erdogan trump

ANKARA TU - MENTRE LA LIRA TURCA BRUCIA, TRUMP PROMETTE DI RADDOPPIARE I DAZI, ERDOGAN PRIMA INVOCA L'INTERVENTO DI ALLAH, POI CHIAMA PUTIN - PURE IL DEMOCRATICO BERNARD-HENRI LEVY BUTTA LA TURCHIA GIÙ DALLA TORRE: ''NON PUÒ STARE NELLA NATO. NON POSSIAMO CONDIVIDERE I NOSTRI SEGRETI MILITARI CON ERDOGAN''. ALTRO CHE INGRESSO IN EUROPA...

 

 

1. CROLLA LA LIRA, TRUMP SFIDA ERDOGAN "RADDOPPIO I DAZI ALLA TURCHIA"

Francesco Semprini per ''La Stampa''

 

Tensioni politiche e fragilità economica, sanzioni finanziarie e manovre valutarie, minacce e ritorsioni.

ERDOGAN TRUMP

È su un doppio binario che corre l' ultima crisi sintomo di un globalismo che si rivela oggi più che mai fragile e disomogeneo. Una crisi che parte dai Paesi emergenti, Turchia e Russia in testa, accomunate non solo da profonde criticità strutturali, ma dal fatto di essere bersaglio di sanzioni da parte degli Stati Uniti.

 

E così la lira turca crolla sul timore degli investitori nella capacità di Ankara di far fronte ai propri debiti, trascinando con se le valute di altri Paesi emergenti, assestando un colpo alle banche europee e facendo balzare il dollaro ai massimi da un anno.

 

«Rapporti non buoni»

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato l' annuncio di Donald Trump: «Ho appena autorizzato un raddoppio dei dazi sull' acciaio e l' alluminio della Turchia in quanto la loro valuta, la lira turca, è in rapido calo nei confronti di un dollaro molto forte. I dazi sull' alluminio saranno ora al 20% e quelli sull' acciaio al 50%. I nostri rapporti con la Turchia non sono buoni al momento».

 

È il corollario delle misure restrittive prese dall' amministrazione americana dinanzi al mancato rilascio del pastore evangelico Andrew Brunson, arrestato nel 2016 per complotto e spionaggio nell' ambito delle grandi purghe ordinate da Recep Tayyip Erdoan in seguito al fallito colpo di stato. Ecco allora che ieri la lira è scesa del 16% a 6,6 contro il dollaro, per un totale del 45% su base annuale, il secondo peggior ribasso registrato da una valuta del G20.

 

putin erdogan rouhani

In una sola settimana la divisa nazionale si è deprezzata ben oltre il 20% rispetto a quella statunitense, e i rendimenti decennali dei titoli di Stato sono balzati al 20%. La Borsa di Istanbul è riuscita a fermare l' emorragia chiudendo in perdita del 2,3%, dopo essere scesa dell' 8,8%.

 

Le altre misure

 Occorre dire che su Ankara pesano anche le sanzioni a Teheran visto che la Turchia dipende dall' Iran per il 50% del fabbisogno di petrolio e per il 17% di gas naturale. Dinanzi alla spirale ribassista Erdogan invita alla calma e minaccia rappresaglie: «Se avete euro, dollari e oro sotto il cuscino, andate in banca e cambiateli in lire turche. Questa è una lotta nazionale».

 

Intanto però il presidente corre ai ripari affidando al ministro delle Finanze Herat Albayrak, suo genero, un nuovo piano economico per evitare l' emorragia di capitali. Come quella generata dallo smobilizzo di attività e riserve denominate in lira turca da parte degli istituti di credito europei, con le banche italiane esposte per quasi 15 miliardi di euro (16 se si includono le garanzie), e un interscambio totale che sfiora i 20 miliardi di euro. Così Piazza Affari perde il 2,51%, maglia nera dei listini europei tutti in profondo rosso, mentre Wall Street non può che limitare le perdite.

putin erdogan

 

L' amico Vladimir

A pesare è anche il rublo sotto assedio per le nuove sanzioni americane per l' uso dell' agente nervino «Novichok» nel tentativo di assassinare i cittadini inglesi Sergei Skripal e sua figlia. Erdogan chiama Vladimir Putin per serrare le file «felicitandosi» del fatto che i legami economici e finanziari progrediscano in modo «positivo» e della duratura cooperazione nell' industria militare e nell' energia.

