patrizia sandretto re rebaudengo

"L'ARTE DEVE DARE FASTIDIO, È UNO DEI SUOI RUOLI: QUELLO CHE ALTRI NON OSANO PRENDERSI" – PATRIZIA SANDRETTO RE REBAUDENGO PARLA DELLA FONDAZIONE CHE FESTEGGIA IL TRENTENNALE CON 4 MOSTRE: “QUANDO ABBIAMO PORTATO IL NEON CON LA STELLA DELLE BR DENTRO UNA COMETA, I PARENTI DELLE VITTIME DI TERRORISMO HANNO CHIAMATO PER PROTESTARE. HO IN MENTE LA FORZA DELLA DOMANDA: 'COME VI PERMETTETE?'. NON L’ABBIAMO SPENTA: L’ARTE SI OFFRE ALLA PROVOCAZIONE SENZA CENSURA" – E POI CATTELAN E STALLONE E LA PETTINATURA SEMPRE UGUALE: "FA PARTE DI ME, POSSO IMMAGINARE QUALSIASI COSA, MA NON DI CAMBIARE PETTINATURA. IMPOSSIBILE”

Giulia Zonca per “la Stampa” - Estratti

patrizia sandretto re rebaudengo 1

 

In una stanza abbandonata dell'Arsenale di Venezia, che solo oggi è un restaurato bookshop alla Biennale, trenta anni fa è nata un'idea: la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Non aveva uno spazio definito, solo un'urgenza: dare all'arte il respiro che le serve per bucare la realtà. Ora che quello stesso desiderio di esprimere l'indicibile ha due sedi fisse, istituzioni culturali all'estero, richieste di prestiti, creativi che bussano, l'idea è rimasta identica.

 

Solo che l'urgenza è aumentata e Patrizia Sandretto ha chiaro il perché: «È uno strumento per capire il mondo, ora che stiamo in mezzo a guerre e delirio è fondamentale».

 

Torniamo all'inizio. Nel 1992, dopo un viaggio nella Londra del Britpop che frantuma i generi, lei diventa collezionista. Tre anni dopo si trasforma in committente e istituisce la Fondazione.

«Un passaggio istintivo. L'arte ci fa pensare, senza imporre messaggi, spontaneamente e per quanto banale sia è una libertà senza pari, un terreno che si presta alla didattica, all'inclusione assoluta e reale: senza alcuna retorica. Si offre alla provocazione senza censura, al confronto. Essere un tramite tra chi ha il talento per interpretare l'attualità e il pubblico è il motivo per cui ho iniziato questo viaggio. Anche se non mi era affatto così chiaro allora».

 

cattelan patrizia sandretto

Ha citato la provocazione: nel gruppo iniziale di artisti che poi sarebbero diventati molto famosi c'era Maurizio Cattelan. Ricorda il primo incontro?

«Ricordo l'ultimo, tre sere fa: mi parlava del prossimo progetto e saranno passati quindici anni da quando ha detto che era ora di smettere. Meno male che non lo ha fatto, c'è bisogno della sua voce. Nella prima esposizione portata a Torino, alla Galleria d'arte Moderna, la Gam, c'erano le sue sculture di vagabondi in giardino e ogni sera qualcuno ci telefonava per avvertirci dei presunti intrusi. Quando abbiamo portato il neon con la stella delle Br dentro una cometa, i parenti delle vittime di terrorismo hanno chiamato per protestare. Ho in mente la forza della domanda: "Come vi permettete? "».

 

il neon con la stella delle br dentro una cometa

L'avete spenta?

«No, abbiamo invitato tutti a venire a vederla. Abbiamo spiegato che quella luce non voleva affatto riabilitare o giustificare, anzi, intendeva denunciare l'abbaglio. L'arte deve dare fastidio, è uno dei suoi ruoli, quello che altri non osano prendersi. Non è a senso unico. Restiamo a Cattelan: sempre in quei metà Novanta allestisce la scritta Hollywood, a Palermo, sulla discarica di Bellolampo. Ci sono passata apposta in taxi per chiedere "Che cosa è? ". Ed è partita una storia surreale su Stallone che voleva fare un film lì come se fosse stato sulle colline di Los Angeles. Chissà quante versioni hanno girato».

 

(...)

C'è una linea ereditaria nel segno del matriarcato tra le sostenitrici dell'arte? Per limitarci ai tempi recenti da Peggy Guggenheim a qui, lei compresa?

«Se pensiamo alle opere esposte, le artiste sono sottorappresentate. Se si guarda a chi ha cercato di stimolare la produzione e dell'arte, le figure femminili sono larga maggioranza. Io stessa ho avuto più che altro maestre, penso a Rosangela Cochrane, stupenda signora che vive in Guatemala o a Ida Gianelli che ha animato Rivoli.

cattelan collina bellolampo palermo

 

Sono cresciuta tra galleriste intuitive, noi tutti dobbiamo a delle donne l'invenzione di musei internazionali dal Moma al Whitney. Forse una volta faticavamo a intraprendere certe professioni per colpa di fobie sociali e ci si dedicava all'arte per compensare, però quella vena filantropica è rimasta».

 

Sta dicendo che le donne sono più generose?

«In molte situazioni sono più attente alla generosità».

 

Un caso in cui l'arte ha anticipato la realtà dentro la Fondazione.

«Berlinde De Bruyckere. C'era la sua mostra quando abbiamo chiuso improvvisamente per Covid: riproduceva un luogo di morte per rispettarne la memoria. Cataste di pelli, pavimenti resi volutamente freddi come fossero all'obitorio, un rito di passaggio per imparare ad avere cura. E lì tutto si ferma, guardiamo in tv le immagini delle bare in fila a Bergamo. Alla riapertura, la prima persona a entrare è una mamma con un bambino di tre mesi nel marsupio. Vederli lì, in quel momento, ha dato un preciso senso alla vita».

 

jem perucchini anemone 2024

Torino città del contemporaneo: vera natura o etichetta che si scolla?

«Natura, da proteggere. Qui c'è sempre stata una sensibilità particolare, i movimenti come l'Arte povera o i luoghi dedicati con coraggio a ogni genere di espressione. Qui si è visto per la prima volta Orgia di Pasolini, qui si è aperto il museo di Rivoli, un posto unico, qui esistono fondazioni private a partecipazione pubblica, qui un grande fondo bancario costituisce un ente per l'arte contemporanea.

 

Siamo terra fertile per la creatività, che poi questa indole non venga sempre incoraggiata e fatta rendere al massimo è possibile. Ma ora ci sono una serie di direttori brillanti capaci di fare sistema e sono più che ottimista. A novembre portiamo a Torino Cimam, la più grossa riunione di operatori dell'arte a livello mondiale. Torna in Italia dopo 50 anni e la concorrenza c'era eccome. Invece saremo qui».

patrizia sandretto re rebaudengo 6

 

In 30 anni sono cambiati mode, gusti, nomi ma lei ha sempre la stessa pettinatura. È una firma come il taglio bob di Anne Wintour l'eterna direttrice di Vogue?

«Fa parte di me. I capelli e i miei gioielli non preziosi, non esco mai senza metterne uno e posso immaginare qualsiasi cosa, ma non di cambiare pettinatura. Impossibile».

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