FELTRI “SCAGIONA” IL SUO SILVIO: “A MEDIASET BERLUSCONI NON AVEVA ALCUN PESO”

Vittorio Feltri per "il Giornale"

Parte dell'opinione pubblica è convinta che la sorte di Silvio Berlusconi sia segnata: la condanna definitiva in effetti è nell'aria. Ne parlano in parecchi come se fosse già stata scritta la sentenza. Alcuni giornali disinvolti non hanno difficoltà a usare un linguaggio crudo e offensivo. Anche ieri ho letto un articolo in cui il nome del Cavaliere era accostato a un sostantivo da brivido: delinquente. Evidentemente l'autore del testo non ha dubbi sull'orientamento della Cassazione. Ma secondo me sbaglia.

I giudici del terzo grado di giudizio spesso riservano delle sorprese, e sono persuaso che anche stavolta saranno in grado di deludere coloro i quali vivono da anni con la voglia ossessiva di assistere all'arresto (e alla scomparsa dalla scena politica) del fondatore di Forza Italia e del Pdl. Non dico questo per il piacere di andare controcorrente, ma in base a un ragionamento logico presumibilmente identico a quello che farà il difensore dell'imputato, l'avvocato Franco Coppi.

Cerco di esporlo con semplicità, scusandomi in anticipo se il mio lessico non è ortodosso sotto il profilo giuridico. Berlusconi, si sa, è accusato di frode fiscale. Quale grande azionista di Mediaset, egli avrebbe autorizzato o addirittura promosso una azione truffaldina dell'azienda allo scopo di costituire fondi neri per 5 o 6 milioni di euro. Fondi neri che in verità fanno sempre comodo a qualunque imprenditore, perché il denaro contante non contabilizzato consente di eseguire operazioni all'insaputa dei soci.

Molte imprese vi hanno fatto ricorso in passato, ad esempio per pagare tangenti ai partiti politici. Non mi sorprenderebbe se tra queste ci fosse anche Mediaset. Nell'eventualità, quale responsabilità potrebbe avere in proposito Silvio Berlusconi, dato che il reato sarebbe stato commesso nel 2002-2003, cioè quando egli si dedicava da un paio di lustri alla politica e non aveva alcun ruolo nella società?

Conviene ricordare che il Cavaliere, avendo vinto le elezioni nel 2001, all'epoca dei fatti delittuosi era presidente del Consiglio, si occupava (bene o male) del governo del Paese e non di Mediaset, come d'altronde risulta da qualsiasi documento. Egli non era né presidente né amministratore delegato del Biscione. Non era lui il capo delle emittenti televisive né avrebbe avuto la facoltà di metterci becco. Altre erano le persone incaricate formalmente e sostanzialmente di controllare che nelle aziende tutto si svolgesse regolarmente, ovvero senza violazioni della legge.

È noto che la responsabilità penale è personale. Se il Cavaliere era impegnato nella sua veste di premier, contestualmente non poteva stare al timone di Mediaset. I magistrati invece pensano il contrario: stando a loro, Berlusconi aveva i piedi a Palazzo Chigi e la testa a Milano 2. In pratica, essi affermano che lui, per quanto immerso nella politica, e preso da compiti istituzionali, sovrintendesse anche all'impresa televisiva. Il che non è provato, oltre che altamente improbabile. Lo dico con cognizione di causa.

Nel 2001, pochi mesi prima delle consultazioni per il rinnovo del Parlamento, ricevetti una telefonata. Era il leader di Forza Italia. Mi propose di condurre un programma su Canale 5 simile a quello di Enzo Biagi, Il Fatto, trasmesso ogni sera su Raiuno dopo il tg. Inutile precisare che l'idea mi allettasse.

Cosicché approfondimmo il discorso. L'accordo era che l'indomani avrei incontrato Fedele Confalonieri con il quale avrei perfezionato il progetto. L'appuntamento venne fissato al ristorante Savini, in Galleria a Milano, ore 13, dove mi presentai eccitatissimo, dando per certo che le trattative sarebbero andate a buon fine, considerata la determinazione manifestatami il giorno precedente dal padrone. Errore.

Confalonieri, accompagnato dal suo «secondo», Mauro Crippa, traccheggiò. Tra molti ma e altrettanti però, mi prospettò l'ipotesi di avviare la trasmissione non su Canale 5, che era zeppo di pubblicità, bensì su Italia 1. Mi accennò anche a problemi interni alla redazione del Tg5 che non avrebbe gradito la mia invasione in prima serata. Compresi che nulla sarebbe filato liscio. Infatti la strada che mi portava a Mediaset fu cosparsa di ostacoli. Chiesi soccorso a Berlusconi e questi si mostrò più imbarazzato di me, invitandomi a tenere duro quasi che i miei avversari fossero anche i suoi.

Ero assai pessimista sugli sviluppi del negoziato. A un certo punto convenimmo che il programma sarebbe stato ospitato da Italia 1. Meglio di niente. E passammo a studiare la struttura del «prodotto». E qui rischiai di impazzire. Servivano due squadre, una di giornalisti e una di tecnici. Scoprii che non c'era né l'una né l'altra. Avrei dovuto utilizzare uomini di Mario Giordano, direttore del telegiornale, il quale tuttavia aveva la precedenza su di me per motivi di ordine organizzativo e di palinsesto.

Non vi dico quanto dovetti penare per ottenere la firma del contratto. Vi risparmio altre e varie traversie e arrivo al dunque. La data delle elezioni si avvicinava ed eravamo ancora in alto mare. Basta. L'imperativo era comunque: andare in onda.

Mi trascinano in uno studio del Palazzo Dei Cigni, mi fanno sedere dietro una scrivania sgombra, accendono l'unica telecamera disponibile (una sorta di videocitofono), azionano uno strumento che scandisce il tempo e mi avvertono: 180 secondi, non uno di più. Che cosa avrei potuto fare in tre minuti se non recitare un pistolotto in puro stile predicatorio?

Altro che fare concorrenza a Biagi, come aveva comandato il Cavaliere; non mi diedero i mezzi neanche per essere all'altezza del parroco di Milano 2. La trasmissione di punta pretesa dal presunto dittatore si risolse in una bufala. È la dimostrazione che a Mediaset Berlusconi non aveva alcun peso; peggio, lo prendevano in giro.

Ogni suo desiderio faceva scattare in azienda l'ordine di non realizzarlo. Come si fa a supporre che il Cavaliere,completamente estromesso dalla cabina di regia dell'impresa, fosse in condizioni di imbastire una frode fiscale? La Corte di cassazione non può credere a una baggianata del genere, e si pronuncerà per una assoluzione sacrosanta.

 

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