GIRO GIRO TONDO, CASCA IL GIROTONDINO PISAPIA - IL SOGNO ARANCIONE STA DIVENTANDO UN INCUBO: IL SINDACO PERDE CONSENSI DOPO IL PROVVEDIMENTO ANTI-SMOG CHE OBBLIGA I MILANESI A SBORSARE 5 EURO PER ENTRARE IN CENTRO CON LA MACCHINA - LA SINISTRA LO BACCHETTA, L’OPPOSIZIONE IN CONSIGLIO COMUNALE INSORGE E IN PROVINCIA E REGIONE È GIÀ PARTITA LA CAMPAGNA PER FAR FUORI IL BALZELLO E PURE IL SINDACO - SOLO LA GIROTONDINA DARIA COLOMBO È OTTIMISTA…

1 - TASSA PER L'AUTO IN CENTRO IL TICKET INFIAMMA MILANO
COSTO 5 EURO, LUNEDÌ IL VIA. IL SINDACO: DEVO RENDERE L'ARIA RESPIRABILE

Fabio Poletti per "La Stampa"

I sostenitori pensano che sia l'unico modo per ripulire Milano dallo smog e dal traffico. I detrattori credono che sia l'ennesimo escamotage per ripulire soprattutto le loro tasche. Fa litigare la «congestion charge» che da lunedì sul modello in vigore da anni a Londra, Copenaghen e Stoccolma - obbligherà i milanesi che vogliono entrare in centro in auto a tirare fuori 5 euro.

Fa discutere così tanto che l'assemblea dei residenti della zona 1 dell'altra sera quella off limits senza ticket - è finita con una maxicontestazione all'assessore al Traffico Pierfrancesco Maran, «colpevole» di averci messo la faccia. Il sindaco Giuliano Pisapia che ha scritto una lettera a 700 mila milanesi per spiegare le ragioni del provvedimento, contesta le contestazioni e assicura che non finisce qui: «La mia priorità è rendere l'aria respirabile a Milano».

Cinque euro non sono pochi. Ma sono molto meno delle cinque sterline - che già allora facevano sette euro e mezzo con cui il sindaco di Londra Ken Livingston nel 2003 cercò di arginare la circolazione nel cuore della City. Alla fine «Ken il rosso» ebbe ragione pure degli scettici blu. Giuliano Pisapia «l'arancione», declinato in «verde» in questo caso, ha sulla sua strada molti ostacoli in più.

Intanto è solo: in Regione, Provincia e in sedici comuni dell'hinterland guidati dal centrodestra è partita la campagna per far fuori il balzello e pure il sindaco. E poi lui stesso ha le mani praticamente legate, obbligato dal referendum consultivo dello scorso giugno in cui oltre 370 mila milanesi - quasi l'80% dei votanti - chiesero di estendere l'ecopass e di pedonalizzare il centro di Milano.

Detto e fatto. Anche se non si capisce dove siano finiti quei 370 mila milanesi. «Non vogliamo pagare una tassa per tornare a casa», urlavano l'altra sera inferociti all'assessore Maran. E fa niente se ai residenti nella cosiddetta area C vanno 40 ingressi gratuiti e agevolazioni sulle tariffe tali da rendere quasi irrisorio il costo annuo. «Loro sono gli ultimi a doversi lamentare visto che avranno solo benefici», sibilano da Palazzo Marino.

Dove già si calcola una riduzione del 20-30% del traffico. Il provvedimento - ha già detto il sindaco - sarà testato dopo due mesi e poi ancora dopo sei. I vigili che contano di elevare almeno 100 mila infrazioni nei primi sessanta giorni non interverranno subito. Nelle casse del Comune dovrebbero poi entrare 30 milioni di euro da riconvertire in servizi.

Guido Podestà presidente della Provincia e fedelissimo berlusconiano fa lo scettico: «Inutile scimmiottare Londra senza averne i servizi». Però, cartina alla mano, a Londra se le sognano 70 linee di mezzi pubblici in un'area così piccola come il centro di Milano. Ma si capisce che la protesta non è solo contro la presunta inutilità del provvedimento.

A parte i commercianti che promettono sfracelli - Giorgio Montingelli dell'Unione del commercio è lapidario e fa già due conti: «Si disincentivano i clienti e aumentano le spese. Quindi aumenteranno anche i prezzi» si capisce che è dal mondo politico che avversa Giuliano Pisapia che arrivano le levate di scudi più accese. Davide Boni della Lega in Regione promette le barricate e una raccolta di firme davanti a Palazzo Marino, obiettivo raccoglierne almeno 30 mila per indire un referendum abrogativo e far partire una class action contro l'Area C: «Perché non serve a niente. E' solo un altro salasso alle tasche dei milanesi».

L'opposizione in Consiglio comunale dice pure di peggio. E fa niente se l'ecopass era stato introdotto da Letizia Moratti, il sindaco di centrodestra clamorosamente spettinato nelle urne da Pisapia. Il superecopass come già lo chiamano, non gli va proprio giù. L'ex vicesindaco Riccardo De Corato vede rosso: «La gente non crede più alle tesi veteroambientaliste del sindaco».

