SBANCATI E SBANDATI - SUL TRUCCO DELLA RIVALUTAZIONE DELLE QUOTE BANKITALIA E' GUERRA TRA BANCHE E GOVERNO

Francesco De Dominicis per "Libero"

La rivalutazione delle quote della Banca d'Italia slitta al 2014. Ma la strada è tutta in salita. Non solo per l'allungamento dei tempi, legato soprattutto a un'articolata procedura che prevede un passaggio del dossier alla Banca centrale europea (parere obbligatorio). Ad aver frenato bruscamente l'operazione, sono gli «azionisti» di via Nazionale, cioè gli istituti di credito. Che, a sorpresa, puntano i piedi: se l'aumento del valore delle «azioni» di Bankitalia non avrà effetti positivi sul patrimonio di vigilanza e quindi sui parametri di bilancio europei, la riforma salta.

E se salta la riforma, non ci sarà gettito fiscale. Niente plusvalenza e niente tasse. Secondo alcune stime, l'aumento delle quote nella forchetta indicata dal Tesoro (tra i 5 e i 7 miliardi di euro) potrebbe portare nelle casse dello Stato fino a 1,2 miliardi. Denaro che per alcuni giorni, più di qualcuno, sia in Parlamento sia al Governo, aveva sperato di poter destinare alla cancellazione della seconda rata Imu. Magari con un decreto legge per creare una corsia preferenziale.

Gli esperti, da questo punto di vista, hanno sempre mostrato prudenza. La tabella di marcia è piuttosto lunga: oltre a un intervento legislativo, infatti, è necessaria una delibera dell'assemblea dei «soci» Bankitalia convocata in seduta straordinaria. Va cambiato lo statuto ed è previsto anche il via libera della Bce, che di fatto sovrintende a tutte le banche centrali nazionali. Un iter che può essere risolto in tre quattro mesi, magari già all'inizio del prossimo anno, ma di sicuro non entro la fine del 2013.

Fin qui la procedura. Il punto è che entrando nel merito, i banchieri vogliono precise garanzie. L'operazione prevede oneri (fiscali) di cui le banche sono disposte a farsi carico solo in cambio di vantaggi sul versante dei coefficienti patrimoniali. In questo senso si è espresso nei giorni scorsi Gianmaria Gros Pietro, presidente del consiglio di gestione di IntesaSanpaolo, principale azionista della banca centrale con oltre il 40% delle quote. Il discorso, però, è complicato. Per essere conteggiate nel patrimonio di vigilanza le quote di via Nazionale devono essere cedibili e la questione non sembra di facile soluzione.

Il tema sarà certamente affrontato oggi, a Milano, nel corso dell'esecutivo dell'Abi. All'ordine del giorno della riunione dei banchieri, c'è anche il dossier sindacale. Dopo la disdetta da parte dell'Assobancaria e lo sciopero del 31 ottobre, i sindacati sono ancora sul piede di guerra. Finora, all'interno della Confindustria delle banche ha comandato Francesco Micheli. Il top manager di IntesaSanpaolo, capo del comitato Abi che gestisce le relazioni sindacali, è per la linea dura.

Tuttavia, si cominciano a registrare alcuni distinguo. È il caso dell'amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, che vorrebbe ricucire i rapporti con le sigle: «Credo che se entrambi i fronti dimentichino l'approccio estremista ed ideologico di questo momento e si siedono intorno a un tavolo la soluzione si troverà. È un momento difficile per le banche e per i lavoratori, il tempo c'è dobbiamo metterci intorno a un tavolo». Dietro le quinte, poi, si starebbe muovendo anche Alessandro Profumo.

Il presidente del Monte dei paschi di Siena, secondo quanto riferito da dirigenti di Rocca Salimbeni, vorrebbe far sentire un po' di più il suo peso nell'ambito del negoziato sul contratto di lavoro delle categoria. Dalla Fabi, frattanto, arrivano segnali sull'argomento «ultra-attività»: in caso di mancato rinnovo entro giugno 2014, il sindacato guidato da Lando Maria Sileoni chiede che si continui ad applicare quello stracciato a settembre scorso dall'Abi.

 

BANCA D'ITALIA11 gianmaria gros pietro m riccardiFederico Ghizzoni Unicredit Profumo Alessandro Banca Intesa

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