1. PERCHE’ L’EGO DI MONTI E’ FINITO NEL CESTINO: AI SILURI DI BERSANI E NAPOLITANO AGGIUNGERE I VELENI DEI SONDAGGI CHE DAVANO IL CENTRO GUIDATO DA MONTI, QUOTATO TROPPO BASSO (TRA IL 10 E IL 20%) COL RISCHIO DI FINIRE TERZO, O PEGGIO, QUARTO. CON I RIFLETTORI DI TUTTO IL MONDO, CHE SPUTTANAMENTO PER L’IMMAGINE DEL PROF 2. E POI LA POLITICA POLITICANTE: CASINI E FINI HANNO FATTO ORECCHIE DA MERCANTE QUANDO MONTI HA CHIESTO LA “MASSIMA TRASPARENZA” SULLE LISTE DEI CANDIDATI (VEDI CESA) 3. LA LIQUEFAZIONE DEL CENTRO: SENZA MONTI, ADDIO ALLA LISTA “VERSO LA TERZA REPUBBLICA”: LO SMONTEZEMOLATO E RICCARDI NON HANNO CORAGGIO DI CANDIDARSI: I CENTRISTI SAREBBERO SPAZZATI VIA DA PALAZZO MADAMA SENZA POTER SUPERARE LA SOGLIA REGIONALE DELL’8%. SENZA GRUPPO AL SENATO, IRRILEVANTI ALLA CAMERA 4. IL CERINO ACCESO DELLA SCONFITTA RIMANE IN MANO A CASINI E AL CARDINAL BAGNASCO 5. NELL’UDC E DENTRO FLI MONTA IL RISENTIMENTO CONTRO MONTI: “SE PENSA COSÌ DI CONQUISTARSI IL QUIRINALE SI SBAGLIA DI GROSSO. BERSANI NON È BABBO NATALE, AL COLLE MANDERANNO PRODI” - “SENZA MONTI DIVENTERÀ UN DERBY TRA BERLUSCONI E BERSANI”

1. MONTI NON CEDE IL SUO NOME HA SCELTO DI RESTARE RISERVA DELLA REPUBBLICA - ECCO PERCHÉ SI LIMITERÀ A UN MEMORANDUM PER L'ITALIA
Fabio Martini per La Stampa

Oramai il Memorandum per il futuro dell'Italia è pronto. I contributi da tutti i ministri sono affluiti a Palazzo Chigi e domani Mario Monti ne esporrà un compendio ragionato nel corso della conferenza stampa di fine anno. E alla fine potrebbe essere proprio questo documento - e non la candidatura a premier - l'unico vero cavallo di battaglia del presidente del Consiglio nei sessantaquattro giorni che mancano alle elezioni politiche.

Dopo averci riflettuto a lungo, ma senza mai aver assunto impegni pubblici in un senso o nell'altro, Mario Monti sembra aver sciolto interiormente la riserva, maturando così un piccolo colpo di teatro: per i prossimi due mesi di campagna elettorale il Professore è intenzionato a restarsene a Palazzo Chigi, tenendo il punto rispetto a tutti coloro che attaccheranno le politiche del governo e al tempo stesso dispensando riconoscimento e sostegno a coloro - il Centro di Montezemolo-Riccardi-Casini che invece le rivendicheranno senza se e senza ma.

In questa logica, per Mario Monti, sembra dunque essere tramontata la prospettiva di una «cessione» del proprio nome alle liste di Centro. Una delusione per i leader di quel polo, anche perché - incoraggiati da alcune perifrasi del Professore nei loro incontri informali - avevano sperato che nei simboli dei loro partiti comparisse la dizione «Per Monti». Ma il Professore non sembra intenzionato a concedere quel «copyright», anche perché questa «licenza» ne avrebbe trainata un'altra, molto impegnativa: l'indicazione, sempre di Monti, come «capo della coalizione», un sinonimo per dire che il Professore era il candidato premier di quella coalizione.

Ma il Professore, dopo aver valutato pro e contro, ha capito che la salvaguardia della cosa che più gli sta a cuore - l'agenda Monti - non passava attraverso una sua candidatura come leader del polo di Centro. Troppe incognite. A cominciare da quel che suggerivano i sondaggi: uno schieramento centrale, seppur guidato da Monti, era quotato troppo basso (tra il 10 e il 20%) e avrebbe rischiato di «classificarsi» terzo, o peggio, quarto tra gli schieramenti in corsa. Con i riflettori di tutto il mondo puntati sull'Italia e su Monti, un colpo all'immagine del Professore. Ma nei giorni scorsi in Monti e nei suoi collaboratori erano cresciute le ansie soprattutto per la lista politica della coalizione, quella incardinata su Udc e Fli. La richiesta della «massima trasparenza» sui candidati si era infranta nel silenzio imbarazzato dei rappresentanti dei partiti.

