LIBIA DI CHI? - CON LA CATTURA DI SAIF GHEDDAFI SI SCATENA LA GUERRA TRA I VINCITORI: COSA PREVARRÀ TRA IL MODERATISMO CONDITO DI SHARIA DEL CNT, L’ISLAM PIÙ RADICALE, LE TRIBÙ CHE NELL’OMBRA RIDISEGNANO LA MAPPA DEL POTERE E I MILITARI CHE RIVENDICANO LA LOTTA SUL CAMPO? - ORA VIENE IL BELLO! SE ARRIVA VIVO AL TRIBUNALE DELL’AJA, ILO COCCO DI MARTA MARZOTTO POTREBBE ALZARE IL VELO SUI TANTI AFFARI DEL RAÌS CON I LEADER DI MEZZO MONDO (CHE TREMANO)...

1 - LA GUERRA È FINITA MA CHI L'HA VINTA SI DECIDERÀ ADESSO
Mimmo Cándito per "la Stampa"

Perché - come ogni regime - anche questo del Colonnello non è che potesse spengersi di botto, e sparire nel nulla, con la morte del leader. Ma questa illusoria eredità di Figlio e Continuatore non poteva andare molto al di là di una concreta - e però limitata - azione di disturbo del processo di pacificazione.

Questa pacificazione sarà un percorso assai più lungo e tormentato di quanto possa lasciare immaginare la vittoria militare della Nato e dei ribelli di Bengasi; però chi può turbarne l'esito sta molto lontano dalle tende e dai rifugi provvisori nel deserto dentro il quale Saif celava la sua fuga ogni giorno dopo la morte del Colonnello. Lui scappava, si nascondeva, cercava di tessere nel Sud arido e vuoto trame e complotti che potessero restituirgli alleanze credibili, appoggi e sostegni per un impossibile ritorno nel palazzo ormai lontano del potere; nessun regime condannato dalla Storia rinuncia comunque volontariamente a coltivare le proprie illusioni, e viverne, e immaginarvi anche un futuro possibile.

Ma, come Gheddafi sopravvisse alla propria fine, anche quando questa da tempo, da mesi, era stata decisa irrimediabilmente da Washington e da Parigi e dal Qatar, allo stesso modo Saif sopravviveva alla propria fine anche quando questa era stata ormai decisa da tempo, da mesi, dal giorno in cui - rinunciando al ruolo che sempre aveva avuto di interprete moderatore e riformatore del regime - aveva dato una intervista pubblica nella quale si appiattiva ormai sulla cieca intransigenza del padre. Fine, il suo futuro già non esisteva più.

Ora che lui è stato eliminato, la Libia che ha trionfato nella guerra (della Nato e dei ribelli di Bengasi) civile dovrà controllare con un confronto più diretto le tante ambizioni che già si misurano all'ombra della vittoria conseguita e però anche nell'attesa di un voto che dica chi ha vinto veramente. Sarà il moderatismo di cui si era fatto interprete Jalil, che però intreccia la sua visione del nuovo Stato con l'obbedienza proclamata e inquietante alla Sharia? Sarà l'intransigenza delle forze islamiche foraggiate dai forzieri qatarini e di cui il generale Abdul Belhadj è soltanto la faccia pulita?

Saranno i militari che mal sopportano che a scegliere il futuro per il quale loro hanno combattuto e sono morti sia quel gruppo di «fuoriusciti» in doppiopetto venuti su all'ombra di Washington e di Londra? O saranno i berberi del Jebel Nafusa e gli eroi di Misurata o comunque le tribù che nell'ombra stanno ridisegnando la nuova mappa degli equilibri di potere? Di tutti costoro, di tutte queste forze, Saif al Islam era un corpo estraneo, soltanto una fastidiosa memoria del passato. Ora, anche quella non c'è più.

2 - COLTO E TRENDY: COSÌ HA CONQUISTATO IL JET SET MONDIALE
Fausto Biloslavo per "il Giornale"

«La spada dell'islam»,classe 1972,è il figlio «intelligente» del defunto colonnello Gheddafi. Delfino in pectore del regime rimasto al potere a Tripoli per quarant'anni, era stato l'unico ad alzare il ditino contro papà proponendo timide riforme.
Saif al Islam è uomo di mondo istruito a Vienna e a Londra trasformatosi, suo malgrado, nell'ultimo erede combattente del clan Gheddafi con un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra sulla testa.

