GRILLOLOGY E IL FANTASMA DELL’IRRILEVANZA: DALLA RIVOLUZIONE ALLA MANUTENZIONE DELLA SETTA?

Marianna Rizzini per "Il Foglio"

Il fantasma dell'irrilevanza - fare opposizione e sparire, fare opposizione neppure da soli - abita da un paio di giorni il palazzo a cinque stelle. "Non votiamo la fiducia", "non ci invitano alle consultazioni" (poi erano invitati), "i Letta sono un'unica famiglia", "l'inciucio è servito": le formule ripetute non aiutano Beppe Grillo e i suoi eletti, a giudicare dall'oscillare di Grillo tra energia spaccatutto e depressione da ex comico in pantofole, a ricacciare sotto al tappeto l'angoscia di vedersi come in uno specchio rovesciato: non dovevano essere gli altri, quelli nel vicolo cieco?

La sensazione è che lo scenario sulla carta migliore - il Pdl e il Pdmenoelle che si mettono d'accordo, i Cinque stelle che continuano nel dàgli alla casta - si tramuti nel caso peggiore. E che l'arte della rivoluzione, evocata dal Grillo furioso e rifuggita dal Grillo pacioso (niente marcia su Roma, il "golpe" altrui declassato a "golpettino"), debba diventare, per forza di cose, arte della manutenzione della setta: la sua.

E' un fantasma da film dell'orrore, per l'animo grillino, orrore vero, non come quello evocato ieri dal giallo dei sedicenti "hacker del Pd" di cui scrive l'Espresso (il Pd nega ogni coinvolgimento): gente che dice di aver infiltrato le mail dei parlamentari del M5s e minaccia di pubblicare vita, morte e miracoli di un eletto a settimana, a cominciare da Giulia Sarti (che dice: è tutta una bufala).

Uno alla volta, come in "The ring", il thriller della videocassetta assassina. Se Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non rendono noti bilanci e guadagni aziendali e personali facciamo il "M5s-leaks", è il ricatto (andate alla camera di commercio e all'agenzia delle imposte locali a leggere i dati, è la risposta). "Vi abbiamo osservati, abbiamo studiato ogni vostra mossa, e siamo rimasti delusi", dice la scritta in sovraimpressione nel video dei sedicenti hacker, evocando spie nell'ombra. Vero o falso che sia l'attacco, il "siamo delusi" attanaglia i neoeletti che vedono nella sconfitta in Friuli - voto locale, sì, ma che botta - il primo voltafaccia di un elettorato che si pensava entusiasta della linea dura.

L'inquietudine pervade la truppa, tanto più a contatto con la folla inferocita che i neoeletti dicevano di voler "calmare" (dopo averla aizzata su Facebook). L'inquietudine si sfoga nell'ordine del giorno sognato da qualche oltranzista dell'unanimità ventriloqua: mettere ai voti, in assemblea, il divieto di espressione di liberi pareri nelle interviste dei singoli parlamentari. L'inquietudine gira in tondo dopo il "processo Mastrangeli", il senatore a cinque stelle reo di partecipazione ai talk-show (sebbene con formula individuale. Della serie: rispondo solo al conduttore).

Il setting tragicomico parlava da solo: tre giudici arcigni in cattedra, le porte chiuse, il legno chiaro dei banchi, due minuti a testa per gli accusatori, un secondo per i "contatori" (coloro che contano le mani alzate) e il vano tentativo di qualche collega di salvare Mastrangeli dal verdetto negativo (espulsione da ratificare via Web) a suon di citazioni di Rudolf Steiner: "Il ragazzo problematico è quello da cui impareremo di più", diceva uno, "Mastrangeli ha bisogno di rimanere nel movimento per capire che cos'è il movimento", diceva un altro.

Discutono incessantemente, i Cinque stelle, ma è come se guardassero un treno già passato. Beppe Grillo deve decidere che fare di loro (opposizione, sì, ma come? hai voglia a dire "voglio il Copasir e la vigilanza Rai"). Ma anche i grillini devono decidere che fare di Beppe Grillo ("non è meglio parlarci, col Pd?", si sono chiesti, da un mese a questa parte, i vari deputati dissidenti, da Tommaso Currò a Lorenzo Battista, e i titubanti mezzi-dissidenti che, prima del "no" a Rodotà, speravano di convincere gli omologhi giovani del Pd, assicurando che "un conto sono i post sul blog", un conto "l'essere in Parlamento").

E' un reciproco stato di confusione e osservazione tra guru e adepti, non sempre dichiarato. Beppe Grillo ogni giorno sposta l'attenzione sull'apocalisse alle porte (l'Italia "in bancarotta" a novembre, le piccole e medie imprese "che muoiono", le "ossa" della Repubblica "spartite" dagli inciucianti). I suoi eletti, ogni giorno, compulsivamente discutono, neanche più inseguiti dai cronisti (la "solita assemblea delle sette", si sente dire).

