma nel dicembre 2007, Dekker è stato trovato con valori ematici anomali mentre Menchov si allenava con l'ausilio del dottor Ferrari. Nel settembre 2010, lo stesso Menchov è stato poi intercettato dai Nas di Firenze mentre parlava con il suo manager del fatto che i suoi compagni di squadra avrebbero dovuto far ricorso al dottor Ferrari. E infine, nel dicembre scorso, l'Unione ciclistica internazionale ha ufficialmente aperto un fascicolo per doping contro Carlos Barredo, anche lui di Rabobank.

«Nel corso del tempo, un numero molto ridotto di corridori Rabobank è stato colto a fare uso di sostanze dopanti e la maggior parte dei casi si è concluso senza rinvio a giudizio o condanna», ci ha risposto la banca. «Nella mia intera carriera non è mai capitato che uno sponsor mi abbia fatto domande sul doping - dice Jaksche -. Sono solo bravi a proteggere i propri interessi». Questo avviene innanzitutto attraverso le clausole contrattuali. Il Sole 24 Ore ha saputo da ciclisti di Rabobank che i loro contratti avevano delle clausole che obbligavano l'atleta alla riservatezza non solo per il periodo di impiego con il team ma anche dopo. In eterno.

Particolarmente ambigua è l'appendice di un contratto che ci è stato letto. "Il sottoscritto è consapevole del fatto che Rabobank condanna e proibisce l'uso di sostanze dopanti", c'è scritto. Ma poi si continua dicendo che "se nel periodo di impiego l'atleta dovesse risultare positivo in un test, il datore di lavoro fornirà il massimo dell'assistenza, sia legale che tecnica". I paragrafi finali sono ancor più emblematici. Quelli da cui risulta chiaro che, in caso di doping, la priorità della banca sarebbe stata di proteggere la propria reputazione assicurandosi che nessuno parlasse.

"Il sottoscritto riconosce che l'uso di sostanze dopanti... potrebbe avere serie conseguenze finanziarie sul datore di lavoro, la questione di una potenziale complicità è estremamente delicata per tutti e deve essere trattata con il massimo della cautela... Il suddetto obbligo di riservatezza riguarda esplicitamente qualsiasi dettaglio relativo a eventuali episodi di doping, sui quali il sottoscritto non farà mai alcuna dichiarazione senza il consenso esplicito del datore di lavoro... L'obbligo di riservatezza include esplicitamente anche questa clausola". A questo proposito Rabobank ci ha spiegato che «le clausole di riservatezza servono a prevenire segreti aziendali».

E ha aggiunto che «esse non impediscono agli atleti di comunicare con organi che indagano sul doping». «Non so quanto sapessero del doping nella nostra squadra i vertici della banca», commenta un suo ex corridore che chiede l'anonimato. «So però che uno sponsor preferirebbe non sapere mai. Perché vuole essere in grado di esprimere il proprio shock nel caso vengano alla luce attività illegali». Con tali manifestazioni di disgusto per il doping e la disonestà nello sport Deutsche Telekom e Rabobank hanno lasciato il ciclismo, Nike ha rotto con Armstrong e Ferrero con Schwazer. Ma altri sponsor sono sicuramente pronti a prendere il loro posto con nuovi atleti. Non hanno niente da perdere. Almeno fin quando non cambieranno le cose.

 

le vittorie di lance armstrong Lance Armstrong LANCE ARMSTRONG SETTE VITTORIE AL TOUR LANCE ARMSTRONG DA OPRAH WINFREY LANCE ARMSTRONG CON SPONSOR US POSTAL SERVICE jpegLANCE ARMSTRONG CON IL LOGO DELLE POSTE AMERICANE COME SPONSOR ALEX SCHWAZER SPONSOR KINDER FERRERO ALEX SCHWAZER SPONSOR FERRERO PIETRO FERREROPIETRO FERRERO IN BICIRabobankJan Ullrich SPONSOR DEUTSCHE TELEKOMRadobank sponsor - bicicletteDeutsche Telekom Matthias Kessler

Ultimi Dagoreport

moravia mussolini

‘’CARO DUCE TI SCRIVO...’’, FIRMATO ALBERTO MORAVIA - “AMMIRO L'OPERA DEL REGIME IN TUTTI I VARI CAMPI IN CUI SI È ESPLICATA E IN PARTICOLARE IN QUELLO DELLA CULTURA. DEBBO SOGGIUNGERE CHE LA PERSONALITÀ INTELLETTUALE E MORALE DELLA ECCELLENZA VOSTRA, MI HA SEMPRE SINGOLARMENTE COLPITO PER IL FATTO DI AVERE NEL GIRO DI POCHI ANNI SAPUTO TRASFORMARE E IMPRONTARE DI SÉ LA VITA DEL POPOLO ITALIANO” (1938) - LE 998 PAGINE DEI “TACCUINI” DI LEONETTA CECCHI PIERACCINI SONO UNA PREZIOSISSIMA MEMORIA, PRIVA DI MORALISMO E DI SENTIMENTALISMO, PER FICCARE IL NASO NEL COSTUME DELL’ITALIA LETTERARIA E ARTISTICA FINITA SOTTO IL TALLONE DELLA DITTATURA FASCISTA - DAL DIARIO DI LEONETTA PIERACCINI, SPICCANO LA VITA E LE OPERE E LA SERVILE E UMILIANTE LETTERA A MUSSOLINI DEL “SEMI-EBREO” ALBERTO PINCHERLE, IN ARTE MORAVIA – ALTRA NOTA: “SIMPATIA DI MORAVIA PER HITLER. EGLI DICE CHE DEGLI UOMINI POLITICI DEL MOMENTO È QUELLO CHE PIÙ GLI PIACE PERCHÉ GLI PARE NON SIA MOSSO DA AMBIZIONE PERSONALE PER QUELLO CHE FA...”