 

Per gli analisti una soluzione dovrebbe avvenire attraverso i rialzi dei tassi da parte delle banca centrale turca, la richiesta di aiuto al Fmi, oltre ad un drastico cambiamento di politica economica. In ballo non c' è solo il futuro di Ankara, ma il rischio di contagio su altri mercati emergenti come dimostra il peso argentino che affonda nei confronti del dollaro, arrivando a perdere il 3,17% sulla scia dei timori di contagio dalla crisi delle lira turca.

 

Le economie più fragili

PUTIN ERDOGAN

Era da tempo che gli osservatori dispensavano moniti sulla fragilità dell' economie emergenti, acuita dal rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve che rende i debiti in dollari più costosi da ripagare. Ora però si rischia di entrare nella seconda fase della crisi, laddove le fragilità interne possono trasformarsi in fattori endemici globali.

 

                           

2. ECCO PERCHÉ BISOGNA ESCLUDERE LA TURCHIA DALLA NATO

Bernard-Henri Lévy per ''La Stampa''

Traduzione di Leonardo Martinelli

 

 

Le relazioni degli Stati Uniti con la Turchia attraversano la crisi più grave della loro storia. Erdogan reclama a Trump la testa di Fethullah Gülen, il suo nemico giurato, che vive negli Stati Uniti e che considera responsabile del colpo di Stato del luglio 2016.

Trump, da parte sua, pretende la liberazione di un pastore evangelico, Andrew Brunson, incarcerato sotto il fallace pretesto di essere stato, anche lui, immischiato nel colpo di Stato.

erdogan lira turca

 

Il presidente Usa agita l' arma di sanzioni economiche come quelle già prese, a partire dalla guerra in Ucraina, contro gli oligarchi russi. Il leader turco risponde evocando il sequestro dei beni in Turchia, ovviamente inesistenti, di due membri eminenti dell' amministrazione americana.

 

Gli animi si surriscaldano, piovono le accuse più strambe, circolano insulti. E si assiste, in effetti, a un combattimento di galli senza precedenti fra i presidenti di due Paesi membri della Nato.

 

Le condizioni dell' economia turca, la sua dipendenza nei confronti degli investimenti stranieri, il crollo della sua moneta nazionale lasciano presupporre che Erdogan cercherà, presto o tardi, i mezzi per rompere quest' ingranaggio e salvare la faccia.

 

E forse, quando questi elementi emergeranno, i due bulli, drogati al testosterone e che spesso hanno esagerato, nel passato, la loro fraternità di «uomini forti», attaccati alla «difesa del proprio Paese» e che riconoscono nell'«America First» l' uno e nella «Nuova Turchia» l' altro le due figure avverse ma gemelle di uno stesso populismo, metteranno in scena una riconciliazione spettacolare tipo quella con Kim Jong-un.

GULEN

 

Resta che questo psicodramma avrà rivelato un malessere più profondo e del quale era ora che prendessimo collettivamente coscienza.

Bisogna ricordarsi che al momento in cui la guerra contro l' islamismo radicale diventava la priorità assoluta delle democrazie, la Turchia e i suoi servizi facevano a dir poco il doppio gioco: ne è stata testimone, nel gennaio 2014, qualche mese prima della battaglia di Kobane, la fornitura d' armi, debitamente documentata dalla stampa, a gruppi vicini ad Al-Qaeda e poi all' Isis.

 

Bisogna ricordarsi, quattro anni più tardi, nel Nord-Est della Siria, di quell' offensiva secondo le regole condotta dagli aerei e dall' artiglieria turchi contro l' enclave curda di Afrin, che era, come quella di Manbij, vicino ad Aleppo, sotto la protezione occidentale: l' America ha lasciato fare.

