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40 ANNI FA L'ITALIA VINSE LA PRIMA E UNICA COPPA DAVIS DI TENNIS, ADRIANO PANATTA RACCONTA LA STORICA IMPRESA NEL CILE DI PINOCHET: "IL PCI AVEVA MESSO IL VETO ALLA NOSTRA PARTENZA, POI INTERVENNE BERLINGUER. QUANDO BERTOLUCCI SEPPE CHE DOVEVAMO GIOCARE CON LA MAGLIA ROSSA PROTESTÒ: "OH, QUESTI CE SPARANO" - “BORG? ERA CAPACE DI VUOTARE DUE BOTTIGLIE DI VODKA, RESTARE STESO FINO AL MATTINO, E POI GIOCARE COME SE NIENTE FOSSE" - L’IRONIA DI AGNELLI: “PEVÒ, QUEL PANATTA; UN BEL SOGGETTO, MA CHE CAVATTEVACCIO"

 

 

Antonello Piroso per “La Verità”

PANATTA BERTOLUCCI PANATTA BERTOLUCCI

 

È un grande del tennis italiano, ma a 66 anni non è più, naturaliter, un grande tennista. È ancora considerato - a dispetto di quei chili in più, che tutti noi acquisiamo con la rilassatezza dell' età - un sex symbol, con allegre signore che lo ricordano quando volteggiava come una Margot Fonteyn con racchetta e pantaloncini, un' acciuga dai capelli lunghi e il ciuffo «acchiappone».

 

Al netto di queste premesse, fatte apposta per indispettire il suo lato suscettibile da Cancro astrologico (avreste dovuto vedere la sua faccia quando venne ospite in una mia trasmissione tv, e io lo presentai con un:

 

«Signori e signore, ecco a voi il più grande campione di tennis... del secolo scorso!»), devo fare una piccola rivelazione. Ebbene sì, lo confesso, facendo uno strappo alla buona regola che postula il «lei» nelle interviste: caro Adriano, non ti ho mai raccontato che nel 1976, quando come nazionale italiana di tennis andaste a giocarvi la finale di Coppa Davis contro i cileni a casa loro, nel Paese sotto la dittatura della giunta militare fascista di Augusto Pinochet, io scesi in piazza per scandire «Pi/no/Chet sanguinario, Pa/nat/ta mercenario». «Sei il solito impreciso. Lo slogan diceva "milionario", non mercenario».

PANATTA PIETRANGELIPANATTA PIETRANGELI

 

Se non è zuppa è pan bagnato. Succedeva giusto 40 anni fa oggi, tra il 17 e il 19 dicembre. Alla fine partiste per la trasferta, nonostante le polemiche.

«Sono sempre stato di sinistra, ma non mi piacciono gli eccessi e i fanatismi. E in quegli anni, "anni di piombo" non dimentichiamocelo, veniva estremizzato e ideologizzato tutto. Io ci volevo andare ma dal Pci era arrivato inizialmente un veto.

 

Poi fu Ignazio Pirastu, al tempo responsabile della Commissione sport del Pci, a farci arrivare l' inattesa notizia: per il segretario Enrico Berlinguer dovevamo andare. E voleva che lo sapessimo. Perché anche i comunisti cileni avevano fatto sapere che non sarebbe stato giusto che la Coppa finisse nella bacheca di Pinochet. Da lì in poi la strada si fece in discesa.

 

Fu come un "liberatutti". Il governo di Giulio Andreotti disse che lasciava libero il Coni di decidere, quest' ultimo lasciò libera la Federazione e di fatto ci ritrovammo a Santiago, liberi di giocarcela. E di vincere».

 

Scendeste in campo, tu e Paolo Bertolucci per il doppio che poteva consegnarvi il trofeo, sfoggiando un paio di magliette rosse. Una provocazione bella e buona, che qualcuno però declassa minimizzando il gesto: vi eravate dimenticati le altre magliette, e in emergenza avete indossato quelle.

«Sai che sei proprio simpatico? Chiedi a Bertolucci cosa successe la notte prima. Entrai in camera sua in albergo e gli dissi che avremmo dovuto lanciare un segnale forte, indossando delle magliette rosse contro il regime e Pinochet.

PANATTA BERTOLUCCI PIETRANGELIPANATTA BERTOLUCCI PIETRANGELI

Lui strabuzzò gli occhi e replicò: "Oh, Adriano, ma che czz stai dicendo? Questi ci sparano!". Io ho insistito, dovevamo farlo, era un gesto simbolico importante. A quel punto, era notte fonda, Paolo ha ceduto e mi ha detto: "Senti Adriano, io scendo in campo anche in mutande, facciamo come ti pare ma basta che vinciamo"».

 

Una splendida annata, quel 1976: oltre alla Coppa Davis, hai vinto gli Internazionali d' Italia, entrando nella leggenda perchè passasti ilprimo turno annullando ben 11 match point all' australiano Kim Warwick, poi gli Open di Francia, il mitico Roland Garros, battendo ai quarti Bjorn Borg, l' alieno, che pe raltro avevi già battuto sempre lì, ma agli ottavi di finale, nel 1973.

«Credo di aver risposto sei o sette milioni di volte alla domanda: cos' è stato più importante, vincere a Roma, Parigi o Santiago? Se vuoi la battuta, ti dico Parigi, 5 set sulla terra rossa. Parigi è abnegazione, un tennis da missionari. Ma la risposta più giusta è: Roma. Furono gli Internazionali a lanciarmi in un' orbita di sensazioni nuove. Il resto venne quasi come una normale, si fa per dire, conseguenza».