leonardo maria del vecchio - gabriele benedetto - andrea riffeser monti - marco talarico - luigi giacomo mascellaro

DAGOREPORT - ELKANN NON FA IN TEMPO A USCIRE DALLA SCENA CHE, ZAC!, ENTRA DEL VECCHIO JR: DAVVERO, NON SI PUÒ MAI STARE TRANQUILLI IN QUESTO DISGRAZIATO PAESE - GIÀ L’ACQUISIZIONE DEL 30% DE ‘’IL GIORNALE’’ DA PARTE DEL VIVACISSIMO LEONARDINO DEL VECCHIO, ANTICIPATA IERI DA DAGOSPIA, HA SUSCITATO “OH” DI SORPRESA. BUM! BUM! STAMATTINA SONO SALTATI I BULBI OCULARI DELLA FINANZA E DELLA POLITICA ALL’ANNUNCIO DELL'EREDE DELL VECCHIO DI VOLER ACQUISIRE IL TERZO POLO ITALIANO DELL’INFORMAZIONE, IN MANO ALLA FAMIGLIA RIFFESER MONTI: “LA NAZIONE” (FIRENZE), “IL RESTO DEL CARLINO” (BOLOGNA) E “IL GIORNO” (MILANO) - IN POCHI ANNI DI ATTIVITÀ, LMDV DI DEL VECCHIO HA INVESTITO OLTRE 250 MILIONI IN PIÙ DI 40 OPERAZIONI, SOSTENUTE DA UN FINANZIAMENTO DI 350 MILIONI DA INDOSUEZ (GRUPPO CRÉDIT AGRICOLE) - LA LINEA POLITICA CHE FRULLA NELLA TESTA TRICOLOGICAMENTE FOLTA DELL'INDIAVOLATO LMDV, A QUANTO PARE, NON ESISTE - DEL RESTO, TRA I NUOVI IMPRENDITORI SI ASSISTE A UN RITORNO AD ALTO POTENZIALE ALLO "SPIRITO ANIMALE DEL CAPITALISMO", DOVE IL BUSINESS, ANCHE IL PIU' IRRAZIONALE, OCCUPA IL PRIMO POSTO E LA POLITICA E' SOLO UN DINOSAURO DI BUROCRAZIA…

roberto occhiuto corrente sandokan antonio tajani pier silvio e marina berlusconi 2025occhiuto roscioli

CAFONAL! FORZA ITALIA ''IN LIBERTÀ'' - DALLA CALABRIA, PASSANDO PER ARCORE, ARRIVA LO SFRATTO DEFINITIVO A TAJANI DA ROBERTO OCCHIUTO: “SONO PRONTO A GUIDARE IL PARTITO FONDATO DA SILVIO BERLUSCONI’’ - PARLA IL GOVERNATORE DELLA CALABRIA E, A PARTE L'ACCENTO CALABRO-LESO, SEMBRA DI SENTIRE MARINA & PIER SILVIO: “BASTA GALLEGGIARE INTORNO ALL'8%. MELONI NON È SUFFICIENTE AL CENTRODESTRA. BISOGNA RAFFORZARE L'ALA LIBERALE DELLA COALIZIONE" - A FAR TRABOCCARE LA PAZIENZA DELLA FAMIGLIA BERLUSCONI È STATA LA PROSPETTIVA DI UN CONGRESSO NAZIONALE CHE AVREBBE DATO A TAJANI, GASPARRI E BARELLI IL POTERE DI COMPORRE LE LISTE PER LE POLITICHE NEL 2027. A SPAZZARE VIA LE VELLEITÀ DEI TAJANEI, È ARRIVATA DA MILANO LA MINACCIA DI TOGLIERE DAL SIMBOLO DEL PARTITO IL NOME "BERLUSCONI", CHE VALE OLTRE LA METÀ DELL'8% DI FORZA ITALIA - DA LOTITO A RONZULLI, DALL’EX MELONIANO MANLIO MESSINA A NICOLA PORRO: NELLA NUTRITA TRUPPA CHE SI È PRESENTATA AL CONVEGNO DI OCCHIUTO, SPICCAVA FABIO ROSCIOLI, TESORIERE DI FORZA ITALIA ED EMISSARIO (E LEGALE PERSONALE) DI MARINA E PIER SILVIO...