GULEN

 

Ha accettato di veder sacrificati i suoi più solidi e valorosi alleati nella regione. E ha scelto questo momento per annunciare il ritiro delle proprie truppe.

Bisogna sapere che Erdogan, fra queste due date, come per meglio indicare dove lo stesse ormai portando il suo sogno neo-ottomano, non ha cessato di mostrarsi, ora con Putin, ora con Rohani, perfino con i due, come nell' aprile 2018, ad Ankara: questa foto di famiglia, all' apertura di un vertice in cui si andava a discutere di un piano d' abbordaggio definitivo della sfortunata Siria, era come uno sputo in faccia a tutti gli amici della democrazia e del diritto.

 

Ancora bisogna sapere che le relazioni con Putin non si limitano ahimè solo a queste apparizioni simboliche, perché il novello sultano, che aveva già ottenuto dal Cremlino la tecnologia nucleare per permettergli di produrre molto rapidamente il 10% del fabbisogno energetico del suo Paese, ha deciso di acquistare a Mosca delle batterie di difesa antiaerea S-400. Gli esperti sanno che potrebbero porre dei problemi di compatibilità con i sistemi militari della Nato. Gli Stati Uniti l' hanno ricordato. Hanno fatto sapere che questa provocazione comprometterebbe la consegna dei caccia F-35 promessi dal Pentagono. Ma Erdogan si è intestardito.

GOLPE FALLITO IN TURCHIA

 

Ed evoco giusto per la memoria il fatto che, la settimana scorsa, a Johannesburg, si è tenuto il decimo summit dei Brics, dove lo stesso Erdogan ha avuto il singolare privilegio di essere ricevuto come «invitato d' onore» e dove ha preso in considerazione, molto ufficialmente, un ravvicinamento strategico con la Cina di Xi Jinping e, ancora una volta, con la Russia di Putin.

 

Ho annunciato, in «L' impero e i cinque re» («L' empire et le cinq rois», Grasset), questa lenta deriva del Paese di Mustafa Kemal. Ho descritto il sistema di affinità di questi leader illiberali, che sognano di ricostituire uno il Califfato; l' altro la Cina degli Han, dei Ming e dei Qing; l' altro, l' impero eurasiatico; l' altro ancora, il regno dei sovrani achemenidi e persi. E lui, dunque, Erdogan, l' antico impero del Turan.

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Ebbene, ci siamo arrivati.

 

Forse questo processo di ricomposizione geostrategica sta arrivando al termine. In quel caso bisognerà porsi, in modo calmo ma inevitabile, la questione delle nostre relazioni con un grande Paese, ricco di una grande civiltà, ma che non sarà più un nostro amico, né un nostro alleato.

 

Un tempo ci si interrogava sull' opportunità di far entrare o meno la Turchia in Europa.

Ma quel giorno il nuovo problema da porsi sarà se non diventi opportuno di farla uscire dalla Nato.

 

Si può, con una capitale che sta stringendo dei partenariati strategici, che la ravvicinano a potenze che sono tra le più ostili, condividere i segreti militari da cui dipende la nostra sicurezza collettiva? Si può a proposito di un responsabile che si sta opponendo a noi sulla maggior parte dei fronti, in cui si gioca l' avvenire della democrazia come regime e civiltà, continuare a dire, come Trump l' ha fatto, l' 11 luglio, un mese dopo la famosa foto scattata al G7 e dove lo si vedeva, seduto, tenere testa alla signora Merkel e agli altri europei: «Solo Erdogan fa bene il suo lavoro»?

ERDOGAN MERKEL

 

La crisi va oltre, di gran lunga, le querelle di ego tra falsi duri che si aggrediscono a colpi di mento. È venuto il momento di esigere, ben al di là della liberazione di un pastore evangelico preso in ostaggio, l' esclusione della Turchia dall' Organizzazione del Trattato dell' Atlantico del Nord.

 

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