SENTI CHI PARLA, IL MITICO PETRUCCIO: "RAI FUORI DALLA POLITICA DELLE MAGGIORANZE CHE SI SUSSEGUONO. IL TG1 NON DEVE PRENDERE ORDINI DA PALAZZO CHIGI" - E POI ANNUNCIA A MIMUN CHE E' SCOCCATA L'ORA DI TOGLIERSI DAI PIEDI (NON E' SUBLIME?).

Paolo Conti per il Corriere della Sera

«Il direttore generale Claudio Cappon ed io, in accordo come un tandem, pensiamo che alla Rai non ci debba essere una "stagione di nomine" come la vendemmia. Si fanno solo quando siano necessarie. Non ci sarà un tabellone da tombola. In teoria gli incarichi di competenza del Cda sarebbero, figuriamoci, addirittura 170...»

Quante nomine farete da mercoledì?
«Con Cappon in agosto abbiamo lavorato individuando gli interventi più urgenti: sei-sette. Non tutti i tg né tutte le reti. Metà incarichi editoriali, metà amministrativi. Altri potranno seguire in un futuro anche non lontano».

Tg1, Raiuno, magari Raitre, il Personale...
«Non mi metto ad anticipare nomi. Mercoledì parleremo soprattutto del metodo di lavoro nel Consiglio» .

C'è una maggioranza di centrodestra. Come farete?
«Nel primo anno di vita di questo Cda ho lavorato, riuscendo quasi sempre con l'accordo e l'aiuto dei consiglieri, affinché il Consiglio non si dividesse lungo la linea delle separazioni politiche. Se, nel sistema dell'alternanza, il servizio pubblico non guadagna uno spazio di autonomia rispetto alle maggioranze che si susseguono, è destinato a finire. Il nostro tentativo è consolidare questo spazio. Per esempio sia Cappon che il nuovo vicedirettore generale, Giancarlo Leone, sono stati votati all'unanimità».

Lei dice che la Rai, col centrosinistra al governo, può essere governata da un Cda con una maggioranza diversa?
«La nostra scommessa è evitare una divisione solo politica con l'equilibrio e la motivazione professionale delle scelte».

Ciò significa che nel pacchetto di nomine appariranno nomi vicini al centrodestra come Clemente Mimun, ora al Tg1?
«Il nostro metodo è individuare scelte solo in base a valutazioni professionali. Mimun è uno dei giornalisti Rai che da più tempo dirige un tg, prima Tg2 e poi Tg1. Penso sia arrivato il tempo di un avvicendamento alla direzione del Tg1. Mimun è un professionista di prim'ordine. Avrà una proposta adeguata al suo livello».

Cioè a Raisport?
«Non anticiperò nulla. Certo non avverrà come in passato, quando si toglievano incarichi lasciando gente senza lavoro».

Viene in mente il caso Freccero...
«E di altri... il suo è un nome di prima fila. L'area dei dirigenti senza lavoro è una vergogna Rai. La bonificheremo presto».

Il Tg1 tornerà filo-governativo?
«È il più importante notiziario del servizio pubblico. A prescindere da chi lo dirige, il Tg1 ha una sua "ufficiosità" che, come i massimi quotidiani nazionali, non può ignorare l'orientamento del governo. Ma ciò non significa certo che debba prendere ordini da Palazzo Chigi. Autonomia e responsabilità devono essere totali».



Si è parlato molto, in estate, del «progetto Minoli» per un accorpamento della proposta Rai da servizio pubblico. Cosa accadrà?
«Anch'io ho letto quel progetto. Minoli è uomo di ottime riflessioni e idee. Ed è una delle massime risorse su cui può contare la Rai, la sua forza maggiore sta nella capacità di inventare e realizzare prodotti. In quanto al piano c'è il suo, ce ne sono altri, io stesso ho reso pubbliche alcune mie considerazioni. Non viviamo un periodo di ordinaria amministrazione. In Italia occorrerebbe ciò che è accaduto in Gran Bretagna per la nuova carta decennale della Bbc: una riflessione generale sul futuro Rai».

