
LA DIPLOMAZIA MUSCOLARE DI TRUMP HA PORTATO SOLO A UNA FRAGILE TREGUA – L’AMBASCIATORE STEFANINI: “IL CESSATE IL FUOCO TRA IRAN E ISRAELE RIMANE APPESO A UN FILO FINO A CHE NON SIA CONCORDATO DALLE PARTI, OLTRE CHE IMPOSTA DAGLI USA. TRUMP HA MESSO IN ATTO IL PARADIGMA DI ‘PACE CON LA FORZA’ AL QUALE ISPIRA LA SUA POLITICA ESTERA. MA UNA VERA PACE È LONTANISSIMA” – “IL VERO PERDENTE È L’AYATOLLAH KHAMENEI, CHE VEDE SE NON INDEBOLITA QUANTO MENO SCOSSA LA SUA AUTORITÀ. E NEL MOMENTO IN CUI I NEGOZIATORI DI TEHERAN SI SIEDERANNO NUOVAMENTE AL TAVOLO SUL NUCLEARE TROVERANNO L'ASTICELLA DEL NEGOZIATO ALQUANTO PIÙ ALTA…"
Estratto dell’articolo di Stefano Stefanini per “La Stampa”
donald trump al vertice nato - foto lapresse
Dichiarata a sorpresa da Donald Trump, non dalle parti – sorprese anche loro? – la tregua fra Israele e Iran è stata in bilico. Se scapola la nottata senza missili, oggi sapremo che Teheran e Gerusalemme acconsentono a far tacere le armi, almeno temporaneamente. E che Netanyahu e Khamenei non si mettono di traverso alla diplomazia muscolare che viene dalla Casa Bianca.
Ieri le sorti della guerra in Medio Oriente sembravano ruotare esclusivamente sul Presidente americano. Prima ha dichiarato che il cessate il fuoco entrava in vigore. Poche ore dopo, quando è apparso reciprocamente violato, ha duramente criticato entrambi scagliandosi soprattutto contro Gerusalemme per aver lanciato missili «non appena fatto l'accordo».
donald trump benjamin netanyahu foto lapresse1
In volo per il vertice Nato dell'Aja, ha ammonito Benjamin Netanyahu a non farlo più – sarebbe una «grave violazione». Poi si è di nuovo rallegrato con le due parti per essere tornate alla tregua.
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La tregua rimane appesa a un filo fino a che non sia concordata dalle parti oltre che imposta dagli Stati Uniti. Non c'è bisogno che iraniani e israeliani si siedano allo stesso tavolo – cosa che rifiuterebbero di fare. Le trattative si fanno anche indirettamente Ma un cessate il fuoco presuppone qualche impegno reciproco a cosa fare e cosa non fare. Per ora c'è solo una cessazione delle ostilità dichiarata da Trump e funzionante fino a che Israele e Iran vi si attengono. Il che non toglie nulla ai meriti del Presidente americano per avercele condotte.
Per calcolo, istinto o diplomazia? Conta il risultato. In quarantott'ore Donald Trump ha messo fine alla guerra fra Israele e Iran, oltre che allo scontro militare fra Usa e Iran, brevissimo ma con un bersaglio cruciale centrato da parte americana. Non parliamo di pace, ancora lontanissima.
A Teheran risuona ancora il «morte al nemico sionista» mentre, per i mezzi d'informazione di Stato, l'Iran «ha imposto un cessate il fuoco» a Israele con l'attacco (andato a vuoto) alla base americana di Al Udeid in Qatar. Che, invece, salvando la faccia alla Repubblica Islamica senza torcere un capello americano, ha aperto la feritoia di opportunità per arrestare la guerra.
il discorso di ali khamenei dal bunker
Teheran vi ha trovato appiglio per mettere fine al disastro bellico cui stava inesorabilmente andando incontro; Trump che non voleva questa guerra, vi è stato trascinato dalle manovre di Benjamin Netanyahu, e una volta cominciata la voleva il più corto possibile, vi si è immediatamente precipitato.
Calcolo, dunque, nel colpire duramente il cuore del programma nucleare iraniano par tarpargli pesantemente le ali; istinto nell'intuire che Teheran, una volta colpita, si sarebbe piegata ad un forzato ritorno al negoziato, pur da una posizione di debolezza; diplomazia, perché dietro la facciata delle dichiarazioni e prese di posizioni pubbliche, dove il regime iraniano faceva sfoggio di intransigenza, i canali di comunicazione sono sempre rimasti aperti, come riconosciuto dallo stesso Ministro degli Esteri, Abbas Araghchi.
base di tabriz dopo l attacco israeliano
Donald Trump ha messo in atto con successo il paradigma di «pace con la forza» al quale ispira la sua politica estera. Riguardo all'Iran, questo è però solo il primo passo di un percorso complesso. Innanzitutto, occorre che la tregua, fragile, si consolidi. […]
Netanyahu, che ha iniziato la guerra, incassa il pesante danneggiamento degli impianti nucleari iraniani, specie dopo il bombardamento americano su Fordow, Natanz e Isfahan con i GBU-57 anti-bunker. Non saranno stati obliterati, ma certo fortemente degradati.
Il Premier israeliano può accontentarsi. Se tira troppo la corda del sostegno americano, la spezza, anche con un Donald Trump che, pur tonitruante a parole, lo ha finora seguito nei fatti e gli lascia carta bianca su altri terreni – tragicamente a Gaza.
Il secondo stadio passa attraverso la ripresa dei negoziati con Teheran sul programma nucleare iraniano – o quello che ne resta. L'Iran ha sempre strenuamente difeso il «diritto» all'arricchimento dell'uranio. Il momento in cui i negoziatori di Teheran si siederanno nuovamente al tavolo – ammesso uno scenario di continuità di regime sul loro versante, che vede se non indebolita quanto meno scossa l'autorità dell'86enne Guida Suprema, Ali Khamenei – troveranno l'asticella del negoziato alquanto più alta.
Se l'Iran vuole usare l'uranio per l'energia nucleare a fini pacifici non gli serve arricchirlo oltre il 3.67%. […]
donald trump benjamin netanyahu foto lapresse5
La rinuncia di Teheran alle ambizioni nucleari è un calice amaro, ma era nell'aria da tempo. Fiaccato militarmente, diminuito regionalmente, isolato internazionalmente – in questa crisi Teheran si è trovata con amici solo a parole, anche quelle in cirillico – l'Iran si siede al tavolo con una mano debole. Il regime è alle prese con un'economia singhiozzante e una popolazione tanto giovane quanto insoddisfatta e insofferente.
Il "regime change" non è nell'agenda né di Donald Trump né di Benjamin Netanyahu, entrambi vincitori di questa partita. Ma lo è in quella di decine di milioni di iraniani. Da loro si deve guardare il perdente, Ali Khamenei.
attacchi iran contro israele
LANCIO DI MISSILI IRANIANI VISTO DA UN AEREO
ali khamenei