Il confine tra opposizione e sparizione rischia di farsi labile: i numeri delle Quirinarie (pochi, 28.518 votanti in totale, 4.677 per Rodotà) intaccano l'immagine di megafoni della vox populi; il modello siciliano fa acqua (Cinque stelle in subbuglio, anche se Rosario Crocetta minimizza); si bisticcia sul primo stipendio (molti tengono famiglia); si sospetta del compagno di opposizione ("perché Sel ci invita alla loro manifestazione?"); ci si perde nel piccolo cabotaggio (accuse a posteriori sul pasticcicaccio del comizio-non comizio di Grillo a Roma, con palco inesistente). La manutenzione, per guru e adepti, ha un costo anche emotivo.

Ha messo l'asciugamano al collo in conferenza stampa come un pugile sul ring, Beppe Grillo, si è alzato in piedi sulla macchina con la baldanza di un surfista hippie in California, non è sceso su Roma, ha passeggiato per Roma, è passato dall'euforia del camper allo spleen in albergo nell'arco di una serata e, davanti alla Revolución evocata e stoppata (sempre da lui), ha fatto la faccia di chi pensa "che ci faccio qui?". "Blue Sunday", ha scritto all'indomani di quello che ha poi chiamato il "tranquillo weekend di vomito": "Una domenica di aprile triste, un silenzio strano. Quella poca gente che si vede in giro nelle città la mattina non sorride e tira dritto. Ti senti come il giorno dopo la scomparsa di una persona cara. Quella indefinibile mancanza che provi dentro...".

Un lutto per la "morte della Repubblica", ha detto; "la scelta ora è semplice, o noi o loro", dice. Ma la perplessità adombra i suoi post sempre più grami, con quelle immagini apocalittiche dello stato che "finisce i soldi" e con quell'insistenza su Irap e Iva (non si sa mai che sia vero quello che dicono gli allarmisti sul Friuli-Venezia Giulia: i grillini di destra stanno già tornando a casa). Il fatto è che lo sfacelo degli altri non ha giovato ai Cinque stelle tanto quanto pensavano. La paturnia domenicale dell'ex comico diventa dilemma concreto: dove buttarsi?

Grillo "lancia segnali" di "normalizzazione e riposizionamento" a sinistra, scrive sulla Stampa Elisabetta Gualmini, presidente dell'Istituto Cattaneo e studiosa del Movimento cinque stelle. Persino gli amici vedono nero, e Barbara Spinelli, da Repubblica, canta la sconfitta: "Il folle volo degli innovatori, come quello di Ulisse verso virtute e conoscenza, da noi s'infrange, e il mare dello status quo sopra di lui si chiude".

 

GIANROBERTO CASALEGGIO E BEPPE GRILLO FOTO LAPRESSE casaleggio grillo grillo casaleggio BEPPE GRILLO E GIANROBERTO CASALEGGIO ALLARRIVO IN SICILIA grillini GRILLINI A ROMAGRILLINI OCCUPANO LA CAMERA I GRILLINI PARTONO IN PULLMAN PER LA RIUNIONE CON GRILLO FUORI ROMA GRILLINI

Ultimi Dagoreport

spionaggio paragon spyware giorgia meloni fazzolari mantovano giorgetti orcel francesco gaetano caltagirone flavio cattaneo

DAGOREPORT - E TRE! DALLO SPIONAGGIO DI ATTIVISTI E DI GIORNALISTI, SIAMO PASSATI A TRE PROTAGONISTI DEL MONDO DEGLI AFFARI E DELLA FINANZA: CALTAGIRONE, ORCEL, CATTANEO - SE “STAMPA” E “REPUBBLICA” NON LI FANNO SMETTERE, VEDRETE CHE OGNI MATTINA SBUCHERÀ UN NUOVO E CLAMOROSO NOME AVVISATO DI AVERE UN BEL SPYWARE NEL TELEFONINO - COME NEL CASO DEGLI ACCESSI ABUSIVI ALLA PROCURA ANTIMAFIA (FINITI IN CHISSÀ QUALCHE SCANTINATO), I MANDANTI DELLO SPIONAGGIO NON POSSONO ESSERE TROPPO LONTANI DALL’AREA DEL SISTEMA DEL POTERE, IN QUANTO PARAGON FORNISCE I SUOI SERVIZI DI SPYWARE SOLO AD AUTORITÀ ISTITUZIONALI - A QUESTO PUNTO, IL CASO È CORNUTO: O SI SONO TUTTI SPIATI DA SOLI OPPURE IL GOVERNO MELONI DEVE CHIARIRE IN PARLAMENTO SE CI SONO APPARATI “FUORILEGGE”. PERCHÉ QUANDO IL POTERE ENTRA NEI CELLULARI DEI CITTADINI, NON C’È PIÙ DEMOCRAZIA…