 

Quest' anno, in occasione del 40esimo anniversario, a Parigi sei tornato per premiare Novak Djokovic. Oggi il premio è di 2 milioni di euro, ai tuoi tempi di poche decine di migliaia di dollari. Nessun rimpianto?

«È tutto relativo. Mi è stato raccontato che una volta Nicola Pietrangeli avrebbe detto: Pa natta in un anno ha guadagnato quello che io impiegato 10 anni a portare a casa. Io ho giocato i miei anni, ho fatto che ho dovuto, ho smesso quando non ne avevo più. Non sono il tipo, e lo dico senza alcuna alterigia, che si mette lì a fare i conti con quello che sarebbe potuto essere».

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Alla fine di quell' anno irripetibile, l' edizione italiana di Playboy preparò due grandi pagine a colori per chiederti scusa: «Noi lo chiamavamo giuggiolone, lo abbiamo preso in giro, e lui ha trionfato come non mai».

«Nel bene e nel male, io sono sempre stato onestamente me stesso. Molti dei soprannomi che tifosi e stampa coniavano per noi talvolta erano caricaturali, si basavano su pregiudizi e apparenze. La realtà era diversa. Sugli altri tennisti, per esempio, il mio giudizio di solito era all' opposto del comune sentire. Per dire: lo "zingaro" Ilie Nastase era una pasta d' uomo, il più buono del mondo.

 

panatta pietrangeli bertoluccipanatta pietrangeli bertolucci

Bjorn Borg non era affatto di ghiaccio (anzi: era capace di vuotare due bottiglie di vodka, restare steso fino al mattino, e poi giocare come se niente fosse). Jimmy Connors non era antipatico. E così via. Senza offesa, spesso molti tra voi giornalisti vivono di frasi fatte, e pigramente di copia -e -incolla».

 

Tu però ci hai messo del tuo. Ti ricordi di quella volta al Centrale del Foro Italico, con quel petulante sostenitore?

(ride) «E come no. Continuava a commentare: ma no, fai così, fai cosà, incrocia, schiaccia, dai... Io mi fermai, gli porsi la racchetta e gli dissi, in romanesco: "Viecce te", vieni tu, prendi il mio posto e vediamo. Scoppiò l' applauso».

Poi ci fu quell' episodio a Barcellona, in Spagna nel 1977. Con la telecronaca di Guido Oddo: «Vedo Panatta che sta spiegando il suo punto di vista a un tifoso iberico».

panatta loredana bertepanatta loredana berte

«Finita la partita, stavo rientrando negli spogliatoi da un passaggio in mezzo agli spettatori. Un tipo grosso e pelato mi tirò un cazzotto. Non ci vidi più: montai in tribuna per farmi giustizia. Nella foga, colpii anche un bresciano che era venuto per darmi manforte, e io avevo scambiato per un avversario».

 

Anche Gianni Agnelli, l' Avvocato, disse di te che non eri un tipino facile.

«Poco tempo prima era successo che avevo ricevuto una telefonata da Mina e, pensando a uno scherzo, avevo risposto: "Sì, vabbe', e io sono Ornella Vanoni", e poi avevo messo giù. Così, quando a casa dell' attuale presidente del Coni, Giovanni Malagò, a Porto Rotondo squillò il telefono alle 6 del mattino e la voce dall' altra parte disse: "Sono Agnelli" evitai di rispondere "E io sono il Papa". Spiegai invece che non potevo passargli il padrone di casa. Lui insistette: "Ma sono Agnelli...". Al che replicai: "Ho capito, e io sono Panatta, ma Giovanni dorme al piano di sotto, chiami più tardi". Seppi poi che l' Avvocato l' aveva presa con ironia, commentando: "Pevò, quel Panatta; un bel soggetto, ma che cavattevaccio"».

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Dopo il tennis ti sei dato alle gare nautiche di off-shore. E poi alla politica, consigliere comunale a Roma nella giunta di Francesco Rutelli fino al 1997, assessore allo Sport alla provincia di Roma con Nicola Zingaretti. Se ti chiedo un giudizio sull' attuale teatrino della politica mi rispondi che...

«Che non ho più voglia di parlarne. Sconto, come credo molti, una certa disaffezione.

Se poi ci metti le ultimissime notizie che arrivano anche a livello di amministrazioni locali... Da romano -come ti dicevo, non mi piacciono i giacobinismi e i giustizialismi - pensavo di averle già viste tutte, ma mi pare di capire che talvolta al peggio non ci sia fine».

 

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Qualcosa che hai fatto e non rifaresti? O una sfida che ancora non hai affrontato ma in cui ti piacerebbe cimentarti?

«Ti dico invece cosa rifarei volentieri. (Ah)iPiroso in tivù come lo abbiamo fatto per quanto, 400 puntate? a La7. Tu, io e Fulvio Abbate, che è quello che ci pensa di più, ancora poco tempo fa mi ha scritto: hai visto il programma del noto showman? È una vergogna, un plagio pari pari del nostro».

 

Anni fa mi hai detto che sempre più spesso ti ritrovi a chiederti: «Che uomo sono stato per tutti quelli che, parenti o amici, hanno condiviso con me, in tutto o in parte, la loro vita?». Hai trovato la risposta?

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«No. Però, visto l' affetto da cui mi ritrovo circondato, forse non me la sono cavata tanto male».

 

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