NON SOLO ANDREOTTI - LINO JANNUZZI, "ESULE" A PARIGI, IN ATTESA DI UN ORDINE DI ARRESTO PER REATI A MEZZO STAMPA.
Gennaro Sangiuliano per Libero
Lino Jannuzzi, giornalista di lungo corso, senatore della Repubblica in carica, rischia di essere arrestato. Non ha ucciso nessuno, non ha rubato niente, non ha corrotto, né concusso, non ha truffato, né ha fatto altre cose del genere. Nella sua vita, settantaquattro anni, ha solo scritto tanto, migliaia di articoli. Del resto chi lo conosce sa quanto sia una persona mite, che non farebbe del male a nessuno.
Domani il tribunale di sorveglianza di Napoli dovrebbe decidere sul cumulo di condanne per diffamazione a mezzo stampa che pendono sul capo di Jannuzzi. Vecchie querele, vecchi processi, che hanno determinato una serie di condanne passate in giudicato. Al punto in cui stanno le cose non sarebbero più applicabili i vari benefici previsti dalla legge (sospensioni della pena e quant'altro) e si aprirebbero le porte del carcere. Il Tribunale e i magistrati non possono fare molto, perché in questi casi si tratta di un tecnicismo perverso, ma contemplato dalla legge. Vittima non tanto dei giudici quanto di una legislazione che di fatto punisce di più chi scrive e meno chi ammazza.
Gli articoli, è il caso di dire "galeotti", sono in particolare quelli che Lino Jannuzzi scrisse in occasione della nota vicenda Enzo Tortora, quando si schierò con la sua penna a difesa del presentatore televisivo. Poi, negli anni a seguire Jannuzzi ha collezionato altre querele, col settimanale "Il Sabato" diretto da Paolo Liguori, col "Giornale di Napoli" di cui è stato direttore, con "Panorama" e "Il Giornale".
Jannuzzi, da qualche giorno, è a Parigi per partecipare ai lavori del Consiglio d'Europa nella sua qualità di parlamentare. Ma, visto come stanno le cose, potrebbe anche decidere di diventare un esule. La Francia che ha ospitato i famosi fuggiaschi del "7 aprile" non riconosce i reati d'opinione.
Il suo atteggiamento è da stoico, risponde al telefono cellulare e parla dell'intera faccenda con un certo distacco, come se non fosse il diretto interessato: «Non so, adesso sono qui solo per i lavori del Consiglio d'Europa. Vedremo domani cosa fare. In ogni caso affronterò la questione». A Parigi vive anche una figlia, mentre i suoi amici, forse più preoccupati di lui, stanno già mettendo a punto un comitato di difesa per questo epilogo che reputano un assurdo giuridico.
Jannuzzi, detto senza retorica, è un pezzo di storia del giornalismo italiano del dopoguerra. Amato e vituperato. Arruolabile nella schiera longanesiana degli irregolari, mai «politically correct», anticonformista e anarchico. Fra i suoi pseudonimi c'era il nome di Malaspina, la sua penna tanto ironica quanto incisiva è per una metà degna di Sciascia, per l'altra somiglia a quei vecchi cronisti dei giornali di provincia. E, forse, lo hanno "inguaiato" gli eccessi di chi mette calore nelle battaglie giornalistiche che sposa.
La sua carriera professionale, del resto, è tutt'uno col personaggio. Non si capirebbe mai il primo senza conoscere il secondo. Sembra finito solo per caso nella seconda metà del Novecento perché la sua collocazione naturale sarebbe stata nella Parigi dell'Ottocento. Jannuzzi appare strappato dalle pagine di un libro di Honoré de Balzac o di Gustave Flaubert: eleganza personalizzata, bon viveur, fine conoscitore del meglio della vita. Dai sigari Avana, alle cravatte, ai grandi alberghi, ai migliori ristoranti, lui è naturaliter coniugato con tutto ciò.
Alle cronache divenne noto per essere stato, insieme ad Eugenio Scalfari, l'autore dell'inchiesta giornalistica sul famoso "Piano Solo", il presunto tentativo di golpe attribuito al generale De Lorenzo. Fu l'inchiesta che lanciò e fece grande l'Espresso creando uno stile. Quella notorietà gli fruttò, nel 1968, l'elezione a senatore della Repubblica nelle fila dell'allora Psi, candidato da Pietro Nenni in un collegio della provincia di Salerno. Ha dovuto attendere trent'anni per tornare in Parlamento, questa volta con Forza Italia, eletto in Lombardia.
Lo status di senatore nel caso di Lino Jannuzzi non serve a nulla perché si tratterebbe di condanne passate in giudicato, come fu per il caso dell'onorevole Gianstefano Frigerio (il confronto è solo tecnico), arrestato all'indomani dell'elezione a deputato sempre per condanne definitive.
Non sappiamo se deciderà di tornare o meno di fronte alla prospettiva del carcere. Parigi o non Parigi, carcere o non carcere, l'emergenza giustizia in Italia è anche questa. La possibilità di finire in carcere per aver scritto. E quella di non finirci, o finirci per poco, se si è ammazzato qualcuno.
