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“GIORGIO ERA UN GENIO, MA LUI NON LO SAPEVA” – PARLA ROBERTA BELLESINI, COMPAGNA DI FALETTI PER 14 ANNI, CHE PRESENTA IL RACCONTO INEDITO SCRITTO DAL MARITO UNA DECINA DI ANNI FA: “QUANDO L’HO TROVATO HO AVUTO LA TACHICARDIA PER TRE GIORNI. DENTRO C’È TUTTA L’IRONIA DI GIORGIO” – “LA MORTE? AVEVA PAURA CHE IL SUO LAVORO VENISSE DIMENTICATO. SOFFRIVA DI ANSIA DA PRESTAZIONE, MA…” (VIDEO)

 

Candida Morvillo per il “Corriere della Sera”

roberta bellesini e giorgio faletti 8

 

Quando la vedova di Giorgio Faletti Roberta Bellesini ha trovato quel racconto dimenticato e scritto da suo marito una decina d' anni fa, è stata afferrata dall' ansia: «Ho avuto la tachicardia per tre giorni, come sempre quando metto le mani sul lavoro di Giorgio. È stato il regista e amico Dario Piana a ricordarmi che avevano ipotizzato un corto per Expo 2015, ispirato a una storia arrivata solo a degli abbonati online».

roberta bellesini 3

 

Il film non era nato, Giorgio Faletti se n' era andato per un tumore il 4 luglio 2014, a 63 anni. Ora, La ricetta della mamma è in libreria, per La nave di Teseo. Il corto, prodotto da Roberta, protagonisti Giulio Berruti e Andrea Bosca, sarà all' Asti Film Festival il 15 dicembre.

 

giorgio faletti 3

È la storia di un sicario che s' introduce in casa di un uomo per uccidere un testimone di giustizia dalla finestra. Non ha calcolato, però, l' attrazione per la buona cucina... «C' è dentro tutta l' ironia di Giorgio», spiega Roberta.

 

Gli è stata accanto 14 anni, da quando lui era ancora «solo» il comico di Vito Catozzo e il cantautore-rivelazione di «Signor tenente ». Presto, sarebbe diventato un giallista di clamoroso successo: « Io uccido» ha venduto in Italia cinque milioni di copie ed è tradotto in 32 lingue. Lei c' era il giorno in cui il libro uscì e a lui venne l' ictus.

 

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Come leggeste la coincidenza?

«Giorgio diceva che, essendo un comico, la sua vita poteva solo essere comica. Svegliandosi dal coma, sentiva i rumori delle macchine a cui era attaccato e riuscì a far ridere i dottori. Disse: ma dove mi avete ricoverato? A Las Vegas? Era un uomo allegro. La sera, voleva sempre amici a cena. Facevamo gare di battute. Grazie a lui, avevo affinato le mie doti».

 

Sta ridendo o piangendo?

«Tutte e due. Era bravissimo a trovare neologismi. Come "stritolizzare", per quando ci stropicciavamo la pelle accarezzandoci. E ogni suono era divertente al di là del significato, per le sue buffe facce da adolescente. Lo coglievo, a volte, a mangiare qualcosa che non doveva e sgranava quei suoi occhioni azzurri che ti schiantavano. Io, davanti a quegli occhi, ero indifesa».

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In ospedale, riuscì pure a farle la proposta di matrimonio .

«I medici avevano chiesto a me l' autorizzazione a un trattamento sperimentale per salvarlo. Mi ero assunta il rischio. Si è ripreso e mi ha chiesto di sposarlo».

E lei?

«Gli dissi: fai così, richiedimelo quando sei fuori, ora sei sotto farmaci, non vorrei che mi accusassi di circonvenzione d' incapace».

Lui diceva: ogni cosa che faccio è dedicata a Roberta.

«E io: quanto hai da farti perdonare per dire così?».

 

Suo marito ha scritto canzoni, ha vinto premi da attore. Era consapevole dei suoi talenti ?

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«Soffriva sempre di ansia da prestazione, temeva di non essere apprezzato. Non si rendeva conto di essere un genio. Ha scritto "Io uccido" in tre mesi. "Signor tenente" in mezz' ora».

 

Cosa racconta di Faletti «La ricetta della mamma»?

«Quattro cose: la passione per la provincia, essendo cresciuto alla periferia di Asti, dove tutti si conoscevano; l' ironia; la passione per il thriller, nata da bambino nella soffitta dove il nonno rigattiere accumulava scatoloni di noir americani che lui divorava».

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La quarta?

«La passione per la buona cucina, attinta appunto dalla mam ma. Ai fornelli, era bravissimo. Con Jeffery Deaver, volevano scrivere un libro di ricette».

 

L' autore de «Il collezionista di ossa» l' aveva definito «larger than life»: una leggenda...

«Giorgio lo lesse e quasi gli veniva un infarto. Non avrebbe mai immaginato di diventare amico del suo idolo».

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Come visse i sei mesi di malattia?

«Con ottimismo. E l' ultimo mese, diceva: vabbé, a un altro sarebbero servite tre vite per avere le mie soddisfazioni».

 

Che cosa temeva della morte?

«Che si dimenticassero del suo lavoro. Perciò, in maniera quasi ossessiva, porto avanti i suoi progetti, anche se tocco le sue cose e ho sempre dentro un dolore. A maggio, porterò in teatro a New York il suo "L' ultimo giorno di sole". Due anni fa, ho prodotto un suo album. Costringermi ad ascoltare la sua voce è ancora devastante».

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Cosa riesce a confortarla?

«Dirmi che da lui ho ricevuto talmente tanto che vale la pena pagare qu

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