Così come l'ipotesi, avanzata a Palazzo Chigi, di fare una Lista unica di tutto lo schieramento sia alla Camera che al Senato. Una condizione che avrebbe consentito a Monti di diventare una sorta di «Papa», con poteri quasi «assoluti» sui nomi da inserire. Pier Ferdinando Casini - accompagnato nell'ultimo vertice a Palazzo Chigi da Lorenzo Cesa, un ospite che non aveva suscitato entusiasmo - aveva puntato tutte le sue carte su Monti. Ma se alla fine dovesse essere confermato il forfeit del Professore, il leader dell'Udc ha confidato, con pragmatismo democristiano, di essere pronto a fare buon viso a cattivo gioco. Col vantaggio di potersi fare da solo le liste.

Ieri è stato l'ultimo giorno di Mario Monti presidente del Consiglio con pieni poteri. E proprio nel suo ultimo giorno da capo del governo, Monti si è prodotto in una serie di esternazioni. Una scherzosa, davanti ai dipendenti di palazzo Chigi: «Un anno fa questo governo era al varo, oggi invece, non per colpa della profezia Maya, dovremo terminare il ruolo».

E più tardi, parlando agli ambasciatori: «Grazie di avermi permesso di concludere questi difficili, ma affascinanti 13 mesi». Ma in serata c'è stato il commiato davanti ai suoi ministri, per il rito delle dimissioni in Cdm. Monti è stato stringato, pochi minuti e poi al Quirinale, dove, davanti al Capo dello Stato. ha esordito con una battuta: «Missione compiuta». E Napolitano ha risposto: «E' stato fatto un buon lavoro». Ora a Monti resta l'ultimo sforzo: completare il Memorandum su ciò che è stato fatto e ciò che ancora resta da fare per rimettere in sella l'Italia.

2. SUDARIO MONTI
Francesco Bei per Repubblica

Alla vigilia della decisione più importante della sua vita politica, il premier s'arresta sulla soglia. È preda di dubbi, «è tormentato», riferiscono. I leader del centro - da Casini a Montezemolo - hanno provato ieri a sondarlo ma non ne hanno tratto altro che una frase ancora vaga, troppo vaga: «Mi prendo Natale per riflettere». A Giorgio Napolitano, congedandosi, ha soltanto detto: «Missione compiuta presidente!». E ha rassegnato le dimissioni. Ma sul suo futuro nemmeno al capo dello Stato ha detto qualcosa di più, limitandosi a un «non ho ancora deciso». Un'incertezza che al Quirinale ha lasciato un po' interdetti.

Sembra che almeno ai collaboratori più stretti, in realtà, la decisione finale oggi sarà comunicata. Ma potrebbe restare deluso chi spera di capirci di più dalla conferenza stampa di fine anno (domenica mattina). Perché se mercoledì - a quella famosa riunione a palazzo Chigi con Casini, Riccardi e Montezemolo - Monti sembrava molto convinto, addirittura lanciatissimo, e soppesava tutti i dettagli di un impegno diretto, comprese varie simulazioni elettorali, compresa la decisione di dar vita a un «gruppo operativo » per la formazione delle liste, ebbene, appena due giorni dopo, questa spinta sembra in parte evaporata.

Perciò domenica mattina Monti dovrebbe limitarsi all'enunciazione della sua agenda di riforme. Punto. Come se, dopo aver soppesato tutti i vantaggi e le opportunità di una discesa in campo, il premier si sia fatto travolgere dal peso degli svantaggi e dalle possibili conseguenze negative. Non ultima la paura di essere fatto oggetto di una violenta campagna mediatica da parte del Cavaliere.

«È come quando uno si deve sposare - riassume un ministro - e improvvisamente si fa prendere dall'ansia. Vorrebbe rinunciare ma non sa come dirlo alla promessa sposa». Oltretutto, in questo caso, la "sposa" - ovvero i centristi - ha compreso benissimo l'incertezza del momento. Ieri tra le file dei montiani si è diffuso un senso di scoramento, una sgradevole sensazione di rompete le righe.

Raccontano ad esempio che Luca Cordero di Montezemolo abbia fatto sapere che la sua candidatura ci sarebbe soltanto nel caso di un parallelo impegno di Monti. I più pessimisti sono sicuri che la lista "Verso la Terza Repubblica", se Monti darà forfait, non affatto. Al massimo Andrea Olivero, ex presidente delle Acli, e qualcun altro potrebbero trovare ospitalità nella lista dell'Udc.

Casini, che ieri ha avuto un colloquio con il premier, si tiene pronto al peggio. «Rispetteremo le scelte di Monti, qualsiasi esse siano. Ma noi saremo comunque in campo», ha messo in chiaro parlando nelle Marche. Angelino Sansa, capo dell'Udc
in Puglia, ieri pomeriggio, alla buvette di Montecitorio, confidava all'orecchio un collega di partito: «Cesa mi ha detto di cominciare a preparare la nostra lista in Puglia».