matteo salvini roberto vannacci giorgia meloni massimiliano fedriga luca zaia

DAGOREPORT – GIORGIA MELONI HA GLI OCCHI PUNTATI SULLA TOSCANA! NELLA REGIONE ROSSA SARÀ CONFERMATO EUGENIO GIANI, MA ALLA DUCETTA INTERESSA SOLO REGISTRARE IL RISULTATO DELLA LEGA VANNACCIZZATA – SE IL GENERALE, CHE HA RIEMPITO LE LISTE DI SUOI FEDELISSIMI E SI È SPESO IN PRIMA PERSONA, OTTENESSE UN RISULTATO IMPORTANTE, LA SUA PRESA SULLA LEGA SAREBBE DEFINITIVA CON RIPERCUSSIONI SULLA COALIZIONE DI GOVERNO – INOLTRE ZAIA-FEDRIGA-FONTANA SONO PRONTI A UNA “SCISSIONE CONTROLLATA” DEL CARROCCIO, CREANDO DUE PARTITI FEDERATI SUL MODELLO DELLA CDU/CSU TEDESCA - PER LA MELONI SAREBBE UNA BELLA GATTA DA PELARE: SALVINI E VANNACCI POTREBBERO RUBARLE VOTI A DESTRA, E I GOVERNATORI IMPEDIRLE LA PRESA DI POTERE AL NORD...

matteo salvini luca zaia giorgia meloni orazio schillaci

FLASH! – L’”HUFFPOST” RIPORTA CHE SALVINI VUOL CONVINCERE LUCA ZAIA A PORTARE IL SUO 40% DI VOTI IN VENETO MA SENZA CHE IL SUO NOME BRILLI SUL SIMBOLO – PER ACCETTARE IL CANDIDATO LEGHISTA STEFANI, LA MELONA INSAZIABILE, PAUROSA CHE L’EX GOVERNATORE VENETO PORTI VIA TROPPI VOTI A FDI, L’HA POSTO COME CONDIZIONE A SALVINI – PER FAR INGOIARE IL ROSPONE, OCCORRE PERÒ CHE ZAIA OTTENGA UN INCARICO DI PESO NEL GOVERNO. IL MAGGIORE INDIZIATO A LASCIARGLI LA POLTRONA SAREBBE ORAZIO SCHILLACI, MINISTRO TECNICO IN QUOTA FDI, ENTRATO IN COLLISIONE CON I TANTI NO-VAX DELLA FIAMMA - AVVISATE QUEI GENI DI PALAZZO CHIGI CHE ZAIA SUI VACCINI LA PENSA ESATTAMENTE COME SCHILLACI…

monique veaute

NO-CAFONAL! – ARCO DI TRIONFO PER MONIQUE VEAUTE, QUELLA VISPA RAGAZZA FRANCESE CHE NEL 1984 GIUNSE A ROMA PER LAVORARE ALL’ACCADEMIA DI FRANCIA DI VILLA MEDICI - DA ABILISSIMA CATALIZZATRICE DI GENIALI E VISIONARIE REALTÀ ARTISTICHE INTERNAZIONALI, DETTE VITA A UN FESTIVAL CHE SCOSSE LO STATO DI INERZIA E DI AFASIA CULTURALE IN CUI ERA PIOMBATA ROMA DOPO L’ERA DI RENATO NICOLINI – L'ONORIFICENZA DI ''COMMANDEUR DE L'ORDRE DES ARTS ET DES LETTRES'' NON POTEVA NON ESSERE CONSEGNATA DALL’AMBASCIATORE FRANCESE SE NON A VILLA MEDICI, DOVE 40 ANNI FA TUTTO È NATO….

de luca manfredi schlein tafazzi conte landini silvia salis

DAGOREPORT - LA MINORANZA DEL PD SCALDA I MOTORI PER LA RESA DEI CONTI FINALE CON ELLY SCHLEIN. L’ASSALTO ALLA GRUPPETTARA (“NON HA CARISMA, CON LEI SI PERDE DI SICURO”), CHE HA TRASFORMATO IL PD DA PARTITO RIFORMISTA IN UN INCROCIO TRA UN CENTRO SOCIALE E UN MEETUP GRILLINO – NONOSTANTE LA SONORA SCONFITTA SUBITA NELLE MARCHE E IL FLOP CLAMOROSO IN CALABRIA, LA SEGRETARIA CON TRE PASSAPORTI E UNA FIDANZATA RESISTE: TRINCERATA AL NAZARENO CON I SUOI FEDELISSIMI QUATTRO GATTI, NEL CASO CHE VADA IN PORTO LA RIFORMA ELETTORALE DELLA DUCETTA, AVREBBE SIGLATO UN ACCORDO CON LA CGIL DI “MASANIELLO” LANDINI, PER MOBILITARE I PENSIONATI DEL SINDACATO PER LE PRIMARIE – IL SILENZIO DEI ELLY ALLE SPARATE DI FRANCESCA ALBANESE - I NOMI DEL DOPO-SCHLEIN SONO SEMPRE I SOLITI, GAETANO MANFREDI E SILVIA SALIS. ENTRAMBI INADEGUATI A NEUTRALIZZARE L’ABILITÀ COMUNICATIVA DI GIORGIA MELONI – ALLARME ROSSO IN CAMPANIA: SE DE LUCA NON OTTIENE I NOMI DEI SUOI FEDELISSIMI IN LISTA, FICO RISCHIA DI ANDARE A SBATTERE…