Il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni vede nerissimo: «Questo provvedimento tassa indiscriminatamente chi inquina e chi non inquina e non va incontro a chi in questi anni ha investito in mezzi non inquinanti». Sul cielo di Milano tira una brutta aria e non è solo smog. E forse nemmeno Giuliano Pisapia sa che tempo farà.

2 - I DIFFICILI CONTI CON LA REALTÀ DOPO IL GRANDE SOGNO ARANCIONE
Marco Alfieri per "La Stampa"

Il 2 giugno 2011 Giuliano Pisapia è sindaco da un giorno. Per la festa della Repubblica decide di aprire palazzo Marino alla città: in piazza Scala si accalca una lunga fila di milanesi che vuole stringergli la mano.

La prima istantanea della rivoluzione arancione al potere è un bagno di folla. A Milano come a Napoli, dove Luigi De Magistris stravince promettendo di «scassare il sistema». Sei mesi dopo l'ex pm ha perso in un colpo il manager dell'azienda rifiuti Raphael Rossi e il cantante Roberto Vecchioni dalla presidenza del Forum culture mentre l'avvocato ambrosiano deve gestire le proteste contro ecopass e una tregua armata con l'ex sfidante alle primarie Stefano Boeri, l'assessore a cui ha levato la delega a Expo 2015. Che fine ha fatto l'onda arancione, si chiede qualcuno?

Daria Colombo, inventrice dei girotondi, è stata una delle prime sostenitrici di Pisapia. In più è la moglie di Vecchioni che in questi mesi ha unito idealmente le due città arancioni. «Credo che passare dal sogno alla realtà sia sempre problematico», ammette. «Si rischia di scontare l'impazienza di qualche elettore che pensa basti vincere le elezioni per cambiare magicamente le cose e superare Berlusconi. Ma resto ottimista. A patto che Giuliano non scordi l'ingrediente della sua vittoria: la partecipazione. Non tagli fuori la gente dalle scelte».

Il nodo di queste ore è Area C, l'ecopass a 5 euro per l'ingresso in centro. In primavera il centrosinistra ha vinto anche in zona uno, i quartieri della buona borghesia strappati al centrodestra di Letizia Moratti. Oggi quelle vie sono in subbuglio contro il provvedimento. «In questi primi 6 mesi la giunta ha aumentato il biglietto del tram, ritoccato le addizionali e venduto la quota Sea per non sforare il patto di stabilità.

C'era da risanare un bilancio disastrato eredità del centrodestra ma nel 2012 serve altro. Uscire dall'emergenza è funzionale a costruire una città migliore, diversa», raccontano alcuni protagonisti della rivoluzione arancione. C'è poi chi comincia a mugugnare per una squadra di giunta leggerina e una gestione dei dossier sensibili monopolizzati dal tandem Pisapia-Tabacci, il super assessore al Bilancio.

Anche la galassia ambientalista si agita: a fine novembre Mamme anti smog e Wwf sono andati sotto le finestre del sindaco con le bandiere grigie: «Giuliano, devi fare di più». Un presidio che ha portato al blocco del traffico a Sant'Ambrogio, per dare un segnale. Ma non è facile alimentare il mito della rivoluzione arancione.

L'onda trasversale - giovani e internet, borghesia urbana e gente che non votava da anni - che Pisapia ha saputo intercettare superando l'etichetta di candidato di sinistra. Un dilemma incarnato dalla doppia anima del Comitato 51%, la pattuglia di professionisti ambrosiani che ha dato una mano in campagna elettorale, tra un Piero Bassetti che lo promuove e un Marco Vitale più attendista.

Basilio Rizzo è la coscienza critica della sinistra milanese. Epiche le sue battaglie contro Salvatore Ligresti. Da giugno è presidente dell'assemblea cittadina. «L'arancione - dice - è un misto di due colori: rosso e giallo. Finora si è visto molto di più il giallo, nel senso che abbiamo dovuto tappare il buco di bilancio. Il 2012 deve essere l'anno della svolta». Fuor di metafora: «il prossimo bilancio e il piano di governo del territorio da emendare saranno a vantaggio dei ceti popolari o dei soliti noti»?

Anche alcuni intellettuali fremono. L'altro giorno Marco Belpoliti, Gianni Biondillo e altri, intervenendo in un dibattito urbanistico sul Corriere, hanno scritto una lettera aperta. «Gentile Sindaco, dal successore di Letizia Moratti ci aspettiamo una idea più dinamica di democrazia partecipativa. L'abbiamo votata per cambiar pagina, ed è per questo che il caso del progetto area ex Enel deve diventare uno spartiacque. Non si può scambiare la mancata qualità edilizia e architettonica con due vuoti urbani denominati eufemisticamente "piazze". La città chiede qualcosa di meglio».

È il solito discorso della poesia e della prosa. Un conto è la campagna elettorale, un'altra governare. Tanto più quando la vittoria solleva aspettative di «liberazione» e produce un doppio effetto: la fine di Berlusconi nella sua capitale e la sconfitta del Pd alle primarie. Se una parte di città giudica la giunta Pisapia-Tabacci un laboratorio nazionale in anticipo sull'austerity montiana, molti elettori arancioni temono la svolta neocentrista. Loro vogliono il sogno...

 

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