Dagospia.com 18 Novembre 2002
Lino Jannuzzi, giornalista di lungo corso, senatore della Repubblica in carica, rischia di essere arrestato. Non ha ucciso nessuno, non ha rubato niente, non ha corrotto, né concusso, non ha truffato, né ha fatto altre cose del genere. Nella sua vita, settantaquattro anni, ha solo scritto tanto, migliaia di articoli. Del resto chi lo conosce sa quanto sia una persona mite, che non farebbe del male a nessuno.
Domani il tribunale di sorveglianza di Napoli dovrebbe decidere sul cumulo di condanne per diffamazione a mezzo stampa che pendono sul capo di Jannuzzi. Vecchie querele, vecchi processi, che hanno determinato una serie di condanne passate in giudicato. Al punto in cui stanno le cose non sarebbero più applicabili i vari benefici previsti dalla legge (sospensioni della pena e quant'altro) e si aprirebbero le porte del carcere. Il Tribunale e i magistrati non possono fare molto, perché in questi casi si tratta di un tecnicismo perverso, ma contemplato dalla legge. Vittima non tanto dei giudici quanto di una legislazione che di fatto punisce di più chi scrive e meno chi ammazza.
Gli articoli, è il caso di dire "galeotti", sono in particolare quelli che Lino Jannuzzi scrisse in occasione della nota vicenda Enzo Tortora, quando si schierò con la sua penna a difesa del presentatore televisivo. Poi, negli anni a seguire Jannuzzi ha collezionato altre querele, col settimanale "Il Sabato" diretto da Paolo Liguori, col "Giornale di Napoli" di cui è stato direttore, con "Panorama" e "Il Giornale".
Jannuzzi, da qualche giorno, è a Parigi per partecipare ai lavori del Consiglio d'Europa nella sua qualità di parlamentare. Ma, visto come stanno le cose, potrebbe anche decidere di diventare un esule. La Francia che ha ospitato i famosi fuggiaschi del "7 aprile" non riconosce i reati d'opinione.
Il suo atteggiamento è da stoico, risponde al telefono cellulare e parla dell'intera faccenda con un certo distacco, come se non fosse il diretto interessato: «Non so, adesso sono qui solo per i lavori del Consiglio d'Europa. Vedremo domani cosa fare. In ogni caso affronterò la questione». A Parigi vive anche una figlia, mentre i suoi amici, forse più preoccupati di lui, stanno già mettendo a punto un comitato di difesa per questo epilogo che reputano un assurdo giuridico.
Jannuzzi, detto senza retorica, è un pezzo di storia del giornalismo italiano del dopoguerra. Amato e vituperato. Arruolabile nella schiera longanesiana degli irregolari, mai «politically correct», anticonformista e anarchico. Fra i suoi pseudonimi c'era il nome di Malaspina, la sua penna tanto ironica quanto incisiva è per una metà degna di Sciascia, per l'altra somiglia a quei vecchi cronisti dei giornali di provincia. E, forse, lo hanno "inguaiato" gli eccessi di chi mette calore nelle battaglie giornalistiche che sposa.
La sua carriera professionale, del resto, è tutt'uno col personaggio. Non si capirebbe mai il primo senza conoscere il secondo. Sembra finito solo per caso nella seconda metà del Novecento perché la sua collocazione naturale sarebbe stata nella Parigi dell'Ottocento. Jannuzzi appare strappato dalle pagine di un libro di Honoré de Balzac o di Gustave Flaubert: eleganza personalizzata, bon viveur, fine conoscitore del meglio della vita. Dai sigari Avana, alle cravatte, ai grandi alberghi, ai migliori ristoranti, lui è naturaliter coniugato con tutto ciò.
Alle cronache divenne noto per essere stato, insieme ad Eugenio Scalfari, l'autore dell'inchiesta giornalistica sul famoso "Piano Solo", il presunto tentativo di golpe attribuito al generale De Lorenzo. Fu l'inchiesta che lanciò e fece grande l'Espresso creando uno stile. Quella notorietà gli fruttò, nel 1968, l'elezione a senatore della Repubblica nelle fila dell'allora Psi, candidato da Pietro Nenni in un collegio della provincia di Salerno. Ha dovuto attendere trent'anni per tornare in Parlamento, questa volta con Forza Italia, eletto in Lombardia.
Lo status di senatore nel caso di Lino Jannuzzi non serve a nulla perché si tratterebbe di condanne passate in giudicato, come fu per il caso dell'onorevole Gianstefano Frigerio (il confronto è solo tecnico), arrestato all'indomani dell'elezione a deputato sempre per condanne definitive.
Non sappiamo se deciderà di tornare o meno di fronte alla prospettiva del carcere. Parigi o non Parigi, carcere o non carcere, l'emergenza giustizia in Italia è anche questa. La possibilità di finire in carcere per aver scritto. E quella di non finirci, o finirci per poco, se si è ammazzato qualcuno.
Dagospia.com 18 Novembre 2002