Santoro riprende a lavorare. Teme possibili reazioni del centrodestra?
«Non temo nulla perché uno dei primi compiti che mi sono dato è stato il suo rientro. Giovedì parteciperò alla conferenza stampa di presentazione del programma. Di solito non partecipo a questi appuntamenti ma stavolta sì perché sia chiaro un messaggio: mai più un caso Santoro».

Nemmeno con un uomo del centrodestra?
«Un servizio pubblico deve sempre includere, mai escludere».

Qualcuno preme per la sostituzione del consigliere Petroni. Lei che ne pensa?
«Su questo argomento non posso e non voglio parlare, né lo fa Cappon, per rispetto del Consiglio e di chi deve eventualmente adottare decisioni. Nostro dovere è ricercare il meglio nelle condizioni date. L'unica cosa che dipende da noi è una strada ardua, difficile: decidere in autonomia senza dividersi in base alla politica. Se disgraziatamente non ci riuscissimo, si aprirebbe una crisi».

In area prodiana c'è chi parla di Petruccioli come di un presidente «voluto da Berlusconi» per il famoso incontro a Palazzo Grazioli nel giugno 2005.
«Il "famoso" incontro avvenne tra l'allora presidente della Vigilanza, Petruccioli, e l'allora presidente del Consiglio Berlusconi. Erano già fallite due possibili presidenze, Monorchio e Malgara. Qualcuno cominciava a immaginare una Rai senza vertice fino alle elezioni 2006. Io andai da tutti i leader politici, e anche da Berlusconi, per avvertire che senza una guida la Rai sarebbe uscita distrutta da un anno di lotte furiose e laceranti. Lo considerai noi allora, e lo considero adesso, un dovere istituzionale per la funzione che avevo.»

Si parlò di un «patteggiamento» tra voi.
«Qualsiasi cosa io dica sarebbe inutile. In Vigilanza ho avuto 33 voti su 33 presenti. Qualcosa vorrà dire. E in un anno di lavoro del Cda, mi sembra, non abbiamo commesso falli da espulsione né da rigore».

C'è chi dice: se Petroni va via, Petruccioli deve seguirlo come «presidente di garanzia», la maggioranza è cambiata...
«C'è troppa disinformazione. In che senso si usa la parola "garanzia"? Io sono stato designato dal ministero dell'Economia, votato dai due terzi della Vigilanza e all'unanimità dal Cda Rai. La garanzia non è nella collocazione politica ma nel concorso di tre diversi soggetti e nell'ampiezza del consenso parlamentare. Non lo dico per difendere me stesso ma per esprimere un auspicio: se dovessero arrivare nuove regole per la nomina del presidente, bisognerebbe mantenere il voto a maggioranza qualificata per sottrarre la nomina al volere della maggioranza di turno».

Prodi dice: più facile la crisi libanese di quella Rai.
«Auguro prima di tutto ai soldati che sbarcano in Libano, a Prodi, agli italiani, che sia vero. Cioè che sia più facile occuparsi del Libano che delle nomine Rai... penso che abbia ragione il ministro Paolo Gentiloni, è stata una battuta. E, si parva licet, auguro alla Rai di attingere a quella consapevolezza e determinazione che ha consentito al Governo di ottenere un risultato così straordinario in Medio Oriente».

A che punto sta il «grande freddo» che regnerebbe tra lei e Prodi?
«Il mio rapporto con Prodi non è freddo né caldo. Io non lo chiamo mai così come non chiamo i ministri. Ho troppo rispetto per il loro impegno. Prodi mi chiama, così come fanno altri membri del governo, quando ritiene di avere qualcosa da dirmi. Lo stesso avveniva con Berlusconi. Ma mai nessuno mi ha parlato di nomine. Questa azienda deve essere seguita con attenzione: e magari criticata. Per il resto gli deve essere riconosciuta piena autonomia e responsabilità».



Dagospia 03 Settembre 2006