amadeus programmi sul nove like a star chissa chi e la corrida tha cage sukuzi music party

DAGOREPORT: AMADEUS TORNA IN RAI - IL RITORNO A VIALE MAZZINI POTREBBE MATERIALIZZARSI GRAZIE ALLO ZAMPONE DI FIORELLO, CHE NON VEDE L'ORA DI RITROVARE LA SUA "SPALLA" - CON "AMA" AL SUO FIANCO, L'EX ANIMATORE DEI VILLAGGI TURISTICI POTREBBE RINGALLUZZIRSI AL PUNTO DA AFFIANCARLO AL FESTIVALONE DI SANREMO 2027 - L'USCITA DI AMADEUS NON SAREBBE OSTACOLATA DA "NOVE" DI DISCOVERY, ANZI: I DIRIGENTI DELL’EMITTENTE AMERICANA NON VEDONO L’ORA DI RECEDERE DALL’ONEROSISSIMO CONTRATTO QUADRIENNALE CON L’EX DISC JOCKEY - SECONDO GLI “ADDETTI AI LIVORI”, LA CATENA DI FLOP INANELLATA DA "AMA" SUL "NOVE" HA PESATO SUL BILANCIO DI DISCOVERY: PER PUBBLICITÀ INCASSATA E RIMBORSATA PER MANCATO RAGGIUNGIMENTO DELLO SHARE STABILITO NEI CONTRATTI, SI PARLA DI UNA SOMMETTA INTORNO AI 15 MILIONI - A DIFFERENZA DI CROZZA E FAZIO, PERSONAGGI-FORMAT, AMADEUS SENZA UN PROGRAMMA FORTE E LA GIUSTA CORNICE DI UNA EMITTENTE GENERALISTA PRIMARIA COME RAI1, È DESTINATO A SCOMPARIRE NEL MUCCHIO…

giorgia e arianna meloni come le gemelle di shining - fotomontaggio del fatto quotidiano

DAGOREPORT – VI RICORDATE QUANDO GIORGIA MELONI DEFINIVA LA SORELLA ARIANNA UNA “PRIVATA CITTADINA SENZA INCARICHI”? DIMENTICATELO: È IN CORSO UN TENTATIVO DI TRASFORMARE LA PRIMOGENITA DI ANNA PARATORE IN UNA POLITICA NAVIGATA. ECCO COME NASCE L’IMBARAZZANTE NTERVISTA RILASCIATA OGGI DALL'EX MOGLIE DI FRANCESCO LOLLOBRIGIDA AL “CORRIERE DELLA SERA”, IN CUI ARIANNA RICORDA QUANDO “GUIDAVA IL CAMION NEI VICOLI DI ROMA” PER IL PARTITO, E RIVENDICA: “DA 30 ANNI SIAMO IN POLITICA” – LA FIAMMA MAGICA VUOLE TOGLIERLE L’ETICHETTA DI “SORELLA D’ITALIA”. IL GUAIO È CHE ‘GNA FA: L’UNICO PREGIO CHE ANCHE I COLLEGHI DI PARTITO LE RICONOSCONO È… LA SOMIGLIANZA ALLA SORELLA

del vecchio la stampa angelucci elkann

DAGOREPORT - NON SI STA MAI TRANQUILLI: AL RISIKO FINANZIARIO (MPS-MEDIOBANCA) FINITO TRA LE CARTE DELLA PROCURA DI MILANO, ORA SI AGGIUNGE IL RISIKO EDITORIALE: LA VENDITA DI ‘’’REPUBBLICA’’ E ‘’STAMPA’’ AL GRECO KYRIAKOU DIVENTA, GIORNO DOPO GIORNO, UN BORDELLO DI VOCI E RUMORS - C’È CHI ASSICURA CHE LO SBARCO DEL GRECO NON VADA ASSOLUTAMENTE A GENIO AL BOSS DELL’IMPERO MEDIASET, PIER SILVIO BERLUSCONI – CHI SPIFFERA DI UN PRESUNTO INTERESSAMENTO DELLA FAMIGLIA ANGELUCCI, EDITORE DE “IL GIORNALE” E DI “LIBERO”, ALL’ACQUISIZIONE DEL QUOTIDIANO “LA STAMPA”, CHE ELKANN HA MESSO IN VENDITA PER LA SOMMETTA DI 65 MILIONI DI EURO, CHE NON RIENTREREBBE NEL PERIMETRO DEL GRECO CON L’ANTENNA. MA PER IL BOSS DELLA SANITÀ CARO AL GOVERNO L’UNICO MODO DI COMPRARI ''LA STAMPA'' È ALL’EDICOLA: ELKANN NON GLIELO VENDERÀ MAI - A PROPOSITO DI EDITORIA COME ULTIMA UMANA VOLUTTÀ, SI VOCIFERA CHE LEONARDINO DEL VECCHIO VOGLIA COMPRARSI NIENTEMENO CHE “IL FATTO QUOTIDIANO” (DAVVERO URGE LA RIAPERTURA DEI MANICOMI…)