La liquefazione del centro è a un passo e sarebbe la diretta conseguenza del disimpegno di Monti. Una possibilità che sta allarmando al massimo anche i vertici della Cei. Visti i numeri dei sondaggi, nel caso di default della lista Montezemolo- Riccardi, i centristi sarebbero infatti spazzati via da palazzo Madama senza poter superare la soglia regionale dell'otto per cento. Senza gruppo al Senato, irrilevanti alla Camera.

In un divanetto del Transatlantico ormai deserto due montezemoliani della prima ora, Giustina Destro e Fabio Gava, confabulavano preoccupati: «Senza Monti la campagna elettorale diventerà un derby tra Berlusconi e Bersani. Per noi sarebbe la fine». Nell'Udc e dentro Fli, oltre al terrore di essere lasciati a piedi nel bel mezzo di una campagna elettorale difficilissima, ieri montava anche del risentimento contro Monti. Come se il disimpegno fosse già cosa fatta. «Se pensa così di conquistarsi il Quirinale - si sentiva dire in un capannello di deputati Udc - si sbaglia di grosso. Bersani non è babbo Natale, al Colle manderanno Prodi».

Nell'altro campo, quello del Pdl, già si fregano le mani. «Senza Monti - osserva Raffaele Fitto - la partita è apertissima. Al Senato l'alleanza fra noi e la Lega può vincere in Lombardia e in Veneto. Anche in Campania e Sicilia, grazie ai voti che prenderà la lista di Ingroia-De Magistris, il Pd mancherà il premio regionale. A quel punto è fatta: a Berlusconi per vincere gli basta non perdere».

Raccontano che il leader Pdl in serata gongolasse quando gli hanno riportato le indiscrezioni che vorrebbero Monti dubbioso sul suo futuro politico. Lo ritiene un altro risultato della sua campagna martellante. È un profluvio di interviste, del resto. Quelle con le tv private le ha registrate in sequenza a Palazzo Grazioli fino al pomeriggio.

Il meglio di sé il Cavaliere però lo aveva dato la sera prima, nella cena con gli ex ministri del suo governo nell'elegante appartamento romano di Gianfranco Rotondi, fra una vellutata di patate, una zuppa di farro, carne bianca e tiramisù finale, accompagnati da un rosso Sangiovese. Ci sono tutti i pidiellini, fatta eccezione per Giulio Tremonti e l'ormai montiano Franco Frattini.

A un certo punto compaiono anche i neo "Fratelli d'Italia" Meloni e La Russa. Silenzio in sala da pranzo quando Berlusconi, con Alfano e Letta di fianco, catechizza sull'imminente campagna. Partendo da una mezza ammissione di colpa: «Un anno fa avremmo fatto bene ad andare al voto». Deluso da questo governo, «che in 13 mesi ha reso l'Italia più povera e pessimista».

E giù ad elencare la crisi dei consumi in tutti i settori. Monti, confessa a tarda notte tra le mura amiche, «non è ben visto dal 78 per cento dei nostri elettori: dobbiamo far capire che lo abbiamo sostenuto per responsabilità, finché non abbiamo compreso che era eterodiretto dalla Germania ».

Dunque, se il Professore deciderà di esserci, in campagna partirà il battage per spiegare che non è affatto «Super Mario». Ma ai fedelissimi convenuti da Rotondi confida pure di essere molto amareggiato per gli attacchi subiti da mezza Europa e di aver «capito proprio allora che non mi potevo arrendere: dopo una settimana siamo già al 19 per cento».

Infine l'ordine: «Insistete su Imu e tasse» da cancellare, oltre che sul rischio del «ritorno delle sinistre», dice con l'assenso del vicino spin doctor Brunetta. Con sorpresa degli ospiti, neanche una barzelletta.

In effetti, perfino per Berlusconi c'è poco da ridere. La vera grana si chiama Lega. L'accordo al momento è saltato. Bossi dal Transatlantico lo gela: «Se lui fa il candidato premier, è difficile, trovi un altro». E in serata l'ex premier conferma tutte le difficoltà. Fallito il pressing per convincere Gabriele Albertini a non candidarsi in Lombardia.

«Dovevo vedere Maroni ma poi l'incontro è stato rinviato - spiega deluso Berlusconi in serata - Sembra che Albertini annunci un suo simbolo e vada avanti. Non so come finirà». Se il Carroccio a quel punto andrà per la sua strada anche alle politiche, allora addio al premio di maggioranza al Senato per il Pdl nelle regioni chiave del Nord.

Il miraggio del pareggio a Palazzo Madama già svanisce, la crisi delle giunte in Piemonte e Veneto è la ritorsione minacciata. Meloni, La Russa e Crosetto intanto presentano Fratelli d'Italia e promettono due posti in lista ai Marò. In via dell'Umiltà, Verdini con Lupi, Fitto, Fontana e Abrignani lavorano già alle liste Pdl.

 

 

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