I SEGRETI DEL DINO-SAURO: "ALLA PREMIAZIONE DEI MONDIALI VOLEVO BACIARE LA REGINA DI SPAGNA, PER FORTUNA MI FERMARONO IN TEMPO" - DINO ZOFF CONFESSIONS: "NON MI SENTO UNA LEGGENDA. NON HO INCISO SU NIENTE, POTEVO FARE MEGLIO, POTEVO FARE DI PIÙ." - "NON HO MAI DETTO 'TI VOGLIO BENE' A ENZO BEARZOT, ORA ME NE PENTO, PERÒ L'HO AMATO PIÙ DI MIO PADRE." - "IL MUNDIAL LO VINCEMMO GRAZIE A BEARZOT CHE È STATO PRIMA OFFESO, POI OSANNATO FALSAMENTE E INFINE DIMENTICATO: NON PERDONERÒ MAI CHI GLI HA FATTO QUESTO…"

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Maurizio Crosetti per la Repubblica

DINO ZOFF DINO ZOFF

 

Gli chiediamo, con qualche pudore, di farci vedere le mani. Non è facile toccare Dino Zoff, lui appartiene alla generazione dei padri che non abbracciavano i figli e dei figli che non baciavano i padri (salvo Zoff con Bearzot, ma quella è un'altra storia). Dino ci afferra la mano, la sua è grande: «Vedi, ho qualche macchia sulla pelle ma stringo ancora bene». Il mattino è pieno di luce romana, il fiume scorre scintillando come il tempo maledetto e sublime, quarant' anni dal Mundial, ottant' anni di una vita.

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Dino, questa è la sua poltrona?

«Si, vengo al circolo Aniene tutti i giorni, faccio un po' di piscina, bevo il caffè, leggo i giornali di carta. Io non possiedo nessuna diavoleria elettronica, il telefonino è decrepito e serve a telefonare. Del resto è un telefono, no?»

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E una vita da Zoff a cosa serve?

«A niente di speciale. Invecchiare è dura ma speriamo che duri. Non mi sento una leggenda, mi sento una persona che ha lavorato bene. Ma niente di quello che ho fatto resterà».

 

Ma come? La Coppa del mondo, Pertini, Bearzot, le sue mani nel quadro di Guttuso, un maestro del Novecento. E pure lei mica scherza.

«Non ho inciso su niente, potevo fare meglio, potevo fare di più. Potevo dire le parole che non ho detto».

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Quali?

«Ti voglio bene a Enzo Bearzot non l'ho detto mai, e ora me ne pento, però l'ho amato più di mio padre. Noi friulani ci vergogniamo di tutto».

 

Dopo Italia-Brasile, voi ancora in campo, lei diede quel bellissimo bacio tra guancia e collo al "vecio" Enzo che stava parlando con la tivù.

«Io e lui non siamo mai più tornati sull'episodio, credo per pudore. Ma quel bacio glielo ridarei altre cento volte perché lui era il più grande di tutti, il Mundial lo vincemmo grazie a Bearzot che è stato prima offeso, poi osannato falsamente e infine dimenticato: non perdonerò mai chi gli ha fatto questo. Enzo fu trattato con violenza, fu malmenato dalla critica. Tuttavia non ne soffrì, perché sapeva come va il mondo. Lo ferirono molto di più i complimenti fasulli».

 

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Bearzot non voleva il silenzio stampa, è così?

«Non voleva ma ci lasciò liberi di decidere. Eravamo soli contro tutti e non avevamo bisogno di nessuno, né dei giornalisti, né dei dirigenti».

 

E al muto Zoff toccò parlare a nome di tutti.

«Speravo che finisse presto, non ne potevo più: non andò così. Io cominciavo la conferenza stampa e i giornalisti italiani se ne andavano dalla stanza. Ma non ho mai detto bé. Non ho mai mostrato il tumulto che avevo dentro».

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Scusi, lei non era il più saggio, il più equilibrato?

«Io ero soltanto un timido che passava per migliore di quanto fosse. Quello perfetto era Gaetano Scirea, lui sì. Gaetano era l'essenza dello stile di un uomo, la forma che diventa sostanza. Mi chiedevo come facesse. Arrivai al punto di invidiarlo, anche se eravamo amici fraterni, e ora di questo mi vergogno».

 

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Come diavolo avete fatto a vincere quel Mondiale?

«Ci trattarono da pezzenti e questo fece ruggire il nostro orgoglio. Il gruppo, cioè il bene supremo di Bearzot, diventò un corpo solo».

 

La prima fase del torneo, una pena.

«Avevamo paura di tornare a casa, eravamo bloccati nella testa. Ma scarsi mai. Eravamo, da subito e da almeno quattro anni, fortissimi».

 

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Poi l'Argentina.

«La partita più bella di tutte, una battaglia sublime contro un avversario feroce e furbo. Ma a loro non bastò. Giocai per la prima e ultima volta contro Maradona, una creatura non di questa terra, bastava uno sguardo per capirlo. Il mio amico Luciano Castellini mi diceva che Diego poteva fare gol anche con la spalla, colpendo forte come se fosse stato il piede».

 

Poi il Brasile, e Pablito.

«Senza Bearzot che l'avrebbe difeso comunque, Paolo non sarebbe diventato quello che diventò. Battuto anche Zico, eravamo sicuri che niente ci avrebbe fermato. Povero Paolo, dolcissimo Paolo. Siamo proprio fatti di niente».

 

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Della Polonia non parliamo neanche, troppo facile. E la finale?

«Al Bernabeu non ne avevo più, ero scarico ma per fortuna non se ne accorse nessuno. Furono bravi i miei compagni a nasconderlo, tenendo lontani i tedeschi».

 

È vero che lei tentò di baciare la regina di Spagna durante la premiazione?

«Sì, e per fortuna mi fermarono in tempo. Ero fuori di testa, ero in gloria e non capivo niente. E quasi niente ricordo, se non che uscii dallo stadio per ultimo, dopo l'antidoping e le interviste, sul furgone del magazziniere. I compagni erano andati a fare baldoria, solo Scirea mi aspettò in albergo, io credo per gentilezza, perché ero il più vecchio».

 

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Forse la scena di voi due in camera, distesi sul letto a fumare come due innamorati, è la più bella del Mundial anche se non la vide nessuno.

«Non potevamo certo sporcare la felicità ballando in discoteca, così la assaporammo fino all'ultima goccia insieme alla sigaretta e a un bicchiere di vino. Ricordo il silenzio di quella stanza, il silenzio di Gaetano che mi manca ogni giorno di più».

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È stato difficile smettere di essere Zoff?

«È stato come quando finisce la primavera, come quando muore il giorno. Ma anche una serata può essere bella, se pure la giovinezza non ritorna».

 

Qualche anno fa, lei rischiò di lasciarci. Come andò?

«Encefalite virale: non riuscivo più a camminare. Il medico mi disse che se il virus avesse attaccato il cervelletto, addio. Non ho alcun merito, sono semplicemente rimasto in campo».

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E adesso, Dino?.

«Se la vita dura un metro, mi restano pochi centimetri ma la passione non finisce. Ho cercato di esserne degno e rispettarla. Ora spero soltanto di rimanere vigile».

 

Se lo lasci dire: forse lei è stato il più grande portiere della storia del calcio.

«Ma no, io penso di essere stato soltanto un portiere di buona considerazione…».

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