Chi vi scrive lo ha incontrato la prima volta ai funerali del suo grande amico Jorg Haider, governatore della Carinzia. Nella piazza di Klagenfurt, il giorno della cerimonia, era seduto a un passo da Mario Borghezio, l'europarlamentare mangia musulmani. A suo agio davanti alle telecamere, fin da piccolo, nel 1986 era al fianco della madre ferita e con stampella sulle macerie di Bab al Azizyah, la roccaforte del colonnello bombardata dagli americani. Venticinque anni dopo, con la Libia infiammata dalla rivolta, ripeteva in perfetto inglese: «Non ci arrenderemo mai».

La spada dell'islam ha studiato a Vienna e poi ottenuto il master, con una tesi scritta da altri, alla prestigiosa School of Economics and Political Science di Londra. In Inghilterra è stato ospite a palazzo reale e buon amico di Tony Blair, l'ex premier laburista. In patria guidava la Fondazione Gheddafi che è servita a tirar fuori dai guai diversi ostaggi occidentali dalle Filippine al Sahara. Non solo: Saif ha lavorato ai fianchi il padre per ottenere il rilascio di alcune infermiere bulgare accusate ingiustamente di aver infettato dei neonati libici con l'Hiv.

Cécilia, la moglie di Nicolas Sarkozy prima di Carla Bruni, fece un figurone riportando a casa le poverette. Proprio il presidente francese, che ha voluto far fuori Gheddafi, si incontrò con Saif nel 2007 per un mai chiarito affare di armi. L'anno dopo, il secondogenito del colonnello veniva accolto con il tappeto rosso a Washington dal segretario di Stato Condoleezza Rice. Saif spinse il colonnello a riaprire le porte all'Occidente chiudendo con il passato da sponsor del terrorismo. Immortalato con Massimo D'Alema, il rampollo ha favorito la firma del padre e di Silvio Berlusconi sul trattato di amicizia con l'Italia.

Apprezzato dalle cancellerie occidentali, veniva vezzeggiato nei salotti bene. Per Marta Marzotto era una specie di figlioccio: «È un moderato. Non va mai in giro con i macchinoni, tipo Ferrari. Quando viene a trovarmi in Sardegna con il fratello di Afef usa una Panda». Per il Capodanno del 2009, però, ha assoldato Mariah Carey per un milione di dollari. Le puntate nel deserto nella sperduta oasi di Jalu, dove invitava il jet set internazionale, erano leggendarie come la festa dei suoi 37 anni in Montenegro con la presenza di Alberto di Monaco.

Mondanità a parte, la spada dell'islam sperava veramente di riformare il regime e aveva commissionato la stesura di una costituzione ad esperti francesi. Sempre Saif ha convinto il padre, di malavoglia, a liberare i prigionieri islamici ex di Al Qaida, come gesto di buona volontà. Peccato che sono stati i primi a imbracciare le armi contro il regime. Nei giorni della rivolta si presentava ai giornalisti, all'hotel Rixos di Tripoli, come il Gheddafi dal volto umano.

Anche quando brandiva per aria il kalashnikov gli veniva difficile fare la faccia feroce. In maglietta verde militare si è materializzato l'ultima volta davanti alle telecamere, nella capitale oramai invasa dai ribelli, per smentire la sua cattura. Accusato dal tribunale dell'Onu di crimini di guerra è rimasto fedele al padre fino all'ultimo. Il 23 ottobre, in un messaggio audio, dopo il linciaggio del colonnello, ha sentenziato: «Andate all'inferno, voi e la Nato».

L'hanno preso fra le dune del deserto meridionale decapitando sul nascere qualsiasi rivincita. Se arriverà vivo alla sbarra, a Tripoli o al tribunale de L'Aia, ne vedremo delle belle. Inforcherà i suoi occhialini trendy e terrà banco, magari rivelando gli imbarazzanti segreti condivisi con